La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

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domenica 17 maggio 2015

Festa di Maggio (terza domenica): l'Infiorata a Casanova di Carinola


Le “infiorate” sono tappeti artistici di fiori e foglie realizzati soprattutto per la festività del Corpus Domini, ma non solo, nel caso specifico, siamo a Casanova, un borgo del comune di Carinola e l’occasione è fissata per la terza domenica di maggio, quando la statua della Madonna della Grancelsa viene portata in processione dalla chiesa parrocchiale al santuario della Grancelsa sulla collina retrostante il piccolo borgo. 






La notte che precede la domenica dell'Infiorata non si dorme nel piccolo centro, fino al mattino presto, tutti i cittadini, grandi e piccoli, sono sulla strada della Grancelsa a colorare i mosaici ed i quadri, fino a comporre un grande tappeto per tutta la lunghezza della strada; i petali, le infiorescenze, le foglie, i semi, i frutti essiccati, i fondi del caffè, precedentemente smembrati, poi lasciati a riposare nel buio umido di grotte e cantine si riconpongono alla luce del sole per prendere nuove forme.





Le infiorate sono realizzate spontaneamente componendo fiori e foglie sul percorso della processione religiosa; caricati, attraverso il contatto con il sacro, di una forza salvifica, in alcuni paesi, dopo la festa i fiori vengono buttati nei campi come benedizione per un buon raccolto e protezione dalla grandine. 

E' pia consuetudine raccogliere i petali dell'infiorata e spargerli nelle vigne per scongiurare il pericolo della grandine.
Giovanni Musolino, Barbarano storia civile Storia religiosa




Carinola, frazione Casanova, Festa di maggio, infiorata 2015



Le cronache storiche ci parlano delle origini delle Infiorate e fanno risalire l’inizio di questo evento artistico al periodo “Barocco”.


Infatti, la prima “infiorata” si fa risalire al 29 giugno del 1625, quando, in Vaticano, in occasione della festa dei Santi Pietro e Paolo fu realizzato uno splendido tappeto di fiori in cui venivano riprodotte immagini sacre e altri soggetti. Addirittura il grande Lorenzo Bernini è tra i primi a cimentarsi in questa particolare arte decorativa. 

Da quella data, lentamente la tradizione si diffuse in molti paesi e città, e tra queste, certamente tra le più belle e antiche, sono da ricordare l’Infiorata di Genzano (RM), Genazzano (RM), Arcinazzo Romano (RM), Ranzi (Pietra Ligure - GE), Fucecchio (FI), Spello (PG), Gambatesa (CB), Noto (SR) e in Campania, S. Valentino Torio (SA), Acropoli (SA), Cusano Mutri (BN),  Casanova di Carinola (Caserta) e da ultima il borgo medievale di Sant'Angelo di Mondragone (Caserta), cittadine dove questa manifestazione devozionale, coinvolgente e spettacolare, occupa un posto di grande rispetto nel quadro generale delle tradizioni artistiche e culturali di questi luoghi, tanto da essere diventati appuntamenti attesi tutto l’anno non solo dai cittadini, ma anche dall’incredibile numero di turisti che questo tipo di manifestazione è capace di attirare.

Il testo, tratto dal web e liberamente interpretato, 
e le foto sono dell'autore:

Salvatore Bertolino

domenica 1 febbraio 2015

Alla scoperta del territorio: il Parco regionale Roccamonfina-Foce del Garigliano




Il Parco Regionale Roccamonfina-Foce del Garigliano, situato nel cuore della Regione Campania, si estende per circa 9.000 ettari, tra i territori del basso Lazio e del Molise. Comprende i comuni di Sessa Aurunca, Teano e cinque centri della Comunità Montana Monte Santa Croce, Roccamonfina, Galluccio, Conca della Campania, Marzano Appio e Tora e Piccilli.
Il Parco è sovrastato, come per proteggerlo, dall'apparato vulcanico del Roccamonfina, più antico del Vesuvio, di cui ricorda forma e maestosità, costituito da una cerchia craterica esterna larga mediamente 6 km, definita nei punti più alti dal Monte Santa Croce (1005 m) e dal Monte Lattani (810 m) e da alcuni coni vulcanici con profilo a cupola semisferica, quali Monte Atano (Casi - Teano), Colle Friello (Conca della Campania), Monte Ofelio (Sessa Aurunca).




Rocce dalle forme curiose e uniche ricordano la passata attività vulcanica dell'area, oggi ricoperta da coltivazioni di castagni, uliveti e vigneti. 




Lo sviluppo rigoglioso del castagno è stato favorito, nel tempo, dalla composizione mineralogica dei suoli lavici del Roccamonfina, ottimale per le esigenze nutrizionali di queste specie.
Nei castagneti è possibile ammirare le splendide fioriture primaverili di crochi, ranuncoli, primule, anemoni e viole. Di grande suggestione le molteplici varietà di orchidee che attirano ogni anno numerosi      studiosi    e appassionati.
La natura prende vita là dove prima dominava il fuoco. È strabiliante come sia ricco e folto il sottobosco anche nel periodo autunnale, quando è popolato da numerose specie di funghi, tra cui l'ovolo buono ed il porcino, di grande pregio commerciale e gastronomico.
Fiori, piante ed animali sono i veri guardiani di questi luoghi.
La ricca avifauna di montagna comprende esemplari quali il cuculo, il picchio, la civetta, l'allocco ed il gufo comune, mentre nella parte collinare troviamo il merlo e il corvo. Il Parco ospita esemplari rarissimi e di grande interesse, come l'airone rosso, e i più comuni gufi di palude, falchi pescatori e cicogne bianche.
Testimonianza della funzionalità dell'ecosistema dell'intera area e del suo stato di salute è la presenza di una fauna omitica, che comprende numerose popolazioni nidificanti di poiana e gheppio, predatori    ai vertici delle reti alimentari.
I boschi del vulcano di Roccamonfina costituiscono un rifugio ideale per gli animali: qui, infatti, la volpe, il cinghiale, il tasso, la faina, la lepre e molteplici altre specie di piccoli mammiferi vivono isolati e al sicuro.
Lontano dall'uomo, ovunque domina la tranquillità e soprattutto la natura.


Camminando lungo i sentieri, gli unici suoni che si sentono sono il cinguettare dei tanti uccelli, il vento che smuove le fronde degli alberi e lo scrosciare in lontananza di acqua fresca e veloce che scende dalle sorgenti.



L'intero territorio è ricco d'acqua che ne ha plasmato la morfologia. Il Fiume Garigliano, ad esempio, attraversa il Parco, e scava il suo letto tra i terreni vulcanici del Roccamonfina ed i terreni calcarei dei Monti Aurunci.




Nasce dalla confluenza del Fiume Liri con il Fiume Gari o Rapido, ha acque profonde  e corrente veloce. Il suo serpeggiante percorso è addolcito dalla presenza di robusti pioppi e salici sugli argini. Percorrendo le sponde, comprese nel perimetro del Parco, si giunge facilmente sino alla foce e nella splendida Pineta di Baia Domizia Nord. Oltre al Garigliano, i due corsi d’acqua più importanti sono il fiume Savone ed il fiume Peccia.
Ad amplificare la bellezza di questi luoghi, lungo il corso dei fiumi, concorrono ruderi d’antichi mulini e frantoi che, dallo scorrere veloce ed inarrestabile dell’acqua, traevano l’energia per azionare le pesanti macine di pietra lavica.





Il testo è tratto dalla pubblicazione: 
Parco Regionale Roccamonfina Foce Garigliano, 2008

martedì 2 dicembre 2014

"Dissertatio de Agro et vino Falerno" di Karl Friederik Weber




E’ un libro “uscito fuori” dall’oblìo del tempo, quasi per caso.
Ce lo racconta il nostro conterraneo dott. Ugo Zannini, appassionato archeologo, nella prefazione alla ristampa anastatica del 1990:
Come quasi tutte le scoperte anche questa è casuale. Nel leggere la corrispondenza epistolare, tra l’illustre archeologo napoletano Giulio Minervini ed il canonico capuano Gabriele Iannelli mi imbattei in una lettera datata 23 marzo 1859 che alla fine così recitava: “Opportunamente vi prego a favorirmi ancora in procurarmi, se vi è possibile, l’opera del Weber De agro et vino Falerno, che avete accennato nel vostro Bullettino….”.
Dopo laboriosi controlli bibliografici e lunghissime ricerche l’edizione originale fu rinvenuta presso la biblioteca dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma.

Riprodotta anastaticamente, insieme alla cartina della Regio Falerna rinvenuta allegata all’edizione originale, con traduzione in italiano del prof. Fernando Tommasino e con nota storica del prof. Giuseppe Guadagno, è stata edita dall'Istituto Grafico Editoriale Italiano, 1990, a cura dell’ArcheoClub di Falciano del Massico.

La cartina della Regio Falerna

Karl Friederik WEBER, professore nell’Università di Marburgo (Germania), venuto a Napoli, conosce il vino Falerno e stimolato dal nome, che per lui filologo è pieno di fascino, compone nel 1855 questo studio che rappresenta, ancora oggi, l’unico contributo organico e completo sul territorio e sul vino Falerno.


Copertina del testo nell'edizione originale.
Esemplare conservato nella University of Virginia Library (da Google book)

L'incipit dell'opera 

domenica 30 novembre 2014

Il vino FALERNO: la leggenda delle sue origini



Vigneto alle pendici del monte Massico


Il nostro territorio, l’Ager Falernus, è stata la culla della prima "DOC" al mondo, vi si produceva, infatti, il vino più famoso dell'antichità: il Falerno, in un piccolissimo territorio, lungo l’asse della via Appia, nella zona tra le odierne Mondragone, Falciano del Massico e Carinola, ai piedi del monte Massico.

 
L'Ager Falernus 
 da: Prospettive di memoria.
Testimonianze archeologiche dalla città e dal territorio di Sinuessa


Su questo vino sono state scritte centinaia e centinaia di pagine, di versi e di leggende. Gran parte degli scrittori latini hanno tessuto l’elogio del Falerno (Cicerone, Macrobio, Varrone, Diodoro Siculo, Virgilio, Orazio, Dionigi d’Alicarnasso, Tito Livio, Vitruvio, Tibullo, Ovidio, Plinio il Vecchio, Marziale, Silio Italico, Stazio, Catullo), tutti ne hanno celebrato le lodi. 


D’altra parte della qualità e della fama raggiunta dal Falerno ne è prova anche il costo elevatissimo: al riguardo, molto importante è una scritta ritrovata a Pompei, incisa sul muro di una taberna, ove «Edoné fa sapere: qui si beve per 1 asse; se ne paghi 2, berrai un vino migliore; con 4, avrai vino Falerno» (CIL IV 1679).


Invitto Castrense, 
abbi propizi 
i tuoi tre dei 
cosí come li abbia tu che ora leggi.
Viva Edonè! 

Salute a chi legge.
Edonè vi dice:
Qui si beve per un asse, 

ma se me ne dai due berrai vini migliori; 
se poi me ne dai quattro 
ti faró bere del Falerno.
Viva Castrense!


Iscrizione dagli scavi di Pompei - Taberna di Edoné
www.pompei.numismaticadellostato.it/tappa03.html


Falerno, un vino il cui nome deriva da quello di un vecchio contadino proprietario di un podere nella regione del Massico, che un giorno ricevette la visita del dio Bacco, secondo una leggenda tramandataci da Silio Italico, scrittore latino del I secolo d.C., autore di Punica, il più lungo poema della letteratura latina che ci sia pervenuto, dedicato al racconto della II guerra punica tra Roma e Cartagine.
Prima di passare alla leggenda occorre ricordare i fatti storici: siamo all’incirca nel 212-211 a.C., le truppe cartaginesi si sono stanziate a Capua in attesa di rinforzi da Cartagine, oppure che altre città italiche seguano l’esempio di Capua, schierandosi contro Roma.
In questa fase della guerra Annibale, frustrato dall’accorta condotta di Fabio Massimo (il Temporeggiatore) comandante delle legioni romane, sta mettendo a ferro e fuoco l’ager Falernus; tra le file romane comincia ad emergere un effetto indesiderato della strategia di Fabio Massimo, il malcontento dovuto al senso di frustrazione; Fabio Massimo è quasi chiamato a giustificare la sua strategia e la sua tattica di attesa. Annibale sa come alimentare i sospetti contro l’avversario e risparmia dal saccheggio e dalla distruzione proprio un piccolo podere che Fabio Massimo possedeva nel Massico.

Vigneto alle pendici del monte Massico

Qui si innesta da parte di Silio Italico la leggenda del Falerno con il racconto della visita del dio Bacco al vecchio Falerno.
Durante l’età dell’oro, nel corso di un non meglio precisato viaggio ai lidi estremi d’occidente, Bacco sosta presso un vecchio contadino del Massico. Ignaro della natura divina dell’ospite, Falerno lo accoglie e gli mette a disposizione tutto quanto la sua dimora può offrire con l’energia e l’entusiasmo di un giovanotto: una mensa imbandita di frutti dell’orto, latte, favi di miele, pane, e al termine l’offerta rituale delle primizie. Lieto di ciò, Bacco fa dapprima in modo che tutti i recipienti della masseria (le tazze, ma anche i secchi usati per la mungitura) si riempiano del nuovo e profumato succo dei grappoli infine si rivela nella sua natura divina.
Il racconto si chiude con la divertente immagine del vecchietto felice e ossequioso, che barcolla in preda ai fumi dell’alcool prima di cadere in un sonno profondo: l’indomani la regione si sarebbe risvegliata tutta ricoperta di folti filari di viti.
 
Mondragone. Vigneto in località Tre colonne