La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

domenica 8 aprile 2012

Matilde Serao e Ventaroli di Carinola



Matilde Serao (Patrasso, 7 marzo 1856 – Napoli, 25 luglio 1927) è stata una scrittrice e giornalista italiana. È stata la prima donna italiana ad aver fondato e diretto un quotidiano, Il Mattino.

 
Matilde Serao nacque dal matrimonio tra l'avvocato napoletano Francesco Serao e Paolina Borely, nobile greca decaduta, discendente dei principi Scanavy di Trebisonda. Il padre Francesco, avvocato e giornalista, aveva dovuto lasciare la sua città nel 1848 perché ricercato come anti-borbonico. Durante l'esilio in Grecia aveva trovato lavoro come insegnante. Conobbe e sposò Paolina Borely, che sarà il modello della giovane Matilde.
Il 15 agosto 1860 la famiglia Serao, con l'annuncio dell'ormai imminente caduta di Francesco II, tornò velocemente in patria. Trovò alloggio a Ventaroli, frazione di Carinola.


A 26 anni (1882) lasciò Napoli per andare alla "conquista di Roma". Nella capitale collaborò per cinque anni con il Capitan Fracassa. Sotto lo pseudonimo «Ciquita» scrisse di tutto, dalla cronaca rosa alla critica letteraria. Inoltre si ritagliò uno spazio nei salotti mondani della capitale. Però la sua fisicità, la mimica e i modi spesso troppo spontanei per l'ambiente salottiero, la risata grossa, non la favorirono. Durante quelle riunioni, la sua fama di donna indipendente suscitò più curiosità che ammirazione.

Il primo incontro tra Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao avvenne nella redazione del Capitan Fracassa. Matilde Serao rimase affascinata da quel giovane intelligente e vivace. Nacque una relazione che suscitò il pettegolezzo della Roma-bene.
Il 28 febbraio 1885 Matilde ed Edoardo si sposarono. Gabriele D'Annunzio scrisse la cronaca della giornata su La Tribuna. La coppia andò a vivere a palazzo Ciccarelli, in Via Monte di Dio. Ebbero quattro figli: Antonio, Carlo e Paolo (gemelli) e Michele.


Tra Matilde Serao ed Edoardo Scarfoglio non nacque solo un'unione sentimentale, ma anche un sodalizio professionale. Scarfoglio pensava da tempo di fondare un proprio giornale quotidiano. Insieme con Matilde realizzò il suo progetto: nel 1885 fondarono il Corriere di Roma. La moglie vi contribuì coi suoi scritti e invitando a collaborare le migliori firme del momento. Tuttavia il giornale non decollò, per la concorrenza del più forte La Tribuna, il quotidiano romano allora più diffuso. Serao, prendendo spunto da quell'esperienza, diede alle stampe un corposo romanzo, Vita e avventure di Riccardo Joanna, che Benedetto Croce definì "il romanzo del giornalismo". 

Nel 1891 Scarfoglio e la moglie lasciarono il Corriere di Napoli, di cui cedettero il proprio quarto di proprietà ricavando 100.000 lire. Con questo capitale la coppia decise la fondazione di un nuovo giornale, che venne chiamato Il Mattino e uscì con il primo numero il 16 marzo del 1892. Matilde talvolta usava firmare i suoi articoli con lo pseudonimo "Gibus" (cappello a cilindro che si chiude a scatto).


Dopo la morte di Edoardo Scarfoglio (1917), la Serao sposò Giuseppe Natale. Morto anche il secondo marito, rimase sola, ma continuò con la stessa vitalità il suo lavoro giornalistico e letterario. 
Matilde morì a Napoli nel 1927 colpita da un infarto mentre era intenta a scrivere. 

http://www.scrittriciritrovate.it/ita/scheda-serao.php



Ventaroli di Carinola
Ventaroli è anche meno di un villaggio né voi lo troverete nella carta geografica: è un piccolo borgo nella collina più vicino a Sparanise che a Gaeta. Vi sono duecentocinquantasei anime, tre case di signori, una chiesa tutta bianca ed un cimitero tutto verde; vi è un gobbo idiota, una vecchia pazza e un eremita in una cappelluccia.
Ventaroli di Carinola
 (a sinistra la chiesetta dedicata a san Filippo e san Giacomo protettori del piccolo borgo)
Così Matilde Serao (in un articolo pubblicato postumo da “Il Mattino” il 24 giugno 1956) ci descrive Ventaroli, piccolo borgo del comune di Carinola, dove trascorse momenti importanti della sua adolescenza. Il borgo che ha conservato intatto l'aspetto di quel tempo conta oggi meno dei 256 abitanti di allora, si snoda lungo la strada che dalla strada statale Appia conduce a Carinola. 
La casa è ancora esistente, all’inizio del borgo, in fondo al vicoletto a sinistra, provenendo dall’Appia in direzione di Carinola.


Ecco come Matilde Serao ci descrive la casa in cui visse in alcune pagine scritte nel 1878:

Ventaroli di Carinola, casa di Matilde Serao
(A ricordo della giornalista-scrittrice una targa sopra il portone nobile)

Era una grande casa di provincia, con un portone sempre chiuso, quello nobile, pei signori che vi davano un forte picchio col bastone, e un portone sempre spalancato, quello dove passavano i carri di grano, di vino, di carbone, di pasta […] Avevamo allora per noi i cameroni vuoti dove si stendeva il bucato nei giorni di pioggia, le larghe terrazze sotto il sole a cui arrivavamo arrampicandoci per le ripide scalette di legno, la grande loggia del primo piano, piena di maggiorana e di basilico… la dispensa del cortile dove si conservavano i salami e i formaggi… i granai dove rotolavamo giù dalle montagne di grano… .

Matilde Serao, Piccole anime, Milano, 1890. 

venerdì 16 marzo 2012

Margherita Branciforti, duchessa di Mondragone

Margherita Branciforti, duchessa di Mondragone
illustrazione tratta dal saggio di Pinella Musmeci

Chi era questa donna che accomunò ai suoi non indifferenti titoli nobiliari anche quello di duchessa di Mondragone, privilegiandolo e portandolo con sé per tutta la vita e anche oltre?

Margherita Branciforti 

duchessa di Mondragone

Palermo 12.7.1781 – Niscemi 23.5.1830


così recita una semplice lapide posta nel muro di cinta del nuovo cimitero di Niscemi (Caltanissetta) con una foto in bianco e nero ricavata da un ritratto ad olio.
A questa donna ha dedicato un interessante saggio “Rivediamo la storia di Margherita Branciforti Duchessa di Mondragone” la storica Pinella Musmeci, inserito in una raccolta di altri saggi dal titolo “Diafore dimenticate”, pubblicato in Acireale 2001.

Pinella Musmeci contesta, e lo fa con dovizia di riferimenti storici e documentali, quanto precedentemente scritto, nel 1930, da Rosario Disca in un’altra opera sempre dal titolo “Margherita Branciforti Duchessa di Mondragone”. Anzi la Musmeci non riesce affatto a
comprendere la ragione che spinse il Disca ad operare una così intricata commistione tra documenti legali ed affermazioni intuitive, pur di scrivere un'opera piacevole alla lettura, una storia romanzata, descrivendo la Branciforti come una donna leggera, amante dei balli di corte e della bella vita. Il Disca, prete di Niscemi, proprio a causa di questa pubblicazione fu sospeso a divinis per alcuni mesi ed inviato a fare “esercizi spirituali”.
Ecco come il Disca ce la descrive nella parte finale del suo lavoro:
… fu di statura mezzana, ben fatta e negli ultimi anni della sua vita piuttosto pingue: bellissima nel volto; fronte spaziosa adombrata da capelli neri, occhi vivaci, naso affilato, mani e piedi piccolissimi. Vanitosa e leggera, sentì poco l’amore materno; ebbe poca cura del suo onore e cercò sempre di brillare nella società tra i grandi. Usa agli esempi della sua famiglia, ebbe cuore grande e munifico, ma fu sempre debole; si mostrò più prodiga che generosa. Convinta che le sue ricchezze erano inesauribili, non curò l’integrità dei suoi beni immobili; con incredibile leggerezza contrasse enormi debiti, permise che altri avessero sprecate le sue rendite e si lasciò spogliare dei suoi beni. Ebbe l’orgoglio dei principi di Butera, ma non l’onore e la virtù. Abbandonata dal marito, non seppe vivere in un ritiro dignitoso; indulse facilmente ai vizi, e finì vittima di un secondo marito che solo agognava alle sue ricchezze. La sua proprietà del valore di circa 85.000 onze, cioè unmilioneottantatremilasettecento-cinquanta lire, per quei tempi una ricchezza enorme, era costituita da feudi e da canoni. Alienò definitivamente due feudi, gravò di enormi ipoteche gli altri in modo da considerarsi anche perduti del tutto; dissipò in canoni per sciupare denaro; e alla sua morte lasciò debiti che il cav. Gout notò per onze 28877, 6 …..
Il saggio della Musmeci, puntuale e preciso, frutto di un’approfondita e lunga ricerca condotta in archivi storici ed ecclesiastici di Napoli, Palermo ed anche in Spagna, ci descrive, invece, una donna con tutti i suoi problemi, legata al suo tempo e alla sua famiglia.


Niscemi, palazzo Branciforti
foto tratta da internet (autore: Salvatore Brancati)


Margherita Branciforti, figlia di Ercole Michele Branciforti Pignatelli, principe di Pietraperzia e principe ereditario di Butera, e di donna Ferdinanda Riggio Moncada, dei principi di Aci e di Campofiorito, sposò in Napoli il 26 maggio 1790, in prime nozze, il duca Filippo Agapito Grillo Sanseverino, conte di Carinola, erede del titolo di Duca di Mondragone. Si spense a Niscemi il 23 maggio 1830 in un palazzo barocco, ancora esistente, da cui si domina tutta la piana di Gela; aveva lasciato Palermo circa sei anni prima senza mai più ritornarvi. Dal matrimonio erano nati tre figli: Domenico, Giuseppe e Maria Rosa. I primi due morirono, il primo in tenera età e l’altro in Sicilia, all’età di circa 20 anni, in circostanze mai accertate e forse collegate ai moti rivoluzionari di Palermo del 1820; la terzogenita Maria Rosa Grillo sposò il 31 marzo 1808 Giovanni Carlo Doria, principe di Angri, e morì in Napoli il 1 agosto 1863.


Mondragone. Palazzo ducale
Edificato dalla famiglia Grillo  intorno al 1700.


Per approfondimenti:
  • Rosario Disca, Margherita Branciforti duchessa di Mondragone, tipografia Scrodato, Gela 1932, X.
  • Pinella Musmeci, Rivediamo la storia di Margherita Branciforti duchessa di Mondragone, in Diafore dimenticate, tipografia Guerrera, Acireale 2001.




lunedì 12 marzo 2012

Rocca di Mondragone sotto la signoria dei Carafa e dei Grillo.

Mondragone, la Rocca
Nell’anno 1391, re Ladislao, successore di Carlo III, nell’ambito della sua politica di donazioni e concessioni volta a rafforzare attorno a se la nobiltà locale, assegnò a Jacopo Sannazaro il feudo di Rocca di Mondragone.  Il feudo rimase sotto la signorìa dei Sannazaro fino al 1430, per poi passare nelle mani di Giovan Antonio Marzano, Duca di Sessa, sotto il regno della regina Giovanna II, che perseguitò duramente coloro che erano stati fedeli al fratello Ladislao, spogliandoli di ogni privilegio.
A metà del XV secolo, durante il conflitto tra angioini e aragonesi, Rocca di Mondragone, che era una delle fortezze più importanti del Regno di Napoli, ancora sotto il potere del duca Marino Marzano, è assediata dalle truppe di Re Ferdinando I d’Aragona. 
In seguito, 1461, è concessa in feudo alla famiglia Carafa che la terrà ininterrottamente fino al 1690 con mero e misto imperio, praticamente l’esercizio di tutti i poteri: politico, amministrativo, fiscale, militare, giudiziario affidati al feudatario. Si tratta di una competenza, molto ambita e spesso comprata, per poter esercitare il potere giudicante non solo nelle cause civili, ma anche in quelle penali.
Questo il documento originale, cosi come riportato in Storia di Mondragone di Biagio Greco, 1927:
In anno 1479. Re Ferrante asserisce haver in anno 1461 venduto con patto de retrovendendo quandocumque al magnifico Antonio Carafa pro et suis utriuspe sexus haeredibus et successoribus in perpetuum, et in feudum la Terra della Rocca di Monteragone cum suis hominibus, vassallis, Juribus, Jurisdictionibus, mero mistoque Imperio et gladii potestate, Banco justiociae et cognitione primarum Causarum Civilium, Criminalium et mixtarum per ducati 2000 hoggi per altri ducati 5000 li cede detto Jus luendi e li vende libere detta Terra del modo predetto prout tenuerunt Praedecessores.
Antonio Carafa fu, quindi, I° feudatario di Mondragone; a lui successe il 29 maggio 1467 il figlio Luigi Carafa che sposò Isabella Della Marra, figlia del signore di Stigliano.
Con atto di privilegio dato a Barcellona nel 1519 il feudo di Rocca di Mondragone viene elevato a ducato e Don Antonio Carafa (+1528) diviene I° duca di Rocca di Mondragone.
A lui succedettero don Luigi Carafa (*1511 +1576) 2° duca di Rocca di Mondragone; don Antonio Carafa  (*1542 +14-8-1578), 3° duca di Rocca di Mondragone. Successivamente ancora don Luigi Carafa (*12-10-1567 + 22-1-1630), 4° Duca di Rocca di Mondragone. Fu quindi la volta di don Antonio Carafa che fu duca dal 1602 ed alla morte di questi nel 1624, per mancanza di eredi maschi divenne duchessa di Rocca di Mondragone donna Anna Carafa che andò in sposa, il 12 maggio del 1636, a don Filippo Ramiro de Guzman, duca di Medina de la Torres e viceré di Napoli nel periodo 1637-1644.
Alla morte del figlio di questi ultimi, Nicola Carafa Guzman (1638-1689), per mancanza di legittimi successori ex corpore, il feudo passò nella disponibilità della corona di Spagna e messo all’asta.
Ecco come le cronache del tempo riportarono la notizia:
(6 febbraio 1689) A detto dì, con la posta venuta da Spagna s’ebbe aviso ch’era morto il principe di Stigliano, figlio primogenito del fu duca di Medina de las Torre e di donn’Anna Carafa, vicerè di questo Regno di Napoli, di mal di pietra, senza lasciare figliuoli o altro legittimo successore, essendogli premorti due fratelli ch’avea. Per lo che sono ricaduti al fisco i suoi feudi, ascendenti al valsente a più di tre millioni, imperciochè, oltre lo stato paterno, che possedeva in Spagna, possedeva altresì in questo Regno, per l’eredità materna, più di trecento fra terre, città e castella; e già il fisco ha sequestrato ogni cosa.
Il feudo fu reclamato da donna Marianna Guzman Guevara, sorella del defunto per parte di padre, e, in un primo momento, i beni le furono anche assegnati dalla Regia Corte, ma la transazione non fu approvata da Carlo II di Spagna e V re di Napoli che in quel momento, forse, aveva un impellente bisogno di denaro per far fronte alla guerra di Milano che aveva prosciugato le casse imperiali.
Si aprì così la più importante causa di devoluzione feudale del XVII secolo.


Mondragone, Palazzo ducale

Nell’anno 1690 Rocca di Mondragone con i suoi casali di S. Angelo e S. Nicola, secondo  “l’apprezzo dei beni della famiglia Carafa” contava 203 fuochi per un totale di 1389 abitanti. Tra di essi erano 10 soldati a piedi e 2 a cavallo, 14 sacerdoti e 10 clerici, 2 notari ed 1 giudice a contratto, uno speziale di medicina, 1 medico, 3 barbieri, 6 sarti, 2 scarpari, un ferraro, 2 mastri d’ascia (falegnami), 3 botteghe di mercerie, 2 fabbricatori (muratori), 20 massari (quelli che gestivano le proprietà terriere di nobili e signorotti locali), una taverna ed una chianca, tutti gli altri erano bracciali, cioè lavoratori agricoli a giornata.
La popolazione si era più che dimezzata rispetto al censimento effettuato nel 1443, quando Rocca di Mondragone con i due casali di S. Angelo e S. Nicola contava 466 fuochi. In mezzo vi era stata la più grande epidemia di peste che abbia mai conosciuto il nostro paese (1629-1631): nel solo Regno di Napoli ci furono circa 900.000 vittime.
Nel maggio del 1691 il ducato della Rocca di Mondragone, unitamente alla baronìa di Carinola, viene aggiudicato a tale Francesco Nicodemo che, nel luglio dello stesso anno, lo girò con atto del notaro Paolo Colacino, reggente l’ufficio notarile presso la Regia Corte, a don Marcantonio Grillo, nobile genovese, marchese di Clarafuentes.
Dal 4 novembre 1692, con l’atto di assenso e la nomina a duca di Mondragone e conte di Carinola, da parte di Carlo II di Spagna, don Marcantonio Grillo (*Genova 26-9-1643 +12-9-1706) diviene feudatario della Rocca di Mondragone, con diritto di maggiorascato.
Alla sua morte, 1706, successero Don Agapito IV Domenico (*17-11-1672 +16-1-1738), Don Filippo Agapito V (*4-12-1699 +18-3-1783), Don Domenico (*20-4-1748 +13-12-1801).
Nell'anno 1752, la popolazione complessiva dei casali di S. Angelo e San Nicola e della Terra di Mondragone era di 1597 anime, suddivisa in 338 fuochi, 21 vedove e virginis in capillis, 32 forestieri abitanti, 31 ecclesiastici.
Ultimo feudatario della Rocca di Mondragone fu Don Filippo Agapito VI (* Mondragone 13-5-1770 +11-7-1820), Conte di Carinola e 4° Duca di Mondragone che sposò in Napoli il 26-5-1790 Donna Margherita Branciforte (*Palermo 1775 +Niscemi 1830), figlia del Duca Don Ercole Michele 10° Principe di Butera e di Donna Ferdinanda Reggio dei Principi di Aci, discendente da una delle famiglie più importanti del Regno delle due Sicilie. 

sabato 10 marzo 2012

I "fuochi" di Rocca Montis Dragonis nell'anno 1443

Alfonso I d'Aragona
(statua esistente sulla facciata 

del Palazzo Reale di Napoli)
Nell’anno 1443, Alfonso I d’Aragona ordinò la prima e più antica statistica relativa al Regno di Napoli; l’indagine si basò sul conteggio, per evidenti scopi fiscali, dei nuclei familiari denominati “fuochi”. 
La numerazione dei fuochi fu un vero e proprio censimento dei beni e delle persone con la descrizione nominativa del capoluoco (capofamiglia) e di ogni altro convivente, di cui si segnalavano l’età, lo stato civile, il mestiere. La rilevazione fu condotta casa per casa da un numeratore, delegato dal  Regio Governo e affiancato da deputati (eletti del popolo) dell'Università.
Sulla base del numero dei fuochi venne determinata la tassa da pagare “focatico”; il fuoco si identificava con l'insieme di persone, unite da vincoli di diversa natura, che traevano sostentamento da un patrimonio comune e dal reddito delle attività dei singoli componenti.

L’indagine relativa a Rocca di Montis Dragonis fu effettuata il 10 agosto 1443 "die X mensis Augusti".
Focolaria infrascripta fuerunt annotata in Roccha Montis Dragonis, intervenientibus lacobo de Rita, Sisto de Augustino, Antonio Canistro, Sindicis, ac Mastro de Novello et Mastro Mielo de Manso, Antonio Porcella, juratis et injuntis sub pena unciarum mille de veritate dicenda.
Il Liber Focorum Regni Neapoli conservato presso la Biblioteca Berio di Genova, un documento di carattere fiscale che, seppure non datato, risale senza dubbio all’epoca aragonese, riporta nelle Terre Ducis Suesse anche il toponimo Roccha montis dragonis.


Si riportano i nomi dei capofamiglia dei singoli fuochi: è possibile riscontrare come  a distanza di oltre cinque secoli si siano mantenuti intatti alcuni cognomi.

Fuochi della Rocca di Mondragone


Nardo de lanni, Colaferro dicto Piczolillo, Iacobo Ferro, lacobo Ventre, Maria Angel, Antonio Ferro, mastro Pedro Policano, lacobo Palumbo, Sabbatino De Vico, Pedro de Eventurello, mastro Andrea Siciliano, lacobo Stocco, Simone Surrentino, Cola d'Aviano, Tommaso de Griffo de Aversa, Antonello de Notaro Tommaso, Benedicto Sementino, Antonio Sementino, Patraczo de Filippo, mastro Malandrino dicto Bartolomeo de Rosa, Nardo de Vastello, Antonio Piczo, Ianne de Fanello, Anello lannarone, lanne Paribello, lacobo de Capua, Mastro Miele de Manzo, Antonio de Miele, Cubella Miraglia, mastro Domenico Damiano, Jacobo Russo, Pietro Bollaje, Romano Faravello, Pietro Fazalone, Masella di Giovanni, Cristoforo Ventre, Giovanni Ventre, Antonio Ventre, Margherita di lacobo, mastro lacobo Salzone, Andrea di Teano, Cola Bullo, Benedetto di Bona, Gaetano di Azarra, Nardo Martino, Maria Papa, Giovanni Papa, Pietro Papa, Antonio Martino, Tommaso Cola Martino, Antonio Brodella, Dominico Casandrino, lacobo Casandrino, Antonio Mormile, Simonello de Stabia, Cola Guarrillo, Antonio di Beatrice, Martino di Antonio di Beatrice, Andrea Beatrice, Benedetto di Borza, lacobo Casandrino, Pietro Barrese, Nardo Ventre, Masella Renda, Cola Bullo, Benedicto di Bona, Antonio Buglio, Beneditto de Bianca, Nardo Martino, lanne Papa, Pietro Papa, Antonio Martino, Giovanni de Cola, Petruccio di Ranaldo, Francesco Petrucci, Gubello Musella, Cola di Petruccio, Dicto Zaccaro, Bartolomeo Montanaro, Cola d'Alife, Giovanni Montanaro, Santuccio di Toraldo, Pietro di Goffredo, Giovanni di Mastello, Matteo Pepe, lacobo d'Assisi, Marco di Posillipo, Salvatore di Filippo,  Antonio lacobello, Antonio Romanello, lacobello di Santo, Antonio di Apolito, Romano Caiollo, Gubello Pellegrino, Vito Rocco, Antonio Canistro, Pietro De Angelis, mastro Antonio Caraniello, Angelo Canistro, Angelo Piro, Luigi Di Nola, Cubello Novello, Antonio Nuoro, Antonio Di Manzo, Maria di Notar Tommaso, lacobo Ceraldo, Antonio de Filippo, Francesco Signorello, Antonio Signorella, lacobo Piro, Giovanni di Carlandrea, Cola de Vivo, Tommaso De Vivo, lacobo Borzano, Rosa Novello, Antonio Portella, Angelo di Antonio, Andrea Pirolo, Palameda Spatario, Andrea Cerqua, Angelo Itri, Tommaso Zaffarano, Antonio Mola, Giovanni Fiore, Giovanni Rotundo, Pietro Marzano, Antonio di Loisio, lacomino di Finizia Tabernaio, Ambrosio di Napoli, Barnaba Tituno, Margarita di lacobo, Antonio Russo, Cubello Agnello, Bartolomeo di Morbraca, Santillo Tarolisi, Nardo Azuto, mastro Nicola di Pastina, Tommaso di Toro, Laurenzo di Alneto, Laurenzo di Salvatore, Bartolomeo di lanua, Marco di Turaldo, Pasquale Gizzariello, Cola Ferro, Riccardo lannarone, Martino Ferro, Cicco Feiro, Luca di Augustino, Antruela Coppola vidua, Andrea Ferraro, Andrea Catiello, Pietro Durante, Antonius filius eius, Gerardo de Piedimonte, Antonius filius de Gerardo, Cubolina et Benedictus, Silvestro Cardillo, Cristofaro Silvestri, lanne De Rosa, lanne Casillo, Angelus filius dicti, Costantia uxor Angelo Bozzillo, Rofinus Bozzillo, Cola Tutaro, Lucia vidua Thomasi, Martino de Ceraulo, Antonio di Colilla, Angelo Morrone, Caterina Morrone, Antonio Abbate, Sisto Montanaro, loanne Montanaro, Antonius filius dicti, Briante Camarino, Geronino Capuano, lanne fiIiae eius, lanne Coluzzo, Vito Antonio di Vito, Petruccio di Vito, Francisco di Principato, Santillus di Santillo, Antonio Casandrino, Cubello de Mola, Franciscus Mormile, Margarita de lacobo, Romano Pezzella, Petruczo de Masella, lacobo Stocco, Antonio Vonnerolla, Laurenzo de Beatrice, Tommaso de Mariotto, lacomino de Finara, Andrea de Mango, Faustino Rossillo.



Fuochi della Borgata S. Angelo

Boccuzzo Nardo, Iacobo Vecza, Boccuzzo Pietro, Gabriele de Sisto, lacobo Casale, Andrea Caruso, Alimanno de Minicuzzo, Francesco de Lanna, loanne de Minicuzzo, Antonio Palumbo, Angelo Donato, Marco Nigro, Cola de Romano, Andrea Cantello de Capua, Paolo Pico, Pietro de Aversa, Renzo de Facio, Angelo de Vito, Cicco Ventre, Giovanni de Chianura, Ioanne de Roccetta, lacobo Vecza, Minico Saffonetta, Gubello Palumbo, Giovanni de Freda, Antonio Funaro, lannuero Marranello, Antonio de Mastro lanni, Minichello de Aversa, Benedicto Russo, lacopo lannarone, Cola de Mastro Filippo, Vitale Zoraldo, Minio Brodella, Paolo Zoraldo, Bernardo de Minio, Pietro de Goffredo, Ferrante Parise, Cola de Goffredo, Isabella de Angelo, Giovanni Todino, Angelo Parise, lacobo de Alanna, Salvatore d'Ambrosio, Petruccio de Carnicella, Pietro de Agostino, Cicco de Petruzio, Nardo de Largentara, Giovanni Vecza, Antonio de Novello, lacobo Vecza, Giovanni de Marotta, Benedicto de Avulpo, Martino Lombardo, Sisto de Agostino, Antonio de Martino, Bartolomeo de Benedicto, lacobo de Raia, Cola de Benedicto, Pietro Ferro, Sisto de Augustino, Agnolo Ferro, Antonio de Augustino, Antonello de lordano, Luca Vecza, Cola de Amerruso, lacobo de Amelio, Mastro Antonio Biancolella, Ianniczo de Sisto, lovan de Franchino, Pietro Vecza, lacobello, Maciarola, Benedetto de Sisto, Matteo de Marotta, Nardo Crolla, Stefano lezo, Martino de lordano, Marco de Marotta, Pascale lannotta, Antonio Crolla, Simone Rauso, Cola Querillo, Tuczo Guarrillo, Nardo Guarrillo, Antonio de Nicola, Benedicto Longo, Iodice Francisco, Antonello filius dicti Franciscis, Giovani de Borza, lacopo de Rita, Antonio Rofino, Marco de Nicola, Andrea de Aversa, Pietro de Lanno, Antonio Grossi, Bartolomeo de Iscla, Andrea Rauzo, Notar Nicola de Alfano, Giovanni Macza, Andrea Barrese, Blasio Rustico, Pietro Guerro, lanne Guarrillo, Benedicto de Nicola, Antonio Longo, Iodice Francesco de Nazarolo, leanne de Vita, Valentino de Rocza, lanne de Lanna, Petruzzo Macza, Blasio Barrese, lacobo Boccuzzo, Ioanne de Mazczano, Notarius Antonius, Andrea Grosso, Paolo de Romano, Vincenzo de Fano, lanne de Calvi, Ianne de Frida, Tommaso Barrese, Minichello de Prochita, Cubello Zolardo, Cubello de Goffredo, lanne de Prisco, Iacopo Maczeo, Nicolao de Ruffo, Pietro Ruczo.


Fuochi della Borgata S. Nicola

Ianne di Fundi, Antonio Macera, Cola Macera, Orazio Macera, Cola Maio, Maso di Buozo, Agnolo Ferraro, Petruzzo Capracotta, lacobo de Buozzo, Antonio di Coronnio, Geronimo Verdua, Diomina Campagna, Fusco di Gironimo, Ioanne Antonio di Ruzardo, Antonio di Sabatino, loanne Sorella, lanne Percullo, Ianne de Pasilipo, lacobo Caynano, lanne Palumbo, Antonio Pizillo, Gasparre Ferraro, Blasio di Toro, Maso di Gironimo, Marco Gipzo, Agnesia Zelitta, Errichillo de Pugliano, Stabile Ciletta, Minico di Nardella, Cubello Barrese, Maso Maio, Antonio Maio, Angelillo di Francesco, Petruzzo filius dicti Angelilli, Salvatore Mataro, lanne di Elia, loanna Vacca, Franciscus di Paolillo, Thomase Rotolino, lanne Sassone, Gregorio Barrese, Petro de Vito, Bartolo de Barberi, lacobo De Palma, Agnolo de Palma, Antonio Casale, Marino Taballo , Antonio Matteo, Andreana Capuano, Petro Casillo, Cubello Casillo, Angelo Bujano, Palma Zelitta, Tommasillo Ordo, Ambrosio di Marotta, Cola Catalano, Antonius filius ejus et Cubella vidua, Nardus Almo, Petrus Mazayodana, Antonius de Petro, Blasio Romano, Cola Vaccaro, Bartolo Maior, Angelo Romano, Maria de Putheolo, Cola Martino, loanne de Maria filius Cole, Antonius, Benedictus Iacobus alias filius Cole, Rita Zolitta, Peter Pedeconi, Maso Mantone, Masella Sassa, lacobua filius MaseIle, Carlo Barrese, Domenico Varrese, lannuzio Barrese, Pietro Barrese, Antonio Barrese, Antonio Brodella, Domenico Casandrino, lacobo Casandrino, Laurenzio Casandrino, Antonio Marino, Matteo Morinese, Antonio Morinese, Antonio Ventre, Nardo Ventre, Riccardo Ventre, Giovanni Ventre, Riccardo de Serio, Limonello de Stabia.

domenica 4 marzo 2012

Atti delle visite pastorali e Relazioni ad limina: aspetti storiografici e sociologici

Relazione ad limina (1648) del vescovo di Carinola mons. Girolamo Vincenzo Cavaselice.
La relazione è ricca di notizie: la Cattedrale, dopo l'incendio del 1644, è stata restaurata; la diocesi conta appena diecimila anime; l'Abbazia di Sant'Anna di Mondragone ha un monaco residente. 
La Relazione reca l'iscrizione: Datum Monte Dragonis kalende di dicembre 1648, il vescovo di Carinola risiedeva infatti nei mesi freddi a Mondragone.

La visita pastorale è tra gli atti fondamentali della vita della Chiesa fin dalle sue origini. Il Concilio di Trento (1545-1563) ne ha dato una rigorosa regolamentazione e ne ha fatto uno strumento fondamentale della Riforma cattolica, uno dei momenti più alti e importanti nella vita di una diocesi: anima regiminis episcopalis, così afferma lo storico Gabriele De Rosa in Storia e visite pastorali nel Settecento italiano, in Vescovi popolo e magia nel Sud, Guida editori, 1983.
Con il Concilio di Trento venne stabilito, infatti, l’obbligo per i vescovi a compiere frequenti visite pastorali alle comunità diocesane.

I vescovi siano tenuti visitar in propria persona o per mezo di visitatori la diocesi ogni anno, tutta, potendo, e quando sia molto ampla, almeno in doi anni. I metropolitani non possino visitar la diocesi de’ suffraganei, se non per causa approbata nel concilio provinciale. Gl’arcidiaconi et altri inferiori debbiano visitar in persona e con notario assonto di consenso del vescovo, e li visitatori capitolari siano dal vescovo approvati. E li visitatori vadino con modesta cavalcata e servitù, ispedendo la visita quanto prima, né possino ricever cosa alcuna, eccetto il viver frugale e moderato, il qual però gli possi esser dato o in robba, o in danari, dovendosi osservare il costume, dove non è consueto di non ricever manco questi. Che li patroni non s’intromettino in quello che toca l’amministrazione  de’ sacramenti o la visita degl’ornamenti della chiesa, beni stabili ovvero entrate di fabriche, se per fondazione non gli converrà.                                                                
 Paolo Sarpi, Istoria del Concilio Tridentino, in Letteratura Italiana Einaudi

Giuseppe Crispino, vescovo di Amelia, autore di un importante testo sulla materia, Trattato della visita pastorale, Roma, 1695, più volte ristampato, scriveva che “il governo pastorale senza la buona visita è un governo languido, un governo morto, che a nulla vale”.
La visita pastorale si presenta, quindi, come una grande ispezione del vescovo sulle parrocchie e sulla vita religiosa nella sua diocesi. Secondo il Trattato del Crispino, essa si svolge, per lo più, in forma solenne e segue, con maggiore o minore fedeltà, lo schema di determinate istruzioni. La visita è preparata dall’annuncio e dall’invio di questionari ai parroci che devono riferire circa lo stato ecclesiastico e quello delle anime appartenenti alla parrocchia.
Tutte le scritture relative alla visita devono essere raccolte, secondo il Crispino, in un volume diviso in due parti: la visitatio civitatis e la visitatio diocesis; ognuna di queste è divisa in sei capitoli che comprendono la visita locale (edifici, tetti, mura e pavimenti), quella reale (suppellettili ed arredi vari, sacri e non) e quella personale del clero. Altro capitolo deve dedicarsi ai decreti emessi in corso di visita o emanandi. Altre due parti sono infine dedicate all’aspetto puramente economico con il rendimento dei conti e l’eventuale indicazione di “atti giudiciali contro i delinquenti e contro i debitori dei luoghi pii”.
I vescovi sono tenuti a custodire gelosamente le scritture relative alle visite ed a rendicontarne con Relazioni ad limina la Santa Sede. Ma non sempre gli atti relativi alle visite pastorali risultano ben conservati negli archivi delle curie vescovili, specialmente in quelle diocesi dove miseria, povertà e calamità naturali ne hanno resa precaria la vita, oppure in quelle che in un ambito relativamente ristretto di tempo hanno subito più cambiamenti territoriali: riordinamenti ecclesiastici, declassamenti, accorpamento o addirittura soppressione di sedi episcopali, come si è verificato con la diocesi di Carinola, soppressa ed accorpata alla diocesi di Sessa Aurunca, a seguito della Bolla “De utiliori …” emessa da Pio VII nel 1818.
Gli atti delle visite pastorali e, in special modo, le Relazioni ad limina assumono oggi un valore eccezionale in quanto contengono assai spesso notizie, che altrove non si troverebbero, specialmente per gli anni anteriori al 1800, e che riguardano non solo aspetti della storia ecclesiastica e religiosa. Questi documenti diventano fonti importanti in quanto ci danno notizia dei fenomeni popolari della pietà, delle tradizioni di culto, di devozione e di obbedienza seguite dal gregge numeroso delle parrocchie, dal popolo che affolla le chiese e frequenta le confraternite; tali documenti consentono originali rilevamenti sociologici che sono premessa indispensabile per una storia non ideologica, né intellettualistica della Chiesa e della società civile e religiosa di una determinata epoca. Abbiamo detto storia civile, perché negli Atti delle visite pastorali sono raccolti dati che una volta rientravano nella statistica della vita della parrocchia: popolazione, arti, assistenza. Il parroco doveva riferire al vescovo di tutto: se v’erano pubblici usurai e chi fossero, quanti fossero i medici e i chirurghi, le ostetriche, i librai, gli osti; doveva informare sulle rendite, le decime e i benefici. 
Il ricorso agli atti delle visite è indispensabile anche per la storia del costume, per conoscere consuetudini, superstizioni, feste.
Eilen Power ha scritto, Vita nel Medioevo, Torino, 1966, dell’enorme importanza che riveste la documentazione costituita dagli atti ecclesiastici medievali per lo studioso moderno di cose sociali, quindi non solo per lo storico della Chiesa; infatti, poiché nella sterminata documentazione archivistica medievale una parte cospicua è rappresentata, specialmente dopo il Concilio tridentino, proprio dagli atti delle visite pastorali, dai libri parrocchiali e dalle Relazioni ad limina, appare evidente come essi siano documenti preziosi per ricostruire l’ambiente storico e sociale, non soltanto di una parrocchia o di una diocesi.

sabato 3 marzo 2012

mons. Adelchi Fantini, parroco di San Nicola in Mondragone

Mons. Adelchi Fantini (1923 - 1992)
Adelchi Fantini, figlio di Carlo e di Marianna Fargnoli, nacque a Castelforte (Lt) il 10 gennaio 1923. Ricevette il Battesimo nella chiesa parrocchiale di S. Giovanni Battista il 10 marzo dello stesso anno.
Frequentò, con brillanti risultati, le scuole elementari del paese natìo; gli studi secondari nel Seminario Arcivescovile di Gaeta; quelli filosofici e teologici nel Seminario Regionale di Salerno, ove si distinse sempre per quella intelligenza viva e combattiva, che poi rivelerà in ogni tratto del suo ministero e della sua azione pastorale.
L’incontro di Fantini con la terra sessana avvenne durante l’estate del 1945, erano i mesi della grande battaglia di Montecassino tra tedeschi ed anglo-americani.
Tra gli sfollati che si dirigevano al di qua del Garigliano, c’era anche un giovane seminarista, Giovanni Adelchi Fantini che, insieme ai suoi parenti, venne accolto da una famiglia di Fasani. 
Lasciamo che siano Ie sue parole a descrivere l'avvenimento: 
“ ... feci l’animatore nella parrocchia di Fasani, priva del reggente, don Luca Lecce, da poco deceduto. In occasione della festa di San Martino, patrono della parrocchia, sollecitai la presenza del Vescovo, che entrò nel piccolo borgo a dorso di un asino, per poter guadare il Rivo Grande, dal momento che I’unico ponte d’accesso era interrotto, minato dalle truppe tedesche in ritirata. In risposta alle parole di ben venuto rivolte al presule da una bambina nella piazzetta del paese, nel complimentarsi con il giovane seminarista, Mons. De Cicco esclamò: «Desidererei tanto che questo giovane restasse nella mia diocesi!».
Questo desiderio, mediato dalla divina provvidenza, si e poi verificato”.
Il 6 giugno 1947, per imposizione delle mani del vescovo Mons. Gaetano De Cicco, nella Cattedrale di Sessa Aurunca, veniva ordinato sacerdote.
A distanza di appena un anno dall'ordinazione, veniva mandato, precisamente il 16 luglio 1948, festa della Madonna del Carmine, come parroco della popolosa comunità di San Nicola in Mondragone.
All’epoca la parrocchia era sita in locali angusti o addirittura fatiscenti in via magg. Boccucci, la parte più antica del rione di San Nicola.
Suo primo compito fu quello di costruire la nuova chiesa parrocchiale, i cui lavori iniziarono il 18 ottobre 1954, utilizzando la legge Aldisio del 1952. Per la sua progettazione ricorse al famoso architetto Gaetano Rapisardi.



La vecchia chiesa di San Nicola in Mondragone

1959, don Adelchi Fantini sul cantiere della erigenda chiesa di San Nicola in Mondragone


Il complesso parrocchiale San Nicola in Mondragone
E quando parlava di Rapisardi i suoi occhi si riempivano di gioia e si esaltava ancora di più quella sua parlata dialettale della terra di nascita.
II tempio, solenne e maestoso, s’impone oggi in tutta la sua splendida bellezza e celebra lo spirito di pietà e l’intelligenza, geniale e volitiva, di questo intrepido apostolo del Signore.



Chiesa di San Giovanni Bosco, Roma, quartiere Tuscolano. 
Costruita dall'arch. Gaetano Rapisardi,  tra il 1953 e il 1958, è coperta dalla cupola più grande di Roma,
dopo San Pietro e il Pantheon, per un diametro di 31 metri.
La struttura della cupola è simile a quella della chiesa di San Nicola in Mondragone.
Foto tratta da:www.flickr.com/photos/hyotsuk/1340883955/in/photostream. 
Ringrazio l'autore sig. Corrado dell'Olio per la gentile concessione alla pubblicazione.

Nel tempo la sua opera, illuminata e illuminante, varca i confini della sua parrocchia e abbraccia i vasti campi della pastorale diocesana, cui diede un forte impulso come Direttore dell'Ufficio Catechistico, come Delegato Vescovile per Ie Confraternite, insieme a numerosi altri incarichi. Fu Vicario Foraneo di Mondragone e Presidente del Capitolo Collegiale di San Giovanni Battista, zelando la purezza del culto in onore di S. Maria Incaldana, di cui era filialmente devoto.
Il 2 luglio 1982 veniva nominato Cappellano di S. S. Giovanni Paolo II.

Ha scritto di lui, don Franco Alfieri in un articolo pubblicato sulla Rivista Diocesana di Sessa Aurunca n. 1-2, anno IV, gennaio-giugno 1992:
Libero e schietto, estroso, imprevedibile, audace, profeta, integro ed intero, incontenibile e vulcanico nei progetti e nelle realizzazioni, visceralmente attaccato e votato alla causa della sua gente e della sua città. Ecco il ritratto di un uomo, di un prete, Mons. Adelchi Fantini, che fece della sua vita un dono, del suo cuore un tempio, della sua geniale forza intellettiva una leva per rompere ogni forma di accerchiamento che potesse compromettere il futuro dell'uomo. La sua azione poderosa fu sapientemente promozionale. Si espose sempre in prima persona, coinvolgendo tutto se stesso nella lotta di liberazione del suo popolo. Non ti lasciava mai indifferente la sua persona e le sue idee e rompevano in forme multicolori dalla sua esuberanza mentale. Mai si restò privi d’un dono.  
Qualche volta destava impressione quel suo apparire sciatto e trasandato. A ben pensarci, in quel suo porsi, senza etichette, nella spontaneità dei gesti, delle parole e di tutto se stesso c’era una venatura di acqua zampillante. Infatti il suo bagno tra la gente fu fervoroso e quotidiano, perché con immediatezza e senza mediazioni si immergeva nelle problematiche e nel tessuto vivo del popolo quasi di impulso. E così naturalmente riusciva simpatico e originale.
Corredato di una intelligenza acuta e concreta, sapeva intuire il corso delle cose e disporre già nel loro accadere le risposte più pertinenti e incisive. Egli era sincero: nemico acerrimo della doppiezza. Su questo terreno gettava impetuosamente tutto se stesso per aiutarci a vivere da uomini liberi.

Morì, parroco di San Nicola in Mondragone, il 7 febbraio 1992, senza aver mai lasciata la comunità parrocchiale che gli era stata affidata.