La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

domenica 29 giugno 2014

Basilica di S. Maria di Foro Claudio a Ventaroli di Carinola



Ventaroli di Carinola.
 Basilica di S. Maria di Foro Claudio. L'affresco absidale


La chiesa di S. Maria di Foro Claudio sorge in un luogo ameno e salubre a Ventaroli, piccolo centro abitato distante 2 km da Carinola, in provincia di Caserta. È un tempio probabilmente fondato tra il IV e V secolo. A conferma della sua antica costruzione durante lavori di manutenzione e consolidamento statico sono venuti in luce nell’area del sagrato resti di strutture murarie di età paleocristiana e strutture in muratura listata della chiesa dell’VIII secolo.


Ventaroli di Carinola.
 Basilica di S. Maria di Foro Claudio. Strutture murarie paleocristiane


La basilica – detta anche “Episcopio” perché sede vescovile fin a quando sotto San Bernardo (1087-1099), la sede episcopale fu trasferita a Carinola –, è un piccolo edificio e vi si accede scendendo sette scalini, essendo il pavimento più basso del terreno circostante. Quasi sicuramente la basilica fu ricostruita prima del 1087. Questo tempio prima fu denominato di Santa Maria di Valle d’Oro, poi di Santa Maria dell’Episcopio, e quindi di Santa Maria della Libera, poiché vi si venerava la Vergine che liberò e preservò mirabilmente chiunque ad essa ricorreva dal luttuoso contagio della peste del 1656.
Nonostante il suo indiscusso valore storico-artistico l’ex Cattedrale non ha ricevuto, nel corso dei decenni, necessarie cure. Solo nel 1971 si realizzò un solaio con travi in ferro, preservando così l’elemento più importante della chiesa, ovvero gli affreschi.

Ventaroli di Carinola.
 Basilica di S. Maria di Foro Claudio. La facciata

 
Ventaroli di Carinola.
 Basilica di S. Maria di Foro Claudio. L'abside visto dall'esterno


Seguendo un sentiero tra le campagne si giunge alla chiesa, la cui facciata mostra un elegante portale rinascimentale e il paramento murario rivela evidenti resti del triforium.
L’interno è a tre navate, divise da quattordici colonne monolitiche, con capitelli corinzi e con tre absidi a forma semicircolare, copertura a tetto e quattro finestroni per lato sulla navata centrale. All’interno, sei finestroni strombati danno luce alla navata sinistra, mentre quella destra appare senza aperture, il che fa pensare che ci fosse un corpo di fabbrica addossato a detto lato.


Ventaroli di Carinola.
 Basilica di S. Maria di Foro Claudio. Il portale rinascimentale


Nella navata nord si ammira un affresco quattrocentesco con S. Leonardo, la Madonna con il Bambino fra i Santi Nicola e Bernardo, attribuito a Nicola da Belarducci e Antonino, suo compaesano, da Carinola. Alle pareti figura un Giudizio Universale alterato, mentre meglio conservate sono le raffigurazioni dei vari “mestieri”. 

Ventaroli di Carinola.
 Basilica di S. Maria di Foro Claudio. Particolare dell'affresco absidale

Nell’abside centrale l’affresco più interessante, una Madonna con Bambino chiamata Vergine di Valledoro, seduta su un trono imperiale fra due angeli, mentre al di sotto un Arcangelo è posto fra i Santi Pietro e Paolo ai cui piedi corre una fascia decorata di elefanti.
Nelle absidi laterali e sulla parete della navata meridionale figurano monaci benedettini e una Madonna con il Bambino.

La datazione di questi affreschi è discussa, ma sono assegnabili tra la fine dell’XI e la prima metà del XII secolo.


Ventaroli di Carinola.
 Basilica di S. Maria di Foro Claudio. Affresco


Ventaroli di Carinola.
 Basilica di S. Maria di Foro Claudio. Affresco raffigurante San Martino di monte Massico


Ventaroli di Carinola.
 Basilica di S. Maria di Foro Claudio. Una delle allegorie dei mestieri


Il testo è tratto da: 
L'influenza cassinese nelle più antiche chiese medievali della Campania. 
Fonti storiche, architettoniche e archeologiche 
di Pierfrancesco Rescio.

Le foto sono di Salvatore Bertolino.

domenica 15 giugno 2014

Carinola. Il Premio Giornalistico Nazionale "Matilde Serao" 2014 a Bianca Berlinguer. Attribuito a Maria Pirro la prima edizione del Premio Giovanile



Si alza il sipario sull’edizione 2014 del Premio Giornalistico Nazionale “Matilde Serao” attribuito, quest'anno, alla direttrice del TG 3 Bianca Berlinguer.
Per la sezione giovanile, istituita da quest’anno, saranno invece premiate, Maria Pirro e Chiara Coppola, che si sono classificate, rispettivamente, al primo e secondo posto. Come quello tradizionale, il Premio Giovanile, riservato alle giornaliste professioniste e non, under 35, è  tutto al femminile ed è finalizzato a premiare il talento, la professionalità, l’originalità, il coraggio e la passione di operatrici dell’informazione alle loro prime esperienze. Il Premio Giovanile, ogni anno, sarà caratterizzato da un ambito o tema di riferimento individuato preliminarmente dal Comitato Promotore.
L’ambito prescelto per l’edizione 2014 è stato Raccontare il Sud, un tema intorno al quale si sono articolati i lavori presentati dalle concorrenti che hanno saputo far emergere le problematiche, i valori, le potenzialità, le contraddizioni del Sud.
Il  Premio Giornalistico Nazionale  costituisce un omaggio alla memoria di Matilde Serao, alla sua vita, alle sue opere, ma soprattutto al suo impegno di giornalista      imprenditrice, fondatrice di ben quattro giornali tra i quali, appunto, Il Mattino di Napoli.
Con l’iniziativa, che si avvale della collaborazione e del patrocinio de «Il Mattino e dell’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, l’Amministrazione comunale di Carinola, promotrice dell’iniziativa, vuole, ricordare uno dei suoi più illustri concittadini: Matilde Serao nacque, infatti, dall'avvocato Francesco, profugo in Grecia, originario di Ventaroli, frazione di Carinola, dove la giornalista trascorse i primi anni della sua giovinezza.
Anche quest’anno tutto il lavoro preparatorio ed organizzativo è stato curato dall’Associazione Culturale “Matilde Serao”, infatti, “è proprio grazie al lavoro e alla passione dell’Associazione, che con l’edizione di quest’anno, - ha dichiarato Antonio Corribolo, ideatore della manifestazione -  il Premio farà un ulteriore salto di qualità. Dobbiamo, pertanto, essere grati soprattutto a quanti all’interno dell’Associazione “Matilde Serao” si sono occupati sia del Premio tradizionale sia di quello giovanile e, sotto quest’aspetto, un plauso particolare va a Caterina di Iorio, Amalia Vingione, Lucia Ruosi, Lidia Luberto, Salvatore Bertolino, la Presidente Silvana Sciaudone e il vice Presidente Enrico Tuozzi e soprattutto a tutti gli iscritti all’Associazione Culturale “Matilde Serao” residenti in varie parti d’ Italia e qualcuno anche all’estero»
Nelle edizioni precedenti, il Premio “Serao” è andato a Natalia Aspesi (La Repubblica), Carmen Lasorella (Rai 2), Giovanna Botteri (Rai 3), Donatella Trotta (Il Mattino), Daniela Vergara (Rai 2), Rosaria Capacchione (Il Mattino), Lucia Annunziata (Rai 3), Titta Fiore (Il Mattino) e Barbara Stefanelli (Corriere della Sera).


Carinola. Palazzo Petrucci

La cerimonia di consegna dei premi si svolgerà come di consueto a Carinola, il prossimo 25 giugno, alle ore 17,30, nello storico Palazzo Petrucci, dimora storica di Antonello Petrucci, segretario di Re Ferrante d’Aragona.

venerdì 13 giugno 2014

L'abbazia benedettina di Sant'Angelo in Formis

Abbazia di Sant'Angelo in Formis


La chiesa fu costruita al tempo dei Longobardi nel VI secolo, in onore dell’Arcangelo S. Michele alle falde del Monte Tifata, presso Capua. La Basilica fu detta prima ad arcum Dianae, perché edificata sui ruderi del tempio di Diana Tifatina poi detta in formis o ad formis per la presenza di alcune arcate di acquedotto.
Grazie agli scavi archeologici degli ultimi anni conosciamo l’esatta ubicazione del tempio di Diana e la sua tipologia. L’attuale piano di calpestio e buona parte del pavimento della basilica, così il perimetro della chiesa ripercorre il perimetro del podio su cui si innalzava il tempio. All’esterno, sul lato sud vicino al campanile e all’interno, appena entrati nella chiesa, il podio presentava un paramento in blocchi di tufo grigio e doveva essere di tipo etrusco-italico ad una sola cella orientato ad ovest. Non si sa con precisione quando fu edificata la chiesa, ma essa esisteva già al tempo del vescovo di Capua Pietro I (925-938), il quale concesse ai monaci di Montecassino la chiesa di S. Michele Arcangelo per costruirvi un monastero, come risulta dal Chronicon cassinese. Nel 943 Sicone, vescovo di Capua e di stirpe longobarda, tolse la chiesa ai Cassinesi per darla in beneficio ad un diacono che sembra trasformò l’edificio sacro in luogo di ritrovo per gli oziosi del luogo. Nel 944 i monaci fecero ricorso al Pontefice Marino II, il quale ordinò al vescovo, sotto pena di scomunica, di rendere prontamente la chiesa di S. Angelo de monte ai monaci.
Non si sa per quali ragioni, ma già nel 1065 l’edificio sacro risultò nelle mani dell’arcivescovo di Capua, Ildebrando, figlio di Pandolfo I. Nel 1066 il principe Riccardo con Giordano, suo figlio, donarono alla chiesa di S. Angelo il territorio di Sarzano con le sue pertinenze. Sei anni dopo, nel febbraio del 1072, il principe donò il cenobio di S. Angelo con tutte le sue pertinenze al monastero cassinese. Desiderio, il grande abate cassinese, fece ricostruire ed affrescare la nuova chiesa tra il 1072 e il 1087.
Tra il principe e l’abate, già legati da vincoli di amicizia, iniziò una stretta collaborazione nella definitiva sistemazione della chiesa e del convento. Su antiche colonne fu innalzata la basilica e negli immediati dintorni furono costruiti una foresteria, la sacrestia, l’ospedale, un ospizio e, più tardi, una cappella dedicata a San Nicola di Myra. Nacque un vivo centro monastico che ospitava una comunità di ben quaranta monaci. In un documento del 15 settembre del 1095 Riccardo II, principe di Capua, conferma a S. Angelo in Formis le possessioni e i privilegi concessi al monastero da Riccardo I e da Giordano suoi successori. Il monastero ebbe lunga vita e solo nel 1417 fu soppresso, quando i monaci andarono via e l’antico cenobio divenne, sotto il pontificato di Martino V, una prepositura soggetta a Montecassino.
Prima del 1574 inizia la serie degli abati commendatari. Il cardinale, Antonio Carafa, è il primo che iniziò il lento abbandono degli edifici cenobitici. Nel 1732 l’abate Giuseppe Renato Imperiale fece eseguire numerosi restauri per rimettere in sesto la chiesa e gli edifici annessi. Nel 1766 il monastero divenne dipendenza della Chiesa di S. Marcello a Capua. Successivamente, nel 1799 venne dichiarata di regio patronato, perché i Borboni si autoproclamarono eredi dei principi normanni Riccardo I e Giordano I. Nella prima metà del XIX secolo l’abate Caprioli ne ristrutturò il soffitto e vi aggiunse la sacrestia e il cimitero.
Nel 1870 la Badia passò al demanio dello Stato.


Abbazia di Sant'Angelo in Formis: particolare


La Chiesa di S. Angelo in Formis è considerata l’edificio più importante dell’architettura romanica nella regione Capuana. Si presenta con un portico lungo 17,40 m, a cinque fornici, quattro archi acuti di richiamo musulmano con volte a crociera uno centrale a tutto sesto, con volta a botte, molto più alto degli altri sostenuti da quattro colonne, due di marmo cipollino e due di granito, mentre ai due lati due massicci pilastri di tufo. Le quattro colonne, chiaramente di spoglio, furono prelevate da un tempio o da una costruzione civile.
La facciata della chiesa si eleva al di sopra del portico e mostra tre finestre rotonde, simili a quelle delle pareti laterali, oltre una più piccola in alto. Il portale centrale d’ingresso della chiesa, coronato da un arco semicircolare e da un architrave con iscrizione.
Il campanile, posto a sud, si trova in posizione arretrata rispetto al pronao ed è alto 19m. È costituito da due piani di differenti materiali: il primo di marmo bianco ed il secondo in mattoni rossi. Il primo piano ha due porte con arco a tutto sesto, di cui uno murato e due sottili finestre. L’ornato della cornice è tanto simile a quello dell’archivolto del portale dell’Abbazia, da far supporre che una medesima maestranza sia stata all’opera nei due casi. Su ogni lato del secondo piano, quasi della stessa altezza del primo, si apre una bifora a tutto sesto. Anche questo piano termina con una cornice di marmo più piccola. Rimasto in piedi solo per due terzi della sua altezza, originariamente la costruzione doveva esplicare anche la funzione di torre di avvistamento. Infatti, per meglio poter svolgere questa funzione nel Quattrocento fu abbattuta l’elegante cupoletta sormontata da una croce. Interessante è la bicromia degli ordini. La zona inferiore in travertino e quella superiore in cotto, secondo una tradizione riscontrabile anche nei campanili di Capua, Salerno, Caserta Vecchia e nelle torri federiciane di Capua.
L’interno dell’edificio è a tre navate, quella centrale più ampia e lunga, divise mediante una doppia serie di sette colonne, terminanti in tre absidi, senza transetto né cripta. Le colonne, di granito e di marmo cipollino, sostengono otto arcate a tutto sesto. Nel 1732 il cardinale Giuseppe Renato Imperiale, il cui nome compare su di una lapide apposta sulla parete sinistra del portico, aggiunse alla chiesa il soffitto, arricchendola di altri cinque altari. Ai lati dell’ingresso due acquasantiere: quella a destra formata da un’ara romana tardoimperiale, l’altra è un capitello di stile romanico appoggiato su un rocchio di colonna.
L’altare maggiore è un sarcofago romano sistemato qui verso il 1964 e proveniente dal Museo S. Martino di Napoli. A sinistra dell’altare si trova un pulpito di marmo poggiante su quattro colonne. Sul parapetto un’aquila acefala, che trattiene tra gli artigli il Vangelo, fa da leggio. Il pulpito doveva essere poi del tutto rivestito di mosaici, oggi purtroppo scomparsi.
Sulle pareti delle absidi si rivelano le tracce di finestre, tre in quella centrale e una in quelle laterali.
Durante la costruzione della chiesa di Montecassino Desiderio inviò a Costantinopoli dei monaci col compito di assoldare abili maestri nel lavoro in marmo e nei mosaici, inoltre l’Abate volle che i giovani novizi e i monaci si avvicinassero a queste tecniche artistiche. Purtroppo a Montecassino nulla è rimasto, ma pregevoli testimoni delle tendenze importate dai mosaicisti bizantini e dell’arte in Italia dell'XI secolo sono gli affreschi di S. Angelo in Formis. Sicuramente realizzati al tempo di Desiderio (1072-1087) – e per fortuna ritrovati nel 1840 da un mastro muratore – gli affreschi, realizzati secondo un preciso piano teologico-didascalico illustrano la storia della salvezza secondo una vera carrellata di personaggi e scene del Vecchio e del Nuovo Testamento.
Il ciclo pittorico presenta i due cicli testamentari, un Giudizio Universale in controfacciata, ma molte sono anche le rappresentazioni dei profeti. All’esterno al di sopra dell’architrave, accolgono i fedeli due lunette; in quella inferiore la Madonna orante in un medaglione sorretto da due angeli mentre in quella superiore l’Arcangelo Michele. Nelle lunette degli altri quattro archi vi sono le Storie di S. Paolo e di S. Antonio, probabilmente risalenti al XIII secolo. Nell’abside centrale in alto il simbolo dello Spirito Santo, la colomba, nel mezzo Cristo seduto sopra un trono bizantino con la mano destra in atto di benedire alla maniera greca.
Ai lati del Cristo i quattro simboli degli Evangelisti, mentre ai suoi piedi S. Gabriele, S. Raffaele, S. Michele, S. Benedetto con il libro della regola e l’Abate Desiderio che offre il “modellino” della chiesa. Sulle pareti della navata centrale si sviluppa, in tre ordini, il percorso evangelico. Sui piedritti delle colonne sono affrescati i Profeti ed altri personaggi della Sacra Scrittura, mentre sulle pareti della navata centrale si dispiegano gli episodi più salienti del Vangelo.


Abbazia di Sant'Angelo in Formis: portale


Abbazia di Sant'Angelo in Formis: ciclo di affreschi
Il testo è tratto da: 
L'influenza cassinese nelle più antiche chiese medievali della Campania. Fonti storiche, architettoniche e archeologiche 
di Pierfrancesco Rescio.
Le foto sono di Salvatore Bertolino.

giovedì 12 giugno 2014

La Cattedrale di Cales



Cales, oggi Calvi Risorta, la Cattedrale

Di questo, che è tra i monumenti meglio conservati della Campania medievale, non resta purtroppo alcuna notizia storica circa la sua costruzione. Secondo la tradizione la primitiva chiesa sorgeva non molto distante dall’odierna Cattedrale e si identificava con la basilica paleocristiana di San Casto Vecchio, ma alcuni fanno risalire la fabbrica alla seconda metà del IX secolo, cioè negli anni in cui regnò su Calvi un certo Atenulfo, che sembra abbia trasformato l’antica città in castrum. Tuttavia le caratteristiche formali, sia dell’architettura che della plastica architettonica, suggeriscono che la costruzione della Cattedrale debba essersi svolta entro la prima metà del XII secolo.


Cales, oggi Calvi Risorta, la Cattedrale: ingresso laterale

Purtroppo della costruzione romanica originaria rimangono poche tracce: le tre absidi, il muro esterno della navata sinistra e alcuni componenti essenziali della facciata. La chiesa subì un primo restauro nel 1452, ma il terremoto del 25 luglio 1805 causò seri danni all’edificio. La facciata si aprì in più punti e i primi pilastri e l’arco maggiore si squarciarono.
Successivamente, la Cattedrale fu riparata intorno al 1792-1829. Unico elemento medievale originario della facciata è il portale centrale, la cui mensola di sinistra rappresenta una figura armata che ammazza un drago, mentre in quella di destra è raffigurato un animale fantastico. La cronologia dell’archivolto è ancora dibattuta, ma sulla base della morfologia della sua forma è possibile ipotizzare una datazione intorno al XIII secolo.
Sul lato settentrionale dell’edificio, in posizione arretrata, si erge il campanile rinascimentale, costruito nel 1591, come testimonia un’epigrafe. La torre campanaria, divisa in tre ordini da due cornicioni, fu restaurata perché pericolante nel 1960.
Dedicata alla Vergine Assunta la Cattedrale di Calvi è a pianta basilicale trinavata conclusa da tre absidi, con transetto contenuto entro il perimetro. Sotto il presbiterio si apre una cripta voltata a crociera.


Cales, oggi Calvi Risorta, la Cattedrale: il campanile

All’interno della Cattedrale il manufatto più interessante è la cattedra episcopale, il cui seggio è retto da due solenni figure di elefanti con zampe rigide come colonne saldamente cementate al terreno. Degno di nota all’interno della chiesa è il pulpito, sostenuto da due leoni stilofori, che mostrano stringenti affinità coi leoni della Cattedrale di Capua e con i due leoni che si trovano ai lati dell’ingresso della Cattedrale di Caserta Vecchia, destinati ora a sorreggere due acquasantiere.

Il testo è tratto da: 
L'influenza cassinese nelle più antiche chiese medievali della Campania. Fonti storiche, architettoniche e archeologiche 
di Pierfrancesco Rescio.

Le foto sono di Salvatore Bertolino.