Manuela Piancastelli, valente giornalista de IL MATTINO, in un suo lavoro
I Grandi Vini della Terra di Lavoro,
parlando del Falerno dice:
Il vino più famoso dell’antichità in assoluto, fu il Falerno. E fu anche la prima doc del mondo perché, per la prima volta nella storia, il vino fu identificato nel territorio, ossia in quell’Agro Falerno sui cui confini si sono accapigliati per secoli gli studiosi, ma che doveva avere il cuore nella zona tra Mondragone, Falciano e Carinola, ai piedi del monte Massico e che si estendeva lungo l’asse dell’Appia.
La storia ci racconta che i Greci, quando arrivarono in Italia fondando Cuma nel 730 a.C:, portarono come corredo anche alcune viti, le cosiddette aminee delle quali, nonostante la mole di studi, si sa in effetti ben poco. Plinio nella Naturalis Historia e Columella nel De re rustica, qualche secolo dopo, ne fecero una sorta di classificazione (maiuscola, minuscola, e gemella, cui fu aggiunta la germana e la lanata) che però ci aiuta poco nell'identificazione di quei vitigni con quelli attuali.
Mi sono imbattuto, facendo nelle mie ricerche, in un articolo a firma di Giovanni De
Stasio, originario di Falciano del Massico, apprezzato giornalista de Il Mattino, Il Giornale di Caserta, Il Corriere del Mezzogiorno, autore di una pubblicazione proprio sul Falerno, di cui è un ottimo produttore, pubblicato
su Caserta Economia & Lavoro,
rivista on-line edita dalla Camera di Commercio di Caserta.
Il vino Falerno da
nettare degli dei alla conquista di Parigi e del vitigno Primitivo
Così scriveva Luigi
Veronelli considerato il più grande cantore moderno del vino che ha contribuito
a fare la storia, la civiltà dei popoli. Il vino è il Falerno, considerato il
"number one" dell'enologia antica e moderna. Il più antico, il più
blasonato, il più celebre, il più caro vino della storia!
La più inebriante
bevanda dell'umanità. Una cosa è certa: il Falerno è la Storia. Come la Storia
dell'antichità e della modernità. L'eternità! Certo nessun altro elemento
resiste all'inesorabile usura del tempo, a dargli la paternità di infinità è il
grande Marziale quando lo definisce "Immortale Falernum".
Evidentemente presagiva che il Falerno conservasse la sua fama imperitura.
Veramente un dono di Dio se si pensa che questa magica bevanda aveva svolto un
ruolo, importante nella storia, nella cultura, nella tradizione, nell'economia
dei popoli. Per non parlare dei suoi effetti miracolosi nel campo dell'amore,
tanto da essere definito, dall'ex presidente dell'ordine regionale dei
giornalisti Ermanno Corsi il "moderno Viagra". Ma non è che
nell'antichità romana non avessero, sperimentato gli effetti afrodisiaci del
Falerno. Lucano scriveva che il Falerno dava spinte vigorose e penetranti agli
incontri di Cleopatra.
Ma è tutto il Parnaso
latino ad elevare il suo inno di gloria al Falerno. Tutta la poesia e tutta la
letteratura romana antica pullulavano di panegirici al Falerno, quasi
considerandolo come un dio della salute e dell'amore. “Nettare degli dei .....
Massico umore di Bacco", il "vino degli imperatori" così veniva
declamato nell'antichità latina. Basti ricordare che a quei tempi una cena, un
pranzo per essere dichiarati "importanti e di lusso" dovevano essere
innaffiati dal vino Falerno, che si fregiò della prima DOC al mondo.
Il grande Cesare
festeggiò i suoi successi bellico-politici con il Falerno. E quando non si
aveva la fortuna di possederlo, ci si scusava - come successe ad Orazio - che
avendo invitato a cena si giustificava di non potergli offrire il mitico
Falerno. Ma innaffiò le cene pantagrueliche di Trimalcione e Damisippo, dove
avevano partecipato i potenti di allora.
Virgilio, nel secondo
libro delle Georgiche scriveva che il Falerno non aveva rivali. Orazio definiva
il Falerno un vino "severus", "fortis" e
"ardens"; Marco Terenzio Varrone annetteva al Falerno una fortissima
spinta propulsiva tale da chiamarlo "incendium virium"; Marziale lo
inneggiava "Immortale Falernum"; non meno elogiativa l'espressione di
Plinio che lo chiamava "auterumm"; Dionigi di Alicarnassa "soave
e pulchri coloris"; Strabone "vinum optimum".
E quale l'apprezzamento del re del foro romano Cicerone?
"firmissimum, generosum ac praecipuae bonitatis". E del poeta
dell'amore Catullo? "Minister vetuli, puer, Falerni niger mihi calices
amariores".
Insomma tutta la produzione letteraria antica lo aveva
consacrato il migliore vino del mondo, e logicamente il suo costo era
altissimo. Una bottiglia di Falerno, sotto Diocleziano costava - così come riportano
i classici latini - 60 dinari, ossia - osservava lo storico-archeologo Giuseppe
Guadagno - "due Padreterni". Un'altra testimonianza sul prezzo del
Falerno è di Falerno che scrive: “Il falerno costa molto”; Diodoro Siculo
scriveva che un'anfora di quel vino si comprava con trentatre dinari. Con cento
dinari si compravano due buoi o quattordici quintali di grano. Ad Ercolano -
dice sempre Diodoro Siculo - con un bicchiere di Falerno si compravano le buone
prestazioni di due etere. Insomma, il Falerno era così richiesto che la sua produzione
non riusciva a soddisfare le tantissime richieste, tanto che esso veniva
frequentemente falsificato. Regge gli anni di invecchiamento? Ecco una
testimonianza dai classici: dal Satiricon di Petronio: "Intanto, vengono
portate anfore di vetro, accuratamente sigillate col gesso; sull'etichetta di
tela, che era attaccata al loro collo, si leggeva: Falerno del consolato di
Opimio anni cento. Mentre guardavamo questa scritta, Trimalcione battè
dolorosamente le mani dicendo: Ahimè! Il vino ha dunque più lunga vita di noi
fragili creature umane? Ma noi ci vendicheremo succhiandolo tutto. Nel vino è
la vita. Questo poi è quello di Opimio, garantito".
E la fama del Falerno è sfociata nella leggenda. La mitologia
racconta che il dio Bacco, proprio sulle falde del monte Massico, comparve
sotto mentite spoglie ad un vecchio agricoltore di nome Falerno, il quale,
nonostante la sua umile condizione, lo accolse offrendogli tutto quanto aveva,
latte, miele e frutta. Bacco, commosso, lo premiò trasformando quel latte in
vino che Falerno bevve, addormentandosi subito dopo. Fu allora che Bacco
trasformò tutto il declivio di Monte Massico in un florido vigneto.
Mondragone, località Tre colonne |
Ma quale la culla di questo vino leggendario?
Macrobio scrive testualmente: "Il territorio Falerno, il
Falernus Ager, si estende tra il Monte Massico ed il Volturno e precisamente
nel territorio dell'antica Calenum". Ambrogio Calepino; l'umanista
bergamasco del tardo 400, precisa che il vino Falerno è quello delle pendici
del Massico, tra Falciano, Casanova, Ventaroli e Cascano".
Il disciplinare per la Doc al Falerno prescrive, però, che si
produca nei 5 Comuni di Falciano del Massico, Carinola, Mondragone, Cellole e
Sessa Aurunca. Ma ora una domanda sorge spontanea: il Falerno contemporaneo è
ritornato - dopo la falcidia della fillossera del 900 - ad essere il
"number one" dell'enologia mondiale?
Con questo secolo è ritornato ad essere l'immortale Falernum,
l'incendium virium", il "nettare degli dei" dell'antichità? La
risposta - anche se i tempi sono cambiati - è positiva. Specialmente se il
Falerno lo si ricava dal vitigno Primitivo. Sia l'ex star Veronelli (l'ipse
dixit dell'enologia moderna) che Luigi Moio, una vera e propria autorità
mondiale dell'enologia e definito il "poeta del vino", hanno con forza
definito il Falerno il vitigno Primitivo.
Anche se il disciplinare della DOC
prescrive i vitigni Aglianico, Piedirosso e Barbera. Forse rispetto a prima
oggi il Falerno non gode del marketing di allora. Prima osannato ed incensato
da letteratura e da imperatori, oggi il mercato è selvaggio e non vince sempre
il migliore prodotto. L'intossicazione della propaganda e l'egemonia dei
"maghi del vino" la fanno da padroni. Ed è difficile che l'eccellenza
vinca sulla mediocrità. Oggi tanti titoli si comprano. Però, malgrado tutto, il
Falerno non vince, ma neanche perde la sfida dell'attuale "mercato
globale" governato dalla "competition is competition".
Vitigno uva Primitivo |
I convegni, i seminari, le degustazioni sul Falerno sono
all'ordine del giorno. Ed anche gli elogi per le ebbrezze che si sono provate
nella degustazione dell'attuale Falerno, sono copiosi ed entusiastici.
La laurea di ottimo vino al Falerno è venuta dal grandissimo
attore Laurence Olivier. Durante la lavorazione del film su Lady Hamilton a
Palazzo Reale a Caserta, l'attore fu ospite del preside Troianiello che
coltivava il Falerno sui colli di Casanova di Carinola, sempre alle falde del
mitico Monte Massico. Quando ritornò a Londra, Laurence inviò al preside un
biglietto che recitava testualmente: '"La ringrazio per il suo immenso
gradito regalo di quell'eccellentissimo Falerno. Lo berrò col roast beef come
lei suggerisce".
Un altro significativo riconoscimento arrivò tempo fa da una
iniziativa della Camera del Commercio di Caserta dove veniva fuori che "il
Falerno conquista Parigi". Un conclave tra i maggiori critici
enogastronomici italiani e stranieri, promosse a piene mani il Falerno. Ma il
protagonista della "tre giorni", svoltasi sul litorale domizio, fu
Alain Passard. Il cuoco francese, insignito di tre stelle Michelin e titolare
dell'Arpage di Parigi, è ritenuto tra i dieci migliori cuochi mondiali. Passard
mise insieme cucina francese e l'antico Falerno. E Francois Maussr presidente
del Grand europee du vin francese (una delle più importanti associazioni di
assaggiatori di vino disse che il Falerno ha tutti i numeri per competere con i
grandi rossi bordolesi di Francia".
E tanti e tanti altri simposi elogiativi per questa magica
bevanda. Bevanda che manda in estasi il grande giornalista Roberto Gervaso che,
in un epinicio al Falerno, scriveva sulla prima pagina de "Il
Mattino" che il Falerno favoriva il talamo.
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