La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

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sabato 24 maggio 2014

Lauro di Sessa Aurunca. La chiesa di San Michele arcangelo o Sant'Angelo


 

S. Angelo (o San Michele arcangelo) è la più antica chiesa di Lauro, si presenta austera, all’ingresso del paese, per chi giunge da est, da Sessa Aurunca. E' posta al lato della strada provinciale, su una piccola altura, un poggio tufaceo a ridosso della località «La Forma».
Non è grande, eppure appare, a guardarla dal basso, imponente.
Lo studioso Fiorillo, giunto all’inizio del 1979 per la prima volta a S. Angelo di Lauro, per verificare le condizioni disastrose in cui versava, afferma: «Ebbi distinta la sensazione di trovarmi al cospetto di una specie di rocca, un bastione o, meglio, d’una diruta torre medioevale, che esercitava un fascino particolare difficile a descriversi» e continua, mettendo in risalto «le strutture miniaturistiche, le proporzioni armoniose» del monumento, finanche «le pietre squadrate d’un bel bleu spento», mentre immagina «il tempo dello splendore antico».
Dieci anni prima Carlo Bertelli e Anna Grelle Iusco avevano svolto uno studio attento e dettagliato della Chiesa e lanciato un appello, affinché si intervenisse al più presto per salvare un grande patrimonio storico, religioso, artistico, culturale.
A richiamare l’attenzione degli studiosi era stato Don Pasquale Rivetti, canonico del Duomo di Sessa, parroco del paese per alcuni anni, che nella sua pubblicazione su Lauro del 1966, citata nel primo capitolo, aveva presentato i resti di «un’antichissima chiesetta… dedicata all’Arcangelo S. Michele», unendo anche alcune fotografie dell’esterno e dell’interno, in particolare dei «pregiati affreschi» egli scriveva, «che si presumono di stile bizantino, dei quali però parte sono tuttora ben visibili e parte purtroppo risultano deturpati e coperti dalla calce, appena risultanti dai graffiti delle aureole dei Santi».
Il Reverendo Parroco costatava con amarezza il reale degrado dell’opera e la sua destinazione a una «completa distruzione», in conseguenza dell’abbandono e della non valorizzazione di un monumento di così inestimabile valore, da parte «degli antichi abitanti» che il Parroco definì «imprevidenti e sprovveduti», e, in particolare, delle autorità competenti e della regione, cui fino allora la Chiesa era completamente sfuggita.
L’intervento del Bertelli e della Grelle nel 1971 è stato, quindi, provvidenziale, al fine di studiare e stimare gli affreschi di Lauro tra i reperti più raffinati dell’arte medievale e, soprattutto, sollecitare la Sovrintendenza competente a compiere un restauro, che gli stessi studiosi definirono «improcrastinabile».
Il più antico documento che si riferisce all’antichissima Chiesa è la Bulla di Adenulfo, con la quale s’investe Benedetto della Diocesi suffraganea di Sessa. Tra le Chiese sottomesse alla sua autorità, è nominata l’«Ecclesia S. Archangeli», che corrisponde, per l’ordine in cui è posta nell’elenco, alla Chiesa di S. Angelo di Lauro.
Altre fonti antiche non ci sono.
Il territorio della Curtis Lauriana era tra le pertinenze di Montecassino, prima della fondazione del monastero di Sessa, edificato nel 1012.
In seguito la Chiesa di S. Angelo di Lauro è nominata nelle Rationes Decimarum del 1308-10, per il pagamento delle decime, da parte di un Abbas Leonardus e nelle Rationes Decimarum del 1326.
Nel testo della Visita Pastorale di Mons. Caraccioli del 1753, della quale il Diamare pubblica ampi stralci, si menziona chiaramente la nostra Chiesa, insieme ad altre antiche Chiese, indicando anche dove fossero sorte, si legge: «… et S. Archangeli, quae erat antiqua parochia oppidi Lauri, quae omnes supponuntur fuisse de amplissimo districtu antiquissimae Civitatis Vestinae quae nomen dedit populis Vestinis, …»
Mons. Diamare nelle sue «Memorie critico-storiche della Chiesa di Sessa», riferendosi alle Chiese della Bolla di Adenulfo, asserisce: «La Chiesa di Sant’Arcangelo deve corrispondere all’attuale Chiesa parrocchiale di Lauro».
Nella seconda parte della sua opera, egli illustra le «4 frazioni», in cui era divisa la Diocesi di Sessa, dette «con linguaggio curiale foranie», civilmente indicate con il nome di terzieri, come riporta il De Masi; tra esse è la forania di Lauro.
Soffermandosi sulla parrocchia di Lauro dice: «Nulla di preciso sulla fondazione di questa parrocchia. Antichissimo però questo contado che aveva, … la sua Chiesa nel 1032 dedicata all’Arcangelo S. Michele, benché di piccola mole». Non sappiamo nulla intorno all’origine, ma sappiamo che S. Angelo è stata la prima parrocchia di Lauro, dedicata all’Arcangelo S. Michele.
Non ci sono molti documenti scritti, ma il poco che c’è, e, in particolare, la Chiesa stessa di S. Angelo, con i suoi antichi affreschi e le sue decorazioni pittoriche, indica che quella di Lauro è un’antica comunità di fede in Cristo Gesù, Nostro Signore e Salvatore.
Sul lato storico-artistico il Bertelli e la Grelle affermano: «In tanta scarsezza di notizie è dunque il monumento stesso che deve giustificare la propria datazione e la propria collocazione storica».
E’ possibile ammirare oggi, in tutta la sua monumentale bellezza, la Chiesa di S. Angelo, grazie ai lavori di ristrutturazione dell’edificio compiuti con l’intervento della Sovrintendenza, in seguito al sisma del 1980 «ed in virtù dei fondi maggiori destinati alle zone terremotate», come sottolinea il Fiorillo. All’interno, però, non è possibile, per ora, ammirare la bellezza dei suoi affreschi, dei suoi colori, delle sue pitture; il distacco degli affreschi si è reso necessario, secondo gli studiosi, per recuperare, seppur in modo frammentario, il prezioso patrimonio. Gli affreschi sono oggi al Museo dell’Opera e del Territorio presso la Reggia di Caserta. La Chiesa di S. Angelo vive un tempo di attesa, nella speranza di ritornare a rifulgere nella magnificenza del suo antico, originario splendore.
Il saggio del Bertelli e della Grelle ci aiuta a cogliere la bellezza artistica della Chiesa e il significato profondo degli elementi che la costituiscono, che va oltre la storia e l’arte e ci comunica la fede profonda di un popolo.
La Chiesa di S. Angelo si apre a oriente con un campanile, aderente alla facciata. In esso si trovano alcuni frammenti romani: resti di pavimentazione in opus spicatum utilizzati in alto come ornamento, in basso sono murati due frammenti di marmo lunense, di cui una base nello spigolo destro del portale. In seguito all’intervento di risanamento dell’edificio nel 1980, la base è risultata essere un’ara, inserita in posizione capovolta, rispetto all’originaria. Sul lato frontale riporta un’epigrafe, purtroppo non completamente leggibile, per l’usura della pietra, disposta su tre righe, le cui lettere sono di altezza crescente. Il nomen del personaggio femminile della prima linea è andato perduto, il cognomen è rimasto solo in parte e, per lo spazio disponibile, si può pensare a un’integrazione quale FIRMINA. Non si sa per chi il dedicante fece fare l’ara, oltre che per sé, si può supporre il consorte o un altro familiare. Sotto l’iscrizione funeraria vi sono i resti di una ghirlanda, di cui si vedono solo alcune foglie, nella sua parte concava c’è un’aquila, posta frontalmente, che poggia le zampe sul festone ed ha le ali spiegate, alla sua destra c’è attorcigliato un serpente. Al di sotto del festone è rappresentata la lotta dei galli, che simboleggia l’immortalità e gli istinti combattivi. Sul lato destro vi è una patera. Il lato sinistro è inserito nella muratura. L’ara è databile tra la fine del I sec. d.C. e i primi decenni del II sec. d.C. , ciò si rileva dai caratteri dell’epigrafe e dal tipo di ara.


Il campanile ha una finestra arcuata ed ha alla sommità due piccole volute ad S rovesciata, che gli danno «un’intonazione barocca»; è tutto in blocchi squadrati di pietra locale. Esso poggia su archi alti 2,10 m; tra gli archi vi è una piccola volta a botte, un breve corridoio permette di accedere alla Chiesa. La costruzione del campanile non è perfettamente in asse con la Chiesa.
La Chiesa è costituita da un’unica navata alta e stretta, lunga 6,40 m e larga 4,50 m; termina ad occidente con il presbiterio, che va oltre il perimetro della navata, è lungo 6,25 m e profondo 3,80 m, senza calcolare l’abside circolare. Vi si accede dalla navata attraverso un arco. Il presbiterio è più alto della navata di circa un 1 m, 4 scalini, che in parte sono nello spessore del muro, essi risalgono al sei - settecento, ma vi sono tracce di scalini più antichi. Ciò fa capire, insieme ad altri elementi, che il presbiterio sin dall’origine fosse sopraelevato. Le mura del presbiterio sono più alte rispetto a quelle della navata di 45-50 cm. Addossata al muro del presbiterio, vi è una panchina di pietra, che lo caratterizza come tale.
L’abside è alta 3,86 m ed è larga 2,54 m, fu chiusa da una muratura con decorazione settecentesca, eretta a scopo d’altare nel 1700.
Il presbiterio è tripartito e voltato, le volte alle due estremità sono a botte, la volta centrale, in corrispondenza dell’abside, è a crociera. Tale struttura sembra essere originaria, probabilmente la volta a crociera poté essere più tardi riparata. Il Bertelli e la Grelle evidenziano «alcune analogie, specialmente nell’alzato», tra la nostra Chiesa e la Chiesa di S. Michele a Corte in Capua.
Attraverso «un cunicolo scavato modernamente» si giunge al di sotto del presbiterio al lato meridionale, in un ambiente lungo con volta a botte, da qui ad una grotta, sotto la parte centrale del presbiterio, davanti all’abside, inesplorata e, ancora oltre, sotto la navata, s’intravede un’altra cavità anch’essa inesplorata. La zona è ricca di grotte e cunicoli.
«La costruzione» della Chiesa «è di una spoglia semplicità», è «in blocchi… di pietra locale», cementati, che s’innalzano a formare i muri «su uno zoccolo di materiali informi, ricoperti d’intonaco». Gli archi della Chiesa sono formati da «ghiere degli stessi blocchi». Le due finestre, (una terza fu chiusa durante i lavori allo spigolo sud-est dell’edificio), al lato meridionale della navata, al lato settentrionale non ci sono, «sono, all’esterno, strette come feritoie», hanno «un solo blocco orizzontale», dove è «scolpito» «l’archetto della finestra». Il presbiterio ha due finestre alle due estremità, non strombate. Il muro della facciata è costituito da «materiali informi», come lo zoccolo delle pareti.
All’interno «la Chiesa era tutta intonacata, come dimostrano le pietre scalpellate dove ora l’intonaco è caduto; ed è da supporre che fosse in gran parte coperta di affreschi, poiché qua e là se ne vedono i resti». Così il Bertelli e la Grelle scrivono nel loro saggio.
Dall’attenta analisi da loro effettuata risulta che, oltre agli affreschi votivi, «ve n’è un gruppo così legato alle strutture dell’edificio da far ritenere che si tratti di pitture eseguite assai per tempo», essi specificano: «Vogliamo dire: gli affreschi nella lunetta sopra la porta, negli sguinci delle finestre, in una lunetta sopra l’arco del presbiterio - dalla parte interna - e, infine, nell’abside». Ne aggiungono, poi, «altre tracce… in altre parti della chiesa».




Il testo è di:
Rita Anelina, tratto da Lauro Story, alla quale vanno i miei ringraziamenti.   


Ulteriori informazioni specialmente sugli affreschi che decoravano la chiesa, atualmente non in situ, e sulla storia del borgo di Lauro di Sessa Aurunca:

http://sollyman59.blogspot.it/p/la-storia-di-lauro-ce.html#sthash.1ODWh0eI.dpuf


Le foto a corredo sono di:
 Salvatore Bertolino

giovedì 22 maggio 2014

Antica Suessa: il Criptoportico


Sessa Aurunca. Criptoportico


Riportato alla luce, insieme a parte del Teatro romano, agli inizi del XX secolo dall’archeologo Amedeo Maiuri, famoso per avere condotto gli scavi archeologici di Pompei, il Criptoportico, che confina con il teatro, ma senza punti di collegamento diretto con esso, è stato per oltre ottanta anni la testimonianza più importante della “colonia romana” di Suessa. Con i più recenti scavi archeologici del Teatro, particolarmente ricchi di opere d’arte, il Criptoportico, monumento non comune nel panorama dei siti archeologici e risalente all’età tardo repubblicana, comincia ad essere dimenticato, tanto da diventare una sorta di “selva amazzonica”.


Sessa Aurunca. Criptoportico

L’attuale Amministrazione comunale, grazie alla ferma volontà dell’Assessore ai Beni Culturali ed al Turismo, Ing. Italo Calenzo, ha provveduto, mediante un’accurata opera di pulizia, a rendere nuovamente fruibile il prezioso sito, restituendo il Criptoportico a tutta la sua originaria bellezza.

E' possibile ammirare nuovamente le “due navate” con gli stucchi bianchi che celano iscrizioni e disegni, tra questi la “nave romana”.



Sessa Aurunca. Criptoportico

Il Criptoportico è il monumento dell'area archeologica dell’antica Suessa meglio conservato; esso è situato nei pressi del Foro su una terrazza sul lato occidentale dell’odierno abitato, nell’area del convento di S. Giovanni.  
L'edificio è stato oggetto di indagini e di studi da parte dell'archeologo Amedeo Maiuri che lo scavò nel 1926. La funzione che il Criptoportico dovette assumere in antico fu certamente a carattere pubblico. Esso racchiudeva, probabilmente, uno spazio aperto, una piazza forse dotata di portici e di un tempio. Dal rilevamento di numerosi graffiti sull'intonaco delle pareti il Della Corte ha individuato iscrizioni di vario tipo riferite a vicende quotidiane, ma anche di tipo sportivo o gladiatorio. Inoltre, vi sono stati letti nomi di poeti greci, versi virgiliani, ed esercitazioni di scuola in lingua greca e latina che hanno fatto pensare alla possibilità che, in un certo periodo, il luogo fu utilizzato come sede di una scuola.  
L'edificio è esteso per m.75,90 sul lato maggiore e per 40,70 m. in quello orientale. Ha un impianto a tre ali coperte da volte a botte sorrette da file di arcate a tutto sesto. Le tre ali non sono tutte nelle medesime condizioni. L'ala nord è appoggiata alla collina mentre quella est, la cui estremità è addossata a strutture preesistenti di fine IV secolo a.C. e del periodo repubblicano ed è in una parte perduta. Quella ovest, infine, è incorporata in una casa colonica. L'illuminazione dell'edificio è realizzata attraverso finestre rettangolari a strombo aperte verso l'area centrale; esse sono poste a distanza regolare ed appaiate negli interassi. Per la sua tecnica edilizia, in opera incerta con caementa di trachite, la fabbrica del criptoportico è attribuibile al periodo sillano o tardo-sillano mentre più tarda (inizio del I secolo d.C.) è la decorazione superstite realizzata in stucco bianco. Questa si particolarizza in alcune membrature architettoniche a rilievo, paraste con capitello a "sofà" con palmette e volute, che rivestono i pilastri delle arcate e le pareti laterali.
Sessa Aurunca. Criptoportico

Sessa Aurunca. L'area archeologica del Teatro romano e a destra il Criptoportico




Foto di Salvatore Bertolino
Testo e disegno tratti da internet

martedì 6 maggio 2014

Al FOOF, il Museo del Cane di Mondragone, il premio Museo innovativo 2014




L'ANMLI, Associazione Nazionale Musei Locali e Istituzionali, l'11 aprile 2014 a Torino, davanti a una platea formata da direttori di musei ed esponenti del mondo universitario italiano, ha assegnato al FOOF il riconoscimento di Museo Innovativo.
Il premio è stato assegnato al museo del cane FOOF per il riconoscimento della creazione di una realtà innovativa capace di trasformare un luogo come un canile in un'esperienza viva. Il progetto si caratterizza, inoltre, per la notevole vocazione partecipativa, per la capacità di creare reti, l'attezione al marketing e la capacità di comunicazione.


Annoverato tra i quattro Musei di nicchia da visitare in Europa, Il FOOF è interamente dedicato al migliore amico dell'uomo ed è il primo del suo genere in Europa. 
E' possibile vedere fossili di 35 milioni di anni, opere d'arte originali di Fernando Botero e Jeff Koons, ed una collezione di collari canini antichi e moderni.

C'è anche un grande parco pieno di arte e siepi scolpite per Fido (e per gli accompagnatori) tutte da godere. 


Una sala del Foof, il Museo del cane

sabato 29 marzo 2014

I Convegno Nazionale su "AUSONES-AURUNCI nel Lazio e in Campania"


Falciano del Massico: panorama



Organizzato dal Comune di Falciano del Massico e dall’Archeoclub d’Italia sezione di Falciano del Massico il
I° Convegno Nazionale 

AUSONES – AURUNCI 
nel Lazio e in Campania

L’appuntamento è fissato per il 30 marzo 2014, ore 17,30, presso la sala del Museo Civico di Falciano del Massico.

Saluti 
Sindaco di Falciano del Massico 
dott. Giosuè Santoro

Assessore all’Agricoltura regione Campania 
on. Daniela Nugnes 

Inizio dei lavori 

Introduzione del Convegno 
dott. Ugo Zannini
Direttore del Museo Civico di Falciano del Massico
Consigliere nazionale dell’Archeoclub d’Italia


Alessandro Pagliara – Università degli Studi della Tuscia

Aurunci Patres e antiqui Ausonii: 
l’Ausonia e gli Ausoni nella tradizione poetica da Pindaro a Virgilio


Alberto Manco – Università degli  Studi Orientali di Napoli

Ancora su Aurunci e Ausoni dal punto di vista linguistico 


Eduardo Federico - Università degli Studi di Napoli Federico II

Aurunci vs Ausoni: identità a confronto

Dopo il Convegno appuntamento, alle ore 20, con eccezionale momento conviviale presso la Cantina Zannini, per un degustazione di vino FALERNO.

Ager Falernum : vigneto alle pendici di monte Massico


Le vigne della Cantina Zannini giacciono di un terreno calcareo ed argilloso e sui resti di antiche fornaci romane per anfore, ancora oggi inscindibile testimonianza di un legame del vino con il territorio Falernum.
Da questa terra densa di storia, nasce un vino che seppure prodotto con moderne tecniche di vinificazione, resta come nei secoli passati

IMMORTALE FALERNUM


mercoledì 15 gennaio 2014

Minturnae. Area archeologica ed Antiquarium




Minturnae è in Italia, nella regione Lazio, provincia di Latina, al confine con la regione Campania, nel territorio comunale di Minturno.
I reperti più significativi provenienti dalla città e dal territorio sono esposti dal 1984 nell’Antiquarium, allestito negli ambulacri del teatro romano.




Nell’ambulacro destro, la “galleria delle statue”, sono esposti i materiali scultorei più significativi sia per la storia di Minturnae che dei monumenti nell’ambito dei quali i reperti sono stati rinvenuti (le statue di Augusto e Livia dal tempio di Augusto, le statue di satiri dai ninfei sull’Appia, le statue di Muse dal teatro), sia per la storia dell’arte (copie di età romana da originali greci, come l’Athena tipo Giustiniani, la Tyche dall’originale di Cephisodos il Vecchio, la statuetta dell’Afrodite Pontia e quella dell’Artemide tipo Palatino dal santuario alla foce del Liri, l’Artemide tipo Versailles dal teatro, ed originali ellenistici, come la gamba colossale forse pertinente ad una statua di atleta o di eroe, opera originale in marmo degli artisti greci Callimacos e Gorgias).






L’ambulacro sinistro ospita il lapidarium con la raccolta dei 29 cippi di età repubblicana, l’iscrizione con la menzione della colonia adriana, la base con l’iscrizione della stadera, il cippo funerario dell’architectus navalis, oltre alla raccolta di decorazioni architettoniche marmoree pertinenti soprattutto alle varie fasi del teatro, e ad una serie di togati.

da ROMULA 6, 2007, 7 - 28
MINTURNAE PORTO DEL MEDITERRANEO
di Giovanna Rita Bellini


Il cippo funerario dell'Architectus navalis


 Vivit / 

Q. Caelius Sp.f. vivi(t) / 

architectus navalis./ 
Vivit /
 uxor Camidia M.L./ 
Aphrodisia./ 
Hospes, resiste et nisi m
/olestust, perlege, noli / 
stomachare. Suadeo, / 
caldum bibas. 
Moriu/ndust. 
Vale
Il Macellum era l'emporio alimentare della città dove affluivano merci locali e d'importazione, attraverso il vicino porto. La sua presenza a Minturnae è desunta da una iscrizione, databile al II secolo d.C. che riferisce della donazione di una stadera e dei relativi pesi alla colonia, da parte di un certo Ermete.