La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

domenica 4 marzo 2012

Atti delle visite pastorali e Relazioni ad limina: aspetti storiografici e sociologici

Relazione ad limina (1648) del vescovo di Carinola mons. Girolamo Vincenzo Cavaselice.
La relazione è ricca di notizie: la Cattedrale, dopo l'incendio del 1644, è stata restaurata; la diocesi conta appena diecimila anime; l'Abbazia di Sant'Anna di Mondragone ha un monaco residente. 
La Relazione reca l'iscrizione: Datum Monte Dragonis kalende di dicembre 1648, il vescovo di Carinola risiedeva infatti nei mesi freddi a Mondragone.

La visita pastorale è tra gli atti fondamentali della vita della Chiesa fin dalle sue origini. Il Concilio di Trento (1545-1563) ne ha dato una rigorosa regolamentazione e ne ha fatto uno strumento fondamentale della Riforma cattolica, uno dei momenti più alti e importanti nella vita di una diocesi: anima regiminis episcopalis, così afferma lo storico Gabriele De Rosa in Storia e visite pastorali nel Settecento italiano, in Vescovi popolo e magia nel Sud, Guida editori, 1983.
Con il Concilio di Trento venne stabilito, infatti, l’obbligo per i vescovi a compiere frequenti visite pastorali alle comunità diocesane.

I vescovi siano tenuti visitar in propria persona o per mezo di visitatori la diocesi ogni anno, tutta, potendo, e quando sia molto ampla, almeno in doi anni. I metropolitani non possino visitar la diocesi de’ suffraganei, se non per causa approbata nel concilio provinciale. Gl’arcidiaconi et altri inferiori debbiano visitar in persona e con notario assonto di consenso del vescovo, e li visitatori capitolari siano dal vescovo approvati. E li visitatori vadino con modesta cavalcata e servitù, ispedendo la visita quanto prima, né possino ricever cosa alcuna, eccetto il viver frugale e moderato, il qual però gli possi esser dato o in robba, o in danari, dovendosi osservare il costume, dove non è consueto di non ricever manco questi. Che li patroni non s’intromettino in quello che toca l’amministrazione  de’ sacramenti o la visita degl’ornamenti della chiesa, beni stabili ovvero entrate di fabriche, se per fondazione non gli converrà.                                                                
 Paolo Sarpi, Istoria del Concilio Tridentino, in Letteratura Italiana Einaudi

Giuseppe Crispino, vescovo di Amelia, autore di un importante testo sulla materia, Trattato della visita pastorale, Roma, 1695, più volte ristampato, scriveva che “il governo pastorale senza la buona visita è un governo languido, un governo morto, che a nulla vale”.
La visita pastorale si presenta, quindi, come una grande ispezione del vescovo sulle parrocchie e sulla vita religiosa nella sua diocesi. Secondo il Trattato del Crispino, essa si svolge, per lo più, in forma solenne e segue, con maggiore o minore fedeltà, lo schema di determinate istruzioni. La visita è preparata dall’annuncio e dall’invio di questionari ai parroci che devono riferire circa lo stato ecclesiastico e quello delle anime appartenenti alla parrocchia.
Tutte le scritture relative alla visita devono essere raccolte, secondo il Crispino, in un volume diviso in due parti: la visitatio civitatis e la visitatio diocesis; ognuna di queste è divisa in sei capitoli che comprendono la visita locale (edifici, tetti, mura e pavimenti), quella reale (suppellettili ed arredi vari, sacri e non) e quella personale del clero. Altro capitolo deve dedicarsi ai decreti emessi in corso di visita o emanandi. Altre due parti sono infine dedicate all’aspetto puramente economico con il rendimento dei conti e l’eventuale indicazione di “atti giudiciali contro i delinquenti e contro i debitori dei luoghi pii”.
I vescovi sono tenuti a custodire gelosamente le scritture relative alle visite ed a rendicontarne con Relazioni ad limina la Santa Sede. Ma non sempre gli atti relativi alle visite pastorali risultano ben conservati negli archivi delle curie vescovili, specialmente in quelle diocesi dove miseria, povertà e calamità naturali ne hanno resa precaria la vita, oppure in quelle che in un ambito relativamente ristretto di tempo hanno subito più cambiamenti territoriali: riordinamenti ecclesiastici, declassamenti, accorpamento o addirittura soppressione di sedi episcopali, come si è verificato con la diocesi di Carinola, soppressa ed accorpata alla diocesi di Sessa Aurunca, a seguito della Bolla “De utiliori …” emessa da Pio VII nel 1818.
Gli atti delle visite pastorali e, in special modo, le Relazioni ad limina assumono oggi un valore eccezionale in quanto contengono assai spesso notizie, che altrove non si troverebbero, specialmente per gli anni anteriori al 1800, e che riguardano non solo aspetti della storia ecclesiastica e religiosa. Questi documenti diventano fonti importanti in quanto ci danno notizia dei fenomeni popolari della pietà, delle tradizioni di culto, di devozione e di obbedienza seguite dal gregge numeroso delle parrocchie, dal popolo che affolla le chiese e frequenta le confraternite; tali documenti consentono originali rilevamenti sociologici che sono premessa indispensabile per una storia non ideologica, né intellettualistica della Chiesa e della società civile e religiosa di una determinata epoca. Abbiamo detto storia civile, perché negli Atti delle visite pastorali sono raccolti dati che una volta rientravano nella statistica della vita della parrocchia: popolazione, arti, assistenza. Il parroco doveva riferire al vescovo di tutto: se v’erano pubblici usurai e chi fossero, quanti fossero i medici e i chirurghi, le ostetriche, i librai, gli osti; doveva informare sulle rendite, le decime e i benefici. 
Il ricorso agli atti delle visite è indispensabile anche per la storia del costume, per conoscere consuetudini, superstizioni, feste.
Eilen Power ha scritto, Vita nel Medioevo, Torino, 1966, dell’enorme importanza che riveste la documentazione costituita dagli atti ecclesiastici medievali per lo studioso moderno di cose sociali, quindi non solo per lo storico della Chiesa; infatti, poiché nella sterminata documentazione archivistica medievale una parte cospicua è rappresentata, specialmente dopo il Concilio tridentino, proprio dagli atti delle visite pastorali, dai libri parrocchiali e dalle Relazioni ad limina, appare evidente come essi siano documenti preziosi per ricostruire l’ambiente storico e sociale, non soltanto di una parrocchia o di una diocesi.

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