La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

giovedì 26 dicembre 2013

"Sessa Aurunca. Storia della toponomastica", di Giuseppe Parolino



Il volume raccoglie gli studi di Giuseppe Parolino, pubblicati su "Il Mensile Suessano", dal mese di Maggio 1997 e fino al Dicembre dell'anno 2000, in sedici capitoli, di cui gli ultimi tre pubblicati postumi, con il titolo "La Toponomastica di Sessa Aurunca, ossia brani di storia e cronaca locale".
Trattasi di un lavoro di particolare originalità e interesse, in cui l'Autore ha profuso, con un impegno straordinario, la sua ampia cultura della storia locale e il suo profondo amore per Sessa Aurunca.
Scorrendo i vari paragrafi di questo grande affresco, semplificati con gli scarni titoli delle denominazioni stradali del reticolo urbano della Città, si scoprono dimensioni storiche, artistiche, archeologiche,         religiose, amministrative, sociali, tradizionali   e umane,  articolate e imprevedibili, che esaltano, come un crescendo sinfonico, la preziosa tessitura della Città di Sessa Aurunca.

La necessità di poter indicare un determinato luogo con una particolare denominazione, che lo rendesse facilmente ed immediatamente identificabile, ha provocato, nel corso dei secoli, una notevole produzione di toponimi, ancora oggi riprodotti nelle mappe catastali dei fondi rustici e ricordati anche, seppure in numero assai più ridotto, nella toponomastica delle città.
Con riferimento a quest'ultimi in particolare, generalmente essi trovavano ragione nella topografia del luogo o nella sua destinazione d'uso, come ad esempio il mercato o le arti e i mestieri che vi si praticavano, ma anche, com'è per la maggior parte dei casi, nel nome delle famiglie che vi abitavano, negli edifici civili o sacri e religiosi quali il duomo, le chiese ed i conventi, in manufatti come porte, archi e ponti ed anche, in mancanza d'altro, nella presenza di alberi. La sopravvivenza dei toponimi era, come lo è ancora oggi, indissolubilmente legata alla tradizione orale, che provvedeva a trasmetterli nello spazio e nel tempo, ed era altresì condizionata dalle trasformazioni che il loro motivo ispiratore poteva subire per fenomeni naturali o per mano dell'uomo. Infatti, in questi casi, o il toponimo veniva sostituito con un nuovo appellativo che meglio si adattava alla nuova realtà, oppure, pur non trovando più alcun conforto in un riscontro concreto, poteva anche continuare a sopravvivere nella tradizione orale, ma era perciò fatalmente destinato a subire delle corruzioni che, alterandone il significato originario, potevano modificarlo fino al punto da fargli perdere qualsiasi senso e significato logico. 
Li Canzani, Putatore, lo Cieuzo, strada Cetrangolo, Via Ospecina, la Maddalena, l'Ariella, il Macello, Cecasoce, il Semicerchio, le Case Popolari, la Via Nova, il Mercato dei generi, il Mercato Grande, il Mercato, il Mercato dei neri, il Mercato delle ghiande, il Mercatiello, la Piazza, il Cappellone, la Marina, le Croalle, l'Antichità, l'Orologio, la Guardia, le Mura, la Vigna del Vescovo, Gliardiniello, le Cauzelle, la Mandra, Gliumacare, la Portella, San Domenico Vecchio, San Giovanni a Borgo, San Giovanni Grande, largo San Giovanni, l' Ossamorte ecc., sono, per limitarci al nostro ambito cittadino, alcuni esempi concreti di quanto si è appena detto.

Sessa Aurunca, la Portella
Di questo toponimo si ha notizia da un atto notarile rogato il 25 maggio 1592
da Alfonso Picano, relativo all'affitto di un fondo sito "alla Portella seu alle cesine".

Innamorato della propria Terra, Giuseppe Parolino ha inteso ripercorre la storia, recente e meno recente, attraverso una frequentissima, sapiente consultazione di archivi, registri anagrafici, registri parrocchiali, documenti notarili. 

venerdì 20 dicembre 2013

La chiesetta di Aconursi, un piccolo borgo nel comune di Sessa Aurunca

Aconursi (Sessa Aurunca), la chiesa

Aconursi, forse è addirittura inutile cercarlo sulle carte geografiche, sicuramente non lo riportano. E' un piccolissimo borgo nel vastissimo comune di Sessa Aurunca, sulla strada che dai borghi collinari di San Martino e Corigliano raggiunge la statale detta Valle del Garigliano; siamo nel Parco Regionale di Roccamonfina-Foce del Garigliano. 
Ci sono passato stamattina, avevo appena oltrepassato il borgo di Corigliano, sulla mia sinistra era apparsa la sagoma di una piccolissima chiesa di campagna e la curiosità mi ha portato a fermarmi per qualche minuto. 
Un'emozione fortissima,  forse una delle più belle chiesette di campagna incontrate fino ad oggi. 
La porta aperta, una leggera inferriata ostruiva l'ingresso ad animali randagi: sullo sfondo una statua, credo Santa Lucia, sul piccolo altare, ai lati del crocifisso, fiori freschissimi, nessun arredo, uno scarno lampadario al soffitto, il centro della volta decorato di un celeste luminosissimo con una croce e stelle di colore rosso. 
Vi propongo le foto che ho scattato.
Non ho trovato nessuna notizia storica.


Aconursi (Sessa Aurunca), il campanile

Aconursi (Sessa Aurunca), statua di Santa Lucia 

Aconursi (Sessa Aurunca), il decoro del soffitto

Aconursi (Sessa Aurunca), l'arredo della chiesa

domenica 15 dicembre 2013

Il convento di San Francesco a Casanova di Carinola



La chiesa ed il convento di San Francesco

Il chiostro

Luca Wadding, frate, teologo e storico francescano, nell’opera Annales Ordinis Minorum ci informa che il Convento di Casanova di Carinola era già attivo nel 1300. Non lo dice solo lui; lo dicono anche Bartolomeo da Pisa nella sua Lista sui Conventi Francescani, nonché Mariano da Firenze e Francesco Gonzaga, quest’ultimo nella sua opera De conventu S. Francisci Carinolae sive Caleni, 1587, afferma:
Quatuor millibus passuum ad oppido Mondragonio subsistit civitas Carinola sive Calenum: in qua B.P. Franciscus diu habitavit, pluraque miracula edidit: ac presentem conventum, B. Iohanni Baptistae sacrum erexit.
Iscrizione maiolicata plurilingue all'entrata del chiostro

La fondazione del Convento si fa risalire al 1222, anno in cui il frate Francesco intraprese un viaggio nell’Italia meridionale per visitare i suoi frati che in queste zone operavano fin dal 1216 e per recarsi probabilmente al Santuario di San Michele Arcangelo, sul Gargano, di cui era devotissimo.
A Carinola ricevette in dono un luogo per i suoi frati e, secondo la tradizione, lui stesso ne edificò le mura perimetrali per un cimitero. Il luogo fu originariamente dedicato a San Giovanni Battista; solo alla morte del Santo fu intitolato a lui.
Le notizie tramandateci da uno storico di Carinola, il notaio Luca Menna, secondo cui San Francesco rimase a Casanova sette anni, non possono assolutamente essere veritiere poiché, dai documenti sulla vita del Santo, egli risulta presente in altri luoghi nel periodo in cui si presume fosse a Casanova. Tuttavia non è da escludere una sua permanenza abbastanza lunga nella nostra zona, e questo spiegherebbe non solo la presenza della grotta, interamente scolpita in un blocco di pietra, in cui il Santo pregava, ma anche il forte affermarsi dello spirito francescano a Casanova. Tenendo anche conto che, in quegli ultimi anni della sua vita – morirà due anni dopo, il 4 ottobre 1226 - le condizioni di salute del Santo non erano affatto buone, è probabile che sia stato costretto a fermarsi qualche mese.
Approfonditi studi dicono che nel 1347 nel Convento fu confinato Guglielmo da Occam (o Ockham), il frate filosofo e dissidente dell’Ordine, inviso al Papa Giovanni XXII a causa delle sue posizioni dottrinarie, e che ebbe una parte di primo piano nelle controversie dell’Ordine con gli Spirituali e gli Zelanti. Riabilitato dal Papa Clemente VI, Guglielmo fu spedito dal Generale dell’Ordine, anche lui Guglielmo Farinier, a fare aspra penitenza in questo nostro sperduto Convento dove morì tra il 1349-50 e dove fu sepolto. Il suo corpo fu solo in seguito portato a Capua, nella Chiesa dei Conventuali. Sempre il frate Francesco Gonzaga, infatti, afferma:
Hoc denique in conventu, quem, ab aeris insalubritatem, 12 tantum fratres inhabitare soliti sunt, doctissimus P. Occham, subtilissimi Doctoris Scoti olim discipulus, mortem obiit, sepultus est.
L'affresco nel refettorio

Nel 1459 il nostro Convento fu visitato da San Bernardino da Siena di ritorno da Roccamonfina, dove si era recato in visita alla Madonna dei Lattani, e nel 1475 da S. Giacomo della Marca, il quale venne a Carinola per guarire il re Ferdinando I d’Aragona, venuto a caccia e ammalatosi gravemente.
Nel corso dei secoli, il Convento ha subìto diversi interventi di ampliamento e ristrutturazione, a cominciare dal chiostro (1400), per finire a parti più recenti ad opera del Principe di Stigliano (1500), nonché alle ristrutturazioni intraprese da p. Cristofaro Bovenzi negli anni 60-70 e che l’hanno proiettato verso la definitiva salvezza dopo decenni di incuria.
Da documenti d’archivio risulta che il Duca di Casanova, Bernardo di Lorenzo, nobile sessano investito a tal ruolo dai Marzano (presumibilmente prima del 1469), fece costruire la Cappella in tufo grigio, dedicata a S. Maria delle Grazie, tuttora visibile alla sinistra della navata centrale, e corrispondeva ai frati 20 ducati annui.
Altre rendite, probabilmente in natura, provenivano dall’affitto di numerose moggia di terreno di cui il Convento era in possesso.
Il Convento fu abitato costantemente da una notevole comunità di Frati Minori Osservanti fino al 1813, anno in cui Gioacchino Murat rese esecutiva la legge sulla soppressione degli ordini mendicanti francescani.
Riaperto da Re Ferdinando II su pressione del popolo, fu nuovamente chiuso da una legge del Regno d’Italia nel 1861 e di nuovo riaperto nel 1948 da una comunità di Frati minori i quali tuttora ne detengono l’esercizio del culto.


Convento di San Francesco: antico portale in pietra

venerdì 13 dicembre 2013

Sessa Aurunca: la Cattedrale.

Sessa Aurunca: la Cattedrale

Nel X secolo a Sessa è documentata una prepositura cassinese, ma, il vero gioiello di arte cassinese è la sua cattedrale. Al 1103, come testimonia il Chronicon Suessanum, si fa risalire l’inizio dei lavori per la sua costruzione, dedicata a s. Maria e s. Pietro. Nel 1103 era vescovo di Sessa un benedettino (Giacomo, 1100- 1113), così come era a capo della diocesi un monaco cassinese l’anno della sua consacrazione (Giovanni II, 1113-1126). La presenza di vescovi benedettini spiega di per sé come mai la cattedrale di Sessa, al pari di quella di Sant’Angelo in Formis e di Caserta Vecchia, rifletta l’impianto della basilica desideriana. 


Sessa Aurunca: la Catttedrale, il finestrone di facciata.

La costruzione è stata eseguita con grossi blocchi di marmo squadrati, provenienti da costruzioni romane del territorio. Il duomo è articolato in un corpo longitudinale tripartito da colonne e transetto, concluso da tre absidi. Il transetto è posto ad un livello superiore rispetto alle tre navate, per dare spazio alla cripta sostenuta da una serie di 22 colonnine di età romana. Secondo alcuni studiosi la cattedrale è stata costruita sul luogo di un antico tempio pagano, ma l’ipotesi, seppure affascinante, non è confortata da alcuna emergenza archeologica. 
La facies originaria del duomo è stata stravolta da un intervento di rammodernamento operato durante l’episcopato di monsignor Caraccioli, quando fu aggiunta una decorazione barocca che si rifaceva ai canoni dettati dallo scultore Domenico Antonio Vaccaro. 
Il pulpito, commissionato dal vescovo Pandolfo (1224-1259), è un autentico capolavoro dell’arte meridionale. Finemente decorato, fu portato a termine dal vescovo Giovanni (1259-1283), che, a sua volta, commissionò al maestro Peregrino il candelabro e una scala con parapetto. Lungo la navata maggiore è ancora intatta l’antica pavimentazione a mosaico della prima metà del XIII secolo. Sull’altare maggiore spicca la Madonna in trono con Bambino, dipinta su tavola e ricoperta con una lamina d’argento, di Marco Cardisco, allievo di Polidoro da Caravaggio, della prima metà del XVI. 
Nella cappella del Sacramento, si trova la Comunione degli Apostoli di Luca Giordano del 1659.


Sessa Aurunca: la Cattedrale (particolarte della facciata).
Sessa Aurunca: la Cattedrale, il leone di destra dell'ingresso principale.

Il testo è di MARIA ELISABETTA VENDEMIA
Foto di SALVATORE BERTOLINO




mercoledì 4 dicembre 2013

L'olio di oliva delle "Terre Aurunche" nella cultura, nel folklore e negli usi

Raccolta delle olive fatta a mezzo di macchine con aste telescopiche e pettini scuotitori.
La produzione di olio è da sempre legata alle usanze e alle credenze popolari, se poi si considera che per molti anni essa ha rappresentato per talune famiglie l’unica fonte di ricchezza, ne discende il particolare attaccamento che ad essa è stato da sempre riservato.
Si può affermare che l’olivo rappresenta la coltura agraria più tradizionale e più espressiva del territorio in cui è radicata, la coltivazione dell’olivo è l’ultima coltivazione che subisce il fenomeno dell’abbandono; c’è quasi un rapporto sacrale che lega le genti delle terre aurunche e l’olio con tutto ciò che a questo è dedicato, si può affermare che l’olivicoltura è l’esempio tipico di coltivazione tradizionale famigliare; è come se fosse nel DNA delle genti avere un piccolo oliveto da coltivare dal quale produrre l’olio per il fabbisogno famigliare.
Tale è l’attaccamento con questo prodotto che un’usanza diffusa e addirittura ancora talvolta praticata vuole attribuire presagi funesti ogni qual volta si rompe un recipiente contenente olio e se ne perde il suo contenuto. Ciò è testimonianza del fatto che, appunto, l’olio era per alcune famiglie l’unica fonte di guadagno e quindi la sua perdita rappresentava una vera e propria perdita di ricchezza.
In alcune epoche addirittura l’olio veniva utilizzato anche come merce di scambio e nei matrimoni di campagna la ricchezza della sposa veniva valutata anche in base alla quantità di “staia” di olio che essa conferiva alla nuova famiglia come rendita annuale.


Lo "staio", misura per l'olio.

Un’altra prerogativa tipica della coltura dell’olio è il fatto che esso aveva appunto una unità di misura a sé, lo “staio” che corrispondeva a seconda della zona a 10 o 11 litri. Era una unità di misura di capacità quindi e non di peso e tale unità di misura veniva utilizzata solo per l’olio di oliva.

La raccolta delle olive e la loro frangitura ha rappresentato da sempre un evento che, più che il resoconto economico di un’annata agraria, scandiva un periodo dell’anno e dell’inverno in particolare dove si respirava aria natalizia nei frantoi che rappresentavano un punto di aggregazione locale di forte valenza sociale, almeno nel periodo di molitura.


Un vecchio frantoio oleario oggi conservato in una struttura alberghiera a Sorbello di Sessa Aurunca


Antico torchio oleario 

Al “povero” frantoiano, spesso anche commerciante di olio, veniva sempre attribuita la nomea di “imbroglione” non meritevole di fiducia, responsabile di chissà quale misfatto commerciale o di alchimia industriale, a tal punto che di sovente, e ancora oggi, taluni olivicoltori soprattutto anziani quando moliscono le olive seguono fisicamente il percorso dei loro frutti durante tutte le fasi dell’estrazione dell’olio negli impianti che oramai sono sempre meno tradizionali e sempre più moderni e simili ad impianti industriali, attenti affinché non vengano commessi furti o frodi con i loro prodotti.


Olive del cultivar “Sessanella"
  L’origine di questa varietà non è nota, è comunque abbastanza diffusa nei territori dei comuni di Sessa Aurunca, Carinola, Galluccio e Falciano del Massico.




sabato 16 novembre 2013

Teano: il convento di Sant'Antonio


La facciata della chiesa

La fondazione del convento di Teano risale alla prima metà del secolo XIV, quando i francescani Fra Martino da Campagna e Fra Nicola da Castellammare ne iniziarono l'edificazione autorizzata con la Bolla "Sincerae devotionis affectus" di papa Martino V del primo ottobre 1427.
Secondo un'antica tradizione, ripresa anche dal Gonzaga e altri cronisti dell'Ordine e della Provincia, il convento sorse per impulso di S. Bernardino da Siena che vi dimorò alcuni anni; infatti al primo piano del convento c'è una piccola cella nella quale pare abbia dimorato il santo predicatore; oggi trasformata in cappella. Anche il pozzo nel chiostro è chiamato "Pozzo di san Bernardino" perché scavato nel luogo indicato dal santo.
Nel 1508 il convento e la chiesa subirono sostanziali trasformazioni grazie alle generose donazioni della nobiltà e dei fedeli di Teano, il convento fu ampliato e furono edificati i tre piani superiori, solo il chiostro rimase intatto e le antiche celle, restarono adibite per depositi ed officine.
La totale trasformazione del convento ha rovinato il primitivo impianto, solo il chiostro quattrocentesco è rimasto intatto, tanto che lo storico dell'Ordine francescano P. Cirillo Caterino definì “gioiello fra i più belli dell’epoca del Mezzogiorno d’Italia”, interamente scolpito in tufo grigio locale, con i fasci di colonne separati dalle eleganti arcate ogivali mediante capitelli con ricca decorazione di figure zoomorfe e motivi vegetali è dello stemma della famiglia teanese Martino de Carles, grande benefattrice del convento.
La sorte di questo bellissimo chiostro non fu sempre lieta, durante il Seicento, tutte le forme di architettura medievale furono rivestite di stucchi.
La chiesa, dedicata a S. Antonio di Padova, divenne ben presto meta di ferventi pellegrini mentre il convento ospitò frati in numero sempre crescente; la festa di S. Antonio richiamò tanti pellegrini da dare origine alla famosa fiera tra le più importanti d'Italia per il commercio degli equini.
In pochi secoli al santuario furono aggiunte nuove fabbriche, come quella sulla sommità della collina, costruita nel 1742 da P. Benedetto Molinari da Teano ad uso dei pellegrini antoniani, mutato in seguito come studentato per giovani francescani e, in epoca di fusione, come collegio serafico.
Quest'ultimo ebbe un ruolo ben determinato nella storia della Provincia. Doveva servire di richiamo per i bambini della provincia che avessero la vocazione religiosa, avrebbero seguito il corso preparatorio (quinta elementare e prima media) per poi frequentare gli anni successivi ad Afragola.
Nel 1718 Gaetano Zarone, alla cui famiglia fu concessa la sepoltura al centro della navata che custodisce le spoglie del Vescovo Tommaso Zarone, fece erigere a sue spese il possente campanile.
Nel 1799 le truppe francesi del gen. Championnet saccheggiarono e incendiarono chiesa e convento, dando alle fiamme la splendida e importantissima biblioteca e la statua del Santo.
Il convento e la chiesa, dopo la fuga dei francesi da Napoli e la caduta della Repubblica Partenopea, furono ricostruiti a spese della nobiltà e dei fedeli di Teano e dei villaggi vicini. Nel 1856 M. R. P. Raffaele di Pozzuoli, allora Ministro Provinciale, scriveva che vi si era ricostruita un'importante biblioteca per la magnificenza del duca Caianiello.
Con la legge eversiva sulle congregazioni religiose del 1866 il convento di Sant'Antonio al demanio dello Stato, dal quale fu ceduto al Comune di Teano. I frati furono espulsi, solo riuscirono a permanervi con il compito di custodirlo, ma la politica anticlericale non consentì altro.
Nel 1897 i frati poterono riacquistare il convento e dare inizio al restauro, compiuto nel 1903 con la riconsacrazione della chiesa, per opera del Guardiano P. Valentino Barile, furono infine rifatti gli stucchi esterni della chiesa e del campanile.
Poco noto, ma di eccezionale importanza fu il ruolo del convento durante l'ultimo conflitto mondiale. In previsione dei bombardamenti su Napoli nel convento furono segretamente trasferiti ingenti fondi librari della Biblioteca Nazionale. Nel triennio 1962-65 iniziarono i lavori di riparazione dei danni di guerra, il convento fu rifatto in tutte le sue parti: arricchito di pavimenti e rivestimenti in marmo nei corridoi dei piani superiori; il piano terra livellato e pavimentato, il chiostro fu reso più armonioso e arioso. Particolare attenzione fu dedicata anche alla chiesa, troppo piccola per contenere le masse di pellegrini. Essa non potendo si estendere verso sinistra per la presenza del chiostro, fu ampliata nel 1963 eliminando le cappelle sulla destra, che furono trasformate in navata con due vani di apertura sul presbiterio. 
Attiguo alla chiesa, un campanile a pianta quadrata che si sviluppa su quattro livelli e termina con una cupola.



Il campanile
Il portale