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Sessa Aurunca. Catacombe dei Santi Casto e Secondino |
Questo studio nasce dal desiderio di
conoscere più a fondo le vicende dei due vescovi martirizzati a Sinuessa nel 292, Casto e Secondino,
gloria e forza della diocesi di
Sessa Aurunca.
Primitivamente essi furono scelti quali
patroni del territorio aurunco, ma gIi eventi,
purtroppo, li vollero lontani dal popolo sessano per ben 1015 anni, facendo diminuire l’interesse per le loro
vicende e per quanta custodiva la loro memoria.
Cosi sono andate perdute molte prove
delle loro esistenza e del loro martirio; poco resta della basilichetta di S.
Casto e dell’intera area catacombale. Esse, pur essendo artisticamente e culturalmente
notevoli, furono abbandonate all’erosione del tempo e alla vandalica azione dell’uomo.
Poche le fonti storiche riguardanti i
due martiri. Di essi hanno scritto alcuni storici locali: Mons. Francesco
Granata, il De Masi, Mons. Giovanni Maria Diamare, Lucio Sacco ed altri.
Opera più recente è l’opuscolo di Mons.
Francesco Borrelli scritto in occasione del ritorno a Sessa Aurunca delle reliquie
dei due Santi già asportate e conservate nella cattedrale di Gaeta per 1015
anni.
LA STORIA
1.1. Presenza Petrina in Sessa e Sinuessa
Sessa e Sinuessa, citta consorelle, come le definisce il Tommasino nella
sua opera Aurunci Patres, erano situate sull’Appia, regina viarum, e
collegate tra loro da una fitta rete di vie principali e secondarie che
attraversavano vari villaggi, tra cui gli odierni Piedimonte di Sessa, Cellole
e Carano.
Esse, citta
molto fiorenti e conosciute nell’Impero, erano prospicienti l’Appia e
la Domiziana, passaggi obbligati per chi da Pozzuoli si recava a Roma.
Infatti:
“partendo dal punto occidentale di PozzuoIi, (la strada)
seguiva il lido del mare, lasciava i laghi Lucrino ed Averno a sinistra, per l’Arco Felice scendeva nella pianura di Cuma a sinistra, si rimetteva sulla spiaggia avendo
a manco la selva gallinaro (pineta), e a dritta il monte Massico; passava il
Volturno presso la foce su di un ponte
e, pervenuta a Rocca di Mondragone, correva a congiungersi con la medesima Appia a
Sessa, la Quale seconda traversa fu poi detta Domiziana, perché rifatta da
Domitiano, come è presso Stazio ed altri scrittori di quel tempo, e come
denunziava ai viandanti l’iscrizione
posta sull’ Arco Felice”.
II Pratilli, che descrive in “Della via Appia riconosciuta e descritta da
Roma a Brindisi, Napoli, 1745” la
strada partendo da Roma, afferma:
“Cominciava dunque la via Domiziana da Sinuessa allato al mare, come si scorge anche di presente
dagli sparsi, e sepolti avanzi, e terminava in Pozzuoli; dopo aver passato per
tre ponti, prima il fiumicello Saone, indi il Volturno, e finalmente il Clanio, presso Literno”.
E più avanti:
“Si dipartiva la Via Domiziana dall’Appia poco lontano dalla
punta del Monte Massico, dove è al
presente la Rocca di Mondragone: nel qual luogo l’Appia torcendo alquanto a
sinistra, conduceva per diritto cammino in Casilino, ove è la nuova Capua; e la Domiziana piegando a destra
verso il
mare
prende il suo sentiero verso il fiumicello Saone”.
Dal Pratilli sappiamo, inoltre, che l’Appia
passava per Minturno e che
attraversava il Campo Vescino che si estendeva dal mare fino
alle falde del Monte Massico e a Sinuessa,
comprendendo dunque, l’odierno demanio della citta di Sessa.
Quindi, niente di più facile che gli
Apostoli, provenienti dall’Oriente, nel recarsi a Roma, siano passati per le
nostre contrade, evangelizzando e
fondando chiese.
Lo stesso Scherillo, Della venuta di S. Pietro apostolo nella
città di Napoli nella Campania, Napoli, 1859, dice:
“Che S. Pietro in una delle volte che venne dall’Oriente in
Roma, facesse
la via
Appia da Brindisi a Roma, e fuori di dubbio”.
Più avanti:
“Le Chiese che voglionsi fondate da S. Pietro sono appunto
nella Campania e nella Puglia, dove Brindisi era uno dei consueti approdi di coloro
che, come S. Pietro, venivano dall’Oriente; e sull’Appia, che era la via che da
Brindisi menava a Roma dove egli si dirigeva”.
Ancora afferma:
"Pietro stando a Romane usciva, come appreso da S. Epifanio,
per
l’esercizio del
suo apostolato. Che alcune delle sue corse avesse a scopo l’Italia Cistiberina, si raccoglie dalla vita greca dell’Apostolo riportata dai Bollandisti, ove si dice che
di Roma andò a stabilire primo vescovo di Terracina S. Epafrodito discepolo degli Apostoli, che dal beato
apostolo Pietro fu ordinato vescovo di quella città.Da ciò possiamo
far ragione agli scrittori che lo conducono a predicare poco più giù anche a Sinuessa ed a Minturna,
città ora distrutte”.
OItre allo Scherillo, altri storici attestano
la presenza del Principe degli Apostoli in queste nostre contrade,
Giuseppe Carbone, afferma:
“ ... Dum Petrus ex Antiochia per Campaniam Romam petiit in
quo itinere ut habetur ex monumentis plurium scriptorum, caeteris quoque Campaniae
civitatibus ilIo tempore famosis, Pastores et Episcopos posuit”.
Anche monumenti storici concorrono
a convalidare la veridicità di tale affermazione: il
Duomo di Sessa con i rilievi delle gesta di S. Pietro
nell’arco principale del Vestibolo come ricorda il Diamare Memorie critico storiche della Chiesa di Sessa Aurunca, Napoli,
1906, “fu innalzato appunto in onore del Principe degli Apostoli,
Pietro”.
OItre questa testimonianza risalente al
XII secolo, il Diamare ricorda ancora che nel 1860 fu
rinvenuta una lapide presso il fiume Garigliano che, scritta in caratteri antichi
romani, testimonia la presenza in quel luogo di un tempio dedicato a Giove, poi
convertito in Chiesa cristiana dedicata a S. Pietro.
Anche da ricordare il ciclo pittorico
presente nella chiesa di S. Marco a Cellole, senz’altro dedicato a S. Pietro.
Dei monumenti non esistenti, molti
sicuramente erano dedicati al Principe degli Apostoli: l’antichissima
chiesa di S. Maria a Valogno, l’antica Cattedrale di Sessa, una chiesa situata
nella zona di Centore, nonché le attuali parrocchie di Falciano e Casanova
dedicate, appunto a S.Pietro.
Tutte queste sono testimonianze che
dimostrano come il culto di S. Pietro fosse radicato in più zone della mostra
diocesi.
E poiché il culto di un santo nasce
soprattutto dove questi ha operato, si può concludere, sulla scorta delle prove
addotte e della bimillenaria tradizione che l’annuncio delle fede nelle città
di Sessa e Sinuessa fu portato dal
Principe degli Apostoli: Pietro.
1.2. Casto, primo vescovo di Sessa
Il primo pastore della Chiesa sessana,
di cui abbiamo notizia, fu S. Casto.
Sicuramente Casto, vissuto nel III
secolo d.C., non fu il primo vescovo di questa Chiesa.
Il Grana, nel suo Ragguaglio storico della città di Sessa, afferma che dalle sue
ricerche fatte nell’Archivio del Duomo, nella Cronica Cassinese, nell’Italia Sacra dell’Ughelli
e nelle Storie della medesima citta
di Sessa, risulta che primo vescovo di Sessa fu S. Simisio, consacrato dal
Principe degli Apostoli e martirizzato nella persecuzione di Nerone.
Dopo di questo, i documenti succitati
pongono S. Casto, cittadino sessano, vescovo e martire, patrono meno principaIe
della città, la cui festa era celebrata il 22 maggio.
II Diamare asserisce, però, che
contrariamente a quanto dice Mons. Granata, suo predecessore, e Lucio Sacco, S.
Simisio non fu inviato da S. Pietro a reggere la Chiesa di Sessa, bensì quella
di Soisson in Francia, per cui i
suddetti autori avevano finito col confondere, insieme ad altri ed allo stesso
Ughelli, il nome delle due diocesi.
E’ questa un’affermazione che apporta
vantaggio alla tesi che vuole il primo Vescovo di Sessa ordinato da S. Pietro.
E’ impossibile avere notizia certa di
predecessori di S. Casto, poiché Ie persecuzioni erano violente e i primi
cristiani ben si guardavano dallo scrivere registri o documenti riportanti nomi
o atti.
Primo vescovo di cui danno notizia
accreditati scrittori fu Casto, cittadino sessano, martirizzato a Sinuessa nel 292 dal preside Curco,
insieme a S. Secondino, vescovo di Sinuessa, Aristone, Crescenza, Eutichiano,
Urbano, Vitale, Giusto, Felicissimo, Felice, Marta e Sinforosa.
Secondo il Diamare ciò è attestato
nella Storia del De Masi e del Baronio.
Moltre Ie controversie riguardo la
reale presenza di questo vescovo nella nostra Chiesa: Calvi e Trivento nel Molise,
come Sessa, vantano come loro primo vescovo S. Casto.
Inoltre il corpo
di S. Casto e venerato nelle Chiese di Capua, il 22
maggio, di Benevento il 6 maggio ed il 22 ottobre ad Acquaviva, Calvi, Sora e
Troia di Apulia.
I Bollandisti sostengono che il culto
di S. Casto si diffuse in più zone della Campania e che non ci sono prove
dimostranti il martirio del Santo in questa regione,
per cui tutte le reliquie, che in più posti si venerano, apparterrebbero ad un solo S. Casto, il cui corpo ci
pervenne dall’Africa durante la persecuzione dei Vandali.
Per sostenere questa tesi, come ricorda
la Mazzeo, i Bollandisti si rifacevano a varie testimonianze storiche
riguardanti un Cassio, vescovo di Cedias,
e un Secondino, vescovo di Macomedes,
sacrificati insieme ad un altro martire e celebrati tutti da Cipriano ed
Agostino e ricordati nel calendario cartaginese del VI secolo.
Ma a smentire questa tesi concorrono
alcuni dati certi:
1 - la Biblioteca Sanctorum, che pure confonde S. Casto di Sessa con
quello di Calvi, ci dimostra che i nostri Casto e Secondino erano autoctoni,
distinguendoli da altre due coppie di Martiri: Casto ed Emilio, ricordati da
Cipriano nel De Lapsis, anch’essi vittime della grande persecuzione di
Decio in Africa, e Casto e Cassio venerati in Campania e nel Lazio; nelle leggende
che narrano dell’arrivo dei vescovi africani nelle nostre zone non si fa mai
menzione di S. Casto;
3 - è impossibile confondere S. Casto
di Sessa con S. Casto di Calvi, in quanto del primo si dice che fosse cittadino
sessano martirizzato nel 292 sotto Diocleziano con S. Secondino a Sinuessa, mentre del secondo si dice che
fosse cittadino e vescovo di Calvi, martirizzato non sotto Diocleziano, ma
sotto Nerone con S. Cassio, anch’egli di Sinuessa.
Quindi, attenendoci alle più antiche
tradizioni, possiamo affermare che S. Casto fu veramente vescovo di Sessa.
A riprova di ciò abbiamo la zona
catacombale su cui sorse la Chiesa di S. Casto, che custodiva oltre al corpo di
S. Casto anche quello di S. Secondino.
Per quanto riguarda S. Casto, non si può
pensare che un martire di importazione, abbia potuto lasciare tracce cosi profonde
nella devozione popolare.
1.3. Secondino, Vescovo di
Sinuessa
Molto più difficile è avere notizie
riguardanti S. Secondino, per il fatto che la città di cui era vescovo, Sinuessa, andò del tutto distrutta, e con
essa ogni tipo di documento.
Da fonti illustri, sappiamo che Sinuessa, la greca Sinope, fu una citta molto fiorente e assai conosciuta per la
fertilità del suo suolo e per le sue acque termali.
Anch’essa, al pari di Sessa, ricevette
la fede da Pietro che qui consacrò il primo vescovo, Cassio,
martirizzato poi, sotto Nerone insieme a S. Casto di Calvi.
Tra i successori di Cassio è annoverato
solo S. Secondino, martirizzato con S. Casto ed altri, nel 292, dal preside
Curco (0 Curvo), nella stessa Sinuessa
e poi, sepolto a Sessa, in un luogo chiamato Suti, insieme a S. Casto presso le
catacombe nella omonima Chiesa.
A testimoniare la storicità dell’esistenza
di S. Secondino valgono le fonti già addotte riguardo a S. Casto, di cui è
sempre menzionato come compagno, e la tradizione vivente nel popolo sessano.
Anche gli Atti del processo sebbene
molto posteriori e certamente rimaneggiati, parlano chiaramente di S. Casto e
S. Secondino, imprigionati insieme, insieme operanti miracoli e infine insieme
martirizzati.
Inoltre, il sarcofago ritrovato nella
Chiesa di S. Casto a Sessa riportava la seguente chiara iscrizione:
Corpora S. S. Martyrum Casti civis et E. pi
Suessani et Secundini E. pi
Sinuessani heic requiscunt
in Domino
ed è tradizione che in questo
sarcofago, formato da due urne, riposassero appunto i corpi di S. Casto e di S.
Secondino.
Si aggiunga a ciò che il
popolo sessano ha sempre unito
nel culto questi due vescovi le cui reliquie si continuano tutt’oggi a
venerare nella chiesa ad essi dedicata presso il nuovo Seminario di Sessa
Aurunca.
A rafforzare la storicità di queste
notizie, comuni tra l’altro a tutti gli storici che hanno trattato questo
argomento, e una lapide collocata, come ricorda il Menna nel suo Saggio
Storico della città di Carinola, nel vescovado edificato in Carinola da S.
Bernardo, nel 1100 circa.
Egli cosi si esprime: ‘Si entra dunque
nel suddetto Atrio salendo due gradi di marmo (... ) e su uno dei detti gradi
di marmo pervenuti da Sinuessa esistono incise due iscrizioni, che riguardo il
Martirio dei due vescovi di detta Sinuessa per nome Cassio e Secondino, e
martirizzati, il primo nella persecuzione di Nerone, al riferir di M. Monaco,
ed il secondo nella persecuzione di Diocleziano verso il
III secolo di Cristo, come riferisce il Baronio in Martirol.
Kal. lunii, e le iscrizioni da noi trascritte sono le seguenti
OSSA. MARTYRIS. CASSII EPISCOPI.
SINUESSANI HIC IN PACE
QUIESCUNT
CORPUS. MARTYRIS. SECUNDINI
EPISCOPI. SINUESSANI. HEIC.
REQUIESCIT. IN. DOMINO
Sorge, dunque, spontaneo chiedersi
perché S. Bernardo abbia voluto queste due lapidi per la costruzione del suo
vescovado: certamente non le ha scelte per la pregiatezza del marmo, bensì
perché recanti testimonianze tanto evidenti di due dei più illustri pastori che
guidarono la primitiva Chiesa sorella di Sinuessa,
confinante con quella di Carinola.
IL CULTO
2.1. II sarcofago dei Santi Casto e Secondino
Circa le testimonianze monumentali - cultuali
che attestano l’esistenza e il martirio dei Santi Casto e Secondino, oltre che
dal Diamare e dai vari storici locali, abbiamo notizie qualificate e
dettagliate sia dal Prof. Cosimo Stornaiolo, Sarcofago nella Basilichetta dei S.S. Casto e Secondino in Sessa
Aurunca, in Solenne Praeconium
Januario Asprenati Galante ab amicis quiquagesimo recurrente anno ad initio
eius sacerdotio, Tributum,
Napoli, 1920, che dalla Prof.ssa Felicia Mazzeo, Il complesso cimiteriale dei Santi Casto e Secondino in Sessa Aurunca,
in Fede e Cultura n. 1, Sessa
Aurunca, 1990, che ci fornisce una dettagliata ed ampia descrizione dell’intero
antico complesso cimiteriale di Sessa Aurunca, conosciuto col nome di ‘Catacombe
di S. Casto’.
Dal codice riguardante il processo dei Martiri
Casto e Secondino, pubblicato dal Borrelli nel suo opuscolo, si apprende che i
due vescovi, dopo il martirio furono seppelliti in un luogo chiamato ‘Suti’
presso il quale la popolazione li venera a lungo, fino a quando, i loro corpi
non furono trasportati a Gaeta nella seconda meta del X secolo, ai tempi di
Pandolfo Capodiferro, principe di Capua.
Detta località, come dice la Mazzeo, e
ancora oggi denominata nelle carte catastali, ‘campo di S. Casto’ o ‘Campo dei
Morti’.
Non c’è dubbio che in questa zona
collinare, a nord-est di Sessa, vi sia stato un cimitero paleocristiano, riconosciuto dallo Stornaiolo per le
evidenti gallerie, loculi infranti e soprattutto per un piccolo oratorio, posto
dietro le gallerie, le cui pareti mostravano affreschi con l’immagine del
Redentore e dei Santi.
Tale sito, dovette perdere il
suo aspetto cimiteriale quando, nel 1590, fu donato ai frati
Carmelitani che vi edificarono il loro convento, con la Chiesa del Carmine.
Questi monaci che si trovarono ad
occupare tutta la zona catacombale, ne utilizzarono i resti secondo le loro
esigenze, e gli ambulacri ed i cubicoli furono utilizzati come cantine.
II Diamare ci ricorda ancora
che i preti del clero di Sant’Eustacchio fecero distruggere le urne,
scoperchiare il tetto e murare ogni apertura, per evitare quella vecchia
tradizione popolare secondo la quale i bambini fatti sedere sul sarcofago
guarivano dal mal di ventre, cosa da essi considerata sacrilega.
Questi luoghi restarono nel più
completo abbandono, fino a quando, il vescovo Diamare, non invia delle
fotografie ad Orvieto, nel 1897, e a Torino, nel 1901, invitando lo Stornaiolo
che, nel suo articolo fa una dettagliata descrizione del sarcofago o meglio,
come egli stesso dice, di una parte di esso, in quanto l’altra era ancora
incassata nel muro.
Attualmente una parte di tale
sarcofago, precisamente i tre quarti, come afferma la Mazzeo, e andata
completamente perduta.
In seguito, la parte restante fu
trasportata, per volere del vescovo Costantini,
prima nella Cattedrale e successivamente, nel 1973, nella Chiesa di S. Casto e
S. Secondino, presso il nuovo seminario, nelle vicinanze delle catacombe.
Lo Stornaiolo afferma che, sebbene il
sarcofago non presenti alcun segno della fede cristiana, si può considerare
cristiano per il luogo del suo ritrovamento, e perché
contenente, senza dubbio, le ossa di S. Casto vescovo e martire.
Esso è ad altorilievo e a sinistra
presenta un genio alato seminudo con le braccia alzate, particolare, questo,
che si può ancora parzialmente vedere nel rimanente frammento che fa da base
all’altare del Santuario di S. Casto e S. Secondino.
Lo Stornaiolo ipotizza che a destra
doveva esservi di sicuro, un altro genio simile ma in diverso atteggiamento a
cui piedi erano accovacciati un cane e un vitello.
Egli stesso conclude che, più che di
due geni lottatori doveva trattarsi di una scena campestre in cui i geni
portavano, ad indicare le stagioni, corone e cesti di fiori o frutta e data lo
stesso alla fine del III secolo d.C., epoca artistica di
transizione, in quanto dibattuta fra le rappresentazioni pagane di sarcofaghi e
quelle più tarde che si ispireranno ai temi biblici.
Lo Stornaiolo conclude che, lavorando
nelle stesse officine, pagani e cristiani erano propensi spesso a scegliere
rappresentazioni tombali tipiche, ma comunque suscitatrici di più sentimenti.
II Diamare, invece, sostiene che il
sarcofago poteva anche essere una parte di qualunque mausoleo dell’antica
Sessa, che, rimosso, fu successivamente adoperato per custodire i corpi dei due
martiri.
Dal punto di vista artistico esso ha un
modesto valore, ma è da mettere in evidenza che fu imitato dalla maggior parte
dei marmorari del XIII secolo e scelto dallo scuoltore Peregrino nel bassorilievo dell’ambone del Duomo di Sessa
Aurunca, anch’esso dei XIII secolo.
Al centro del sarcofago, poi, si nota
un tipico medaglione: è opinabile il sarcofago fosse stato preparato per due
sposi che volevano riposare uniti, nel sonno della morte. In effetti, in esso
furono composti proprio i due corpi dei Santi Martiri, per evidenti esigenze
cultuali.
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Sessa Aurunca. Catacombe dei Santi Casto e Secondino |
2.2. Le Catacombe
L’intero attuale complesso cimiteriale estato
accuratamente studiato dalla Mazzeo, che, nell’articolo succitato, da un’esauriente
descrizione dei resti delle Catacombe di S. Casto e S. Secondino.
II vescovo Diamare parla di una
basilichetta di cui restava l’abside e dalla quale si
accedeva ai piani sotterranei che, creduti delle gallerie abbandonate, si
rilevarono, poi, delle Catacombe che, per la loro struttura, vennero avvicinate
a quelle di S. Valentino a Roma, e definite ‘una bella riproduzione’ di quelle.
La Mazzeo, partendo dal testo citato
del Diamare, non descrive questi luoghi, ma precisa che il
complesso sopraterra si presenta come un ambiente di forma
irregolare con pianta più o meno quadrata che, chiaramente
dimostra l’esistenza di precedenti costruzioni che oggi si possono solo
immaginare o ricostruire dai resti, poiché andate quasi interamente distrutte.
Le fonti dicono che il sarcofago si
trovava in un ambiente sotto il pavimento, cui si accedeva, come nelle altre
catacombe, per mezzo di cinque gradini di pietra; il che, osserva la Mazzeo, fa
pensare che questo fosse un Martyrium.
Del nicchione, in cui furono
certamente scavate delle tombe, ci resta solo il lato sinistro in cui è
presente una struttura che permetteva la sepoltura a piani sovrapposti, in
quanto ad un primo piano costituito da tegoloni ne seguiva un altro contenente
delle ossa, per far si che i fedeli fossero sepolti accanto alla tomba dei
Martiri.
La parte di fondo presenta all’estrema
destra un nicchione ornamentale, successivamente murato; sul lato destro della
ghiera una nicchietta, ed al centro una nicchietta rettangolare a cielo aperto.
Attualmente si accede aile catacombe
dall’estremo angolo sinistro, per mezzo di una rottura di pareti.
Nel nicchione, dalla pianta ottagonale,
si aprono sei picco Ie absidi sovrastate, nella parte superiore, da una piu
grande che, a sua volta, sovra- sta la parte sotterra che esegnata
da lunghi cunicoIi in cui si rinvengono ancora loculi successivamente tagliati
per ampIiare i cunicoli stessi.
Alia destra del cunicolo una porta
sicuramente metteva in comunicazione questo ambiente e quello della ‘memoria’.
II cunicolo, dopo un arco, apre in una
cripta coperta a botte dalla quale continua il cunicolo principale e se ne apre
uno secondario, in cui si possono osservare tombe a semicappuccina.
La ricognizione completa della zona fa
scoprire anche nuovi cunicoli e nuovi ambienti che dimostrano come tutta la
collina di S. Casto fosse stata trasformata in catacombe.
A conforto di tale tesi, si ricorda che
nel 1972 furono rinvenute altre tombe a semicappuccina fittile che testimoniano
‘in loco’ la presenza di un cimitero sopraterra di cui parla anche lo
Stornaiolo.
L’insieme monumentale, anche se
abbandonato e sconosciuto ai più, ha importanza perché è una delle pochissime
testimonianze della chiesa primitiva locale e dell’antica fede delle genti
aurunche.
Inoltre, l’intero complesso, che si può
datare al massimo tra il IV e il V secolo dell’ era cristiana, e
rimasto intatto nella sua struttura, in quanto la distruzione di Sinuessa in epoca tardo-romana e la
decadenza della stessa Sessa impedirono che esso fosse inglobato in una
basilica o altro monumento cristiano, come è avvenuto per altri edifici
catacombali.
2.3. Eventi storici
delle reliquie
In riferimento alle reliquie dei
martiri Casto e Secondino, il Diamare riporta un’antica leggenda assai nota
presso il popolo sessano. Essa racconta che, essendo la basilichetta di S.
Casto visibile fino a Gaeta, gli abitanti di questa citta spesso vedevano uscirne
delle fiamme.
Spinti da questa visione, alcuni di
essi di nascosto vennero a Sessa e rubarono i corpi di S. Casto e S. Secondino.
II De Masi, che descrive il sarcofago
contenente i corpi dei due Santi e ne riporta l’iscrizione, ne attesta la
presenza nella basilichetta .
Ma a parte la leggenda, una sorta di ‘rapina’
da parte dei cittadini di Gaeta è anche attestata storicamente.
Lo stesso De Masi, come riporta il
Diamare, dice che i corpi dei due Martiri, dopo che riposarono a lungo nella basilichetta
di S. Casto ‘neIl’anno 966, come dice il Capaccio, secondo il computo del Baronio,
nel 967, oppure, come vuole Michele Monaco, nell’anno 969, ritrovandosi in
Capua il Papa Giovanni XIII e Pandolfo, Principe dei Longobardi, furono
trasportati in Gaeta ad istanza di Landone, duca di quella citta, co’ corpi de’
Santi Cassio e Casto, l’uno Vescovo di Sinuessa,
l’altro di Calvi, i quali al riferire di Cerbone, costituiti vescovi da S.
Pietro, furono martirizzati nella prima persecuzione mossa dall’imperatore
Nerone, e riposavano in Calvi.
E cosi riposti vennero questi sacri
pegni nel succorpo della Cattedrale di Gaeta insieme a quello di Sant’Erasmo, Vescovo e Martire, dal riferito Sommo
Pontefice che vi intervenne’.
II Diamare, perciò, conclude che se già
nel 969 il principe dei Longobardi volle le spoglie dei due Santi nella
Cattedrale di Gaeta, ciò vuol dire che già allora si stimavano moltissimo le sacre
spoglie custodite dai Sessani.
Inoltre, anche il Prof. Luigi lzzo nel
suo articolo S. Casto e S. Secondino a
Sessa, contenuto nell’opuscolo del Borrelli, ricorda che nel libro Degli
antichi Duchi e Consoli Ipati della città di
Gaeta, Giovanni Battista Federici, monaco cassinese del 1791, scrive che
nelle pergamene conservate a Montecassino si legge che nel 966 era duca di
Gaeta Landone o Lando, che aderì alle richieste di Pandolfo I Capodiferro,
Principe di Calvi, e concesse un braccio di S. Casto al vescovo di questa
citta, Andrea, eletto, nel 944, proprio da Pandolfo.
In un primo tempo i corpi dei nostri
Martiri furono riposti nell’altare a destra dell’altare maggiore della
Cattedrale, e quando, verso la fine del XVI secolo, il vescovo di Gaeta
Idelfonso Lassodegno, decise di costruire un succorpo per deporvi le reliquie dei
Santi, gli altari laterali furono demoliti, e Ie sacre reliquie composte in una
terza cassa, a parte, furono provvisoriamente poste in un altro luogo della
Cattedrale 53.
II 9 aprile 1620, completati i lavori
del succorpo, vi furono traslate le sacre reliquie e deposte sotto l’altare
insieme a quelle di S. Europia e di altri Santi, dove tuttora si venerano.
In riferimento a tale avvenimento il
Prof. Izzo scrive che ‘nell’archivio Capitolare di Gaeta, esiste
una pergamena del 1720 di mm.
720x445, che ricorda tale solenne avvenimento essendovi il vescovo D’Ona,
assistito da tutto il capitolo, seguito dai Giudici e dal popolo numeroso’.
I loro crani vennero, invece, venerati
in diversi reliquiari, fino a quando, nel 1982, furono di nuovo riportati a
Sessa Aurunca e restituiti alla venerazione del loro popolo.
prof.ssa Antonia Caputo
nata a Carinola (CE),
diplomata al Liceo Classico e successivamente all'Istituto Magistrale,
laurea in Lettere presso l'Università degli Studi di Cassino;
ha conseguito il Diploma in Scienze Religiose presso l'ISR "Fortunato de Santa" di Sessa Aurunca.
Docente di latino e materie letterarie nella scuola secondaria superiore,
cura inoltre i contenuti web come copy writer presso amdweb (sito ufficiale amdweb.it)
Le foto a corredo dell'articolo sono di Mauro Riccio e sono state tratte da internet.
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