La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

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venerdì 19 aprile 2024

Masseria de' Ciocchi a San Ruosi di Carinola






Carinola, borgo San Ruosi - Ceraldi
Portone della Masseria Ciocchi


La Masseria Ciocco o Ciocchi, dal nome dei nobili ‘proprietari’,  appartenenti al patriziato Nolano, che più ne hanno segnato storicamente  l’evoluzione e la caratterizzazione degli spazi, è sita nel borgo di San Ruosi-Ceraldi ( altrimenti detto, di Sant’Anna ), a solo pochi chilometri da Carinola.  Come molti altri siti, molti dei quali ancora poco noti persino alla critica, essa  si configura come una masseria di sicuro interesse storico e culturale lungo lo straordinario itinerario storico-artistico costituito dal cosiddetto Real  Cammino, strategica infrastruttura viaria risistemata, e in parte tracciata  durante il vice-regno Spagnolo ristrutturando parzialmente un’antica strada  romana che iniziando sostanzialmente dalla cosiddetta Scafa del  Garigliano, giungeva fino a Napoli. 

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La strategica collocazione della masseria, posta su di una piccola  altura a diretto contatto con il Real Cammino e, soprattutto, la rinomata  fertilità dell’Agro Falerno cui la stessa appartiene, ha reso partecipe la  struttura, nel corso dei secoli, di un lento processo di stratificazione che, com’è noto, a diversi livelli ha coinvolto l’intera circoscrizione territoriale, sin  dai tempi antichi. Non diversamente ad altri luoghi della zona, infatti,  l’aggregato che tuttora contraddistingue il sito dei Ciocchi si caratterizza  come insieme di fabbriche e luoghi destinati alla produzione agricola, nel  tempo, solidarizzatisi nelle forme di un piccolo insediamento accentrato,  arretrato rispetto alla via d’accesso, nell’aspetto attuale, stanziatosi a partire dalla tarda età moderna intorno a una tipica fabbrica masserizia munita di  cappella e di alloggi per contadini e braccianti, oltre che di ambienti  necessari all’attività agricola e al piccolo allevamento. Questo primo  organismo complesso, a cominciare dal Settecento, subì poi un graduale  progressivo ampliamento, aggregando al suo intorno ulteriori organismi  masserizi, altresì configurati mediante la ristrutturazione e l’incremento dei  volumi funzionali pertinenti il primitivo impianto. In questo modo, almeno dal  primo Ottocento, il complesso, oltre ad aumentare notevolmente la sua  estensione, ha finito per configurare al suo ingresso una sorta di  piazza/slargo, sulla quale affacciano sia la chiesa sia gli ingressi degli  organismi masserizi, parzialmente aperta sulla strada di accesso. L’attuale complesso architettonico è il risultato, quindi, di interventi  attuati in tempi diversi, a giudicare dalle testimonianze residue, non anteriori  alla fine del XVII-primo XVIII sec.. 



Carinola, borgo San Ruosi - Ceraldi
Masseria Ciocchi


Il Casale di S. Ruosi, sin dalla metà del XVIII sec. il più piccolo dei  villaggi carinolesi, era in origine riunito a Ventaroli come Villa S. Ambrogio, o  S. Orosio, Santo cui era dedicata anche la locale cappella. Sin dal 1742 –  data del primo catasto della città di Carinola e dei suoi dieci casali, opera  non terminata per le tante irregolarità e imprecisioni registratevi e, per  questo motivo, ripresa e perfezionata nel 1752-53 con aggiornamenti fino al  1755 – in questo Casale risiedono e hanno proprietà, sia edilizie sia terriere, in  misura assai differente le famiglie: Ciocco – ricchi nobili locali distinti in più  rami, il più ricco dei quali proveniente dal casale di Cascano, con proprietà,  anche molto estese, coincidenti con terreni, anche “aratorij” e campestri,  uliveti, querceti e boschi, e diverse “case palaziate”, tutti sparsi nei vari casali  della città, soprattutto a Nocelleto e Ventaroli, bestiame e con benefici a S.  Ruosi in due cappelle (S. Anna e S. Maria della Libera); Ceraldo –  proveniente da Sessa, con ricche proprietà (terre, case, bestiame)  soprattutto a San Ruosi; Tramunti - trasferitisi per qualche  tempo, ma ritornati poi a San Ruosi nel 1755, quando Antonio Tramunti  (bracciale) acquista, sempre dai Ciocco, “una casa di 2 membri inferiori e superiori, con cortile e piccolo giardino continuo, giusta altri loro beni (cioè,  una casa di 6 membri, 2 superiori e 4 inferiori, con orto continuo) e via  publica “ - e Menna – con Tomaso con qualifica di campiere, proprietaria di un certo numero di piccoli appezzamenti, anche uliveti, e di alcuni capi di bestiame, nella stessa S. Ruosi, nonché di due case, di cui una, “di 20  membri, 9 superiori e 11 inferiori, vicina ai beni dei Ciocco, nello stesso  casale.

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I Ciocco vanno identificati con i primi, e inizialmente, unici proprietari  della masseria oggetto di studio, nonché cofondatori, insieme con l’altra  famiglia patrizia dei Ceraldo di Sessa, dello stesso casale di San Ruosi. A  costoro, distinti nei tre rami facenti capo a Raimondo, originario proprietario  della Masseria omonima, a Francesco, intestatario di altre proprietà nello  stesso villaggio, e al ramo di Cascano, appartenevano, difatti, la gran parte  delle terre della zona. In particolare, Matteo Ciocco, il cui sacello è ospitato  nella cappella di S. Anna, originariamente dedicata a S. Ambrogio, annessa  alla masseria Ciocco, con un’epigrafe datata al 1713, deve farsi coincidere  con il fondatore dell’insediamento masserizio, sorto tra la fine del XVII e i  primi del XVIII sec. 

Alla data di compilazione del rilevamento catastale  (entro il 1753) l’erede di Raimondo, Don Giuseppe Ciocco, risultava  proprietario per “sua abitazione di una casa palaziata di più e diversi  membri, superiori e inferiori, con quattro cortili, tre giardini continui e  Cappella sotto il titolo di S. Anna Jus Patronato di sua Famiglia, giusta li beni  delli eredi del quondam Matteo Tramunti, di Tomaso Menna, altri beni proprij  e via publica”. 




Carinola, borgo San Ruosi - Ceraldi
Cappella di S. Anna, jus patronato della famiglia Ciocchi


Di sua proprietà era pure “una casa di un solo membro  terraneo” che teneva affittata e di molti terreni in diverse località di S. Ruosi,  anche confinanti con le terre dell’altro ramo dei Ciocco, quelli di Cascano. Diversamente, l’altro ramo dei Ciocco, eredi di  Francesco, al tempo identificati con un altro Giuseppe Ciocco, risiedevano  a San Cipriano d’Aversa, ma mantenevano a San Ruosi, fuori dalla descritta Masseria Ciocco, diverse proprietà terriere (per un totale di 42 moggia,  confinanti con i beni Gentile e la via vicinale) insieme a una “casa palaziata  di più e diversi membri inferiori e superiori, che si tiene per abitazione del di  lui fattore”. Identicamente facoltosi, benchè meno dei Ciocco, erano i Ceraldo  di Sessa, proprietari di diverse “masserie di fabbrica” a S. Croce, Nocelleto e,  come Pompeo e fratelli, anche di una con territorio di moggia 100 e 15  proprio a San Ruosi, nel luogo detto la Masseria di Ceraldo, con il beneficio  nella vicina cappella rurale del casale detta S. Maria della Libera, ancora  oggi, benché fatiscente, riconoscibile nelle fabbriche all’estremo sud-ovest  della Masseria dei Ciocco, secondo quanto rappresentato nelle cosiddette  “minute di campagna” del Reale Officio Topografico.




Carinola, borgo San Ruosi - Ceraldi
Masseria Ciocchi


Il testo è tratto da:

Andrea Amelio, "RESTAURO E VALORIZZAZIONE della Masseria de’ Ciocchi San Ruosi a Carinola (CE)", Tesi di Laurea in Architettura, Seconda Università degli Studi di Napoli - Anno Accademico  2016/2017


Foto di Salvatore Bertolino

lunedì 12 dicembre 2016

Carinola. Il palazzo Petrucci



Il palazzo, ubicato tra la piazza O. Mazza e quella della Cattedrale, è stato realizzato durante il XV secolo su preesistenze risalenti ai secoli precedenti ed è un eccezionale esempio di struttura nobiliare con notevoli influssi catalani. Il palazzo è appartenuto a Francesco de Petruciis, conte di Carinola dal 1464 e figlio di Antonello, segretario di Ferrante di Aragona, tra i principali artefici della "congiura dei baroni", ordita ai danni di Ferrante e conclusasi con la morte atroce dell'intera famiglia (1486-1487). In seguito, il Palazzo è divenuto proprietà dei Carafa di Stigliano e, dal 1692, dei Duchi Grillo di Clarafuentes.
La particolarità della struttura è data dalla composizione asimmetrica delle facciate, prive di un progetto unitario (essendo il palazzo frutto di varie stratificazioni) e dall'estrema originalità dello stile catalano. 







L'ingresso è scandito da un bel portale in stile durazzesco, posto in posizione non centrale, che immette in un androne e di lì, attraverso un imponente arco ribassato, alla corte interna. Il piano superiore è articolato in sette splendide finestre disposte su tre lati, tutte diverse tra loro ed ognuna interessante per la propria eleganza decorativa. La diversità morfologica di tali opere potrebbe segnalare l'intervento di maestranze diverse. Si va, infatti, da uno schema a croce guelfa a decorazioni più complesse, ottenute con cerchi non concentrici e allineati, con appesi pendagli in pietra alla maniera del grande maestro catalano Forcimanya, oppure a volute traforate o a due archetti che si incontrano nel centro, sovrastati da una cornice a bilanciere. 
A seguito di recenti restauri è stata riportata alla luce una bella loggia, posta all'angolo tra piazza Vescovado e via Roma, che si apre sulle facciate tramite due arcate per lato, poggianti su colonne polilobate con capitelli floreali. 





L'interno del palazzo è caratterizzato dalla classica corte intorno alla quale ruotano i numerosi ambienti che costituiscono la struttura. Si ritrovano ambienti di servizio, deposito e stalle al piano terra, abitativi e di rappresentanza al piano superiore. Particolare è la loggia a due livelli, che si snoda su due lati della corte; il livello inferiore è coperto a volta, mentre quello superiore presenta un soffitto ligneo affrescato cosi come era, un tempo, anche la sala di rappresentanza accessibile dalla loggia, che occupa buona parte del prospetto principale e si collega anche con la loggia d'angolo. Annesso al palazzo è anche un giardino che affaccia sulle mura della città, al quale si accede tramite una seconda corte interna.


Il testo è di Corrado Valente ed è tratto da:
Carinola. Guida ai luoghi e ai monumenti del territorio, Pro Loco di Carinola.


Per approfondimenti su Francesco Petrucci e la congiura dei baroni si veda il post

http://lebellezzedelmassico.blogspot.it/2012/05/francesco-petrucci-conte-di-carinola-e.html

sabato 1 ottobre 2016

I fasti del Rinascimento e la 38^ edizione della Fagiolata nel Casale di Sant'Angelo a Mondragone







Un evento di grande festa che, a distanza di quasi cinque secoli, riesce a far rivivere lo splendore e lo sfarzo delle corti italiane di quell'epoca d'oro: il Rinascimento.
Stiamo parlando del corteo storico che ha fatto da cornice alla Fagiolata nell’antico Casale di Sant’Angelo a Mondragone.

Ci piace  immaginare di tornare indietro nel tempo...
siamo nell’anno di Grazia 1636 (era la formula usata a quei tempi).

Anna Carafa,
principessa di Stigliano e duchessa di Rocca di Mondragone, figlia unica di Antonio Carafa della Stadera, duca di Rocca di Mondragone e di Elena Aldobrandini, nipote di papa Clemente VIII,  erede di una fortuna valutata in 1.500.000 scudi, oltre a 650.000 ducati in beni mobili, che la rendeva una delle più ricche ereditiere del Regno di Napoli di quel periodo, 
era andata in sposa, 12 maggio, al futuro viceré di Napoli don Ramiro Felipe Nuñez de Guzmàn.

Il matrimonio si celebrò a Napoli nella dimora di famiglia presso la Porta di Chiaia, un palazzo maestoso, poi denominato "Cellamare", appartenuto agli inizi del Cinquecento all’abate di Atella, Giovan Francesco Carafa, e trasformato in grandiosa dimora dal nipote di questi, Luigi, secondo principe di Stigliano.

Ma chi era Anna Carafa?
5^ Principessa di Stigliano, 6^ Duchessa di Rocca di Mondragone, Duchessa di Traetto, Contessa di Fondi, Baronessa di Calotone, Piadena e Spineda, Signora di Montenero, San Lorenzo, Laviano, Castelgrande, Rapone, Alianello, San Arcangelo, Roccanova, Accettura, Gorgoglione, Guardia, Jannano, Pietra d’Acino, Riardo, Teano, Roccamonfina, Sessa, Minervino, Volturara, Moliterno, Armento, Montenuovo, Procina, San Nicandro, Pietravairano, Casafredda, Galluccio, Capolungo, Itri, Fratta, Castelforte, Spegno, Sperlonga, Pastena, Sauvi, Casalnuovo, Castellorato, Monticello, Isola, Campomele, Caramanico, Torcello ecc.


Titoli e beni le erano piovuti addosso alla morte del nonno, Luigi, principe di Stigliano, duca di Mondragone, conte d’Aliano e marito di Isabella Gonzaga, che deteneva il ducato di Sabbioneta. Era l’unica erede, essendo scomparsi sia il padre, sia i due fratelli.
Che fosse avvenente non si può affermare: le notizie concordano solo su una cascata di capelli biondi. Che fosse una delle donne più ricche dei suoi tempi, lo dimostra l’elenco degli aspiranti alla sua mano. 
La ricca dote trasformò la ricerca di un marito in un affare internazionale che occupò a lungo le cronache e la corrispondenza del tempo, nonché le lunghe relazioni che dalla capitale del Viceregno (Napoli), ambasciatori e rappresentanti diplomatici inviavano alle Corti si appartenenza.
Non a caso nel corso del suo soggiorno a Napoli nel 1630, Maria d’Austria, sorella minore di Filippo IV e regina d’Ungheria, concesse alla tre donne di casa Carafa di essere tra le cinque dame napoletane autorizzate a sedere in sua presenza «sopra un piumaccio, come Grandi di Spagna, concedutosi à tutte l’altre semplicemente un tappeto».

Prima che la scelta cadesse sul duca di Medina, non ancora viceré, ma sicuro candidato alla carica, avevano tentato il colpo Giancarlo de’ Medici, fratello del granduca di Toscana, Taddeo Barberini, nipote di Urbano VIII, il principe ereditario di Polonia Giovanni Casimiro e Francesco d’Este, primogenito del duca di Modena. La lista d’attesa comprendeva altri nomi altisonanti quando, rompendo gli indugi, donn’Anna andò sposa, quasi trentenne, al nobile spagnolo.
Il matrimonio di Anna Carafa era divenuto un vero e proprio affare di stato con le trattative portate avanti dall’imperatore Filippo IV, per il tramite del suo potentissimo ministro il duca-conte di Olivares, da un lato, e dalla madre di Anna, Elena Aldobrandini, e dalla nonna materna, Isabella Gonzaga, che sebbene non si fidassero delle promesse del duca-conte di Olivares, alla fine acconsentirono al matrimonio.
Era l'anno di grazia 1636.
L’anno dopo, come previsto, il marito divenne viceré di Napoli e Anna Carafa viceregina di Napoli.

Ci piace immaginare che, qualche tempo dopo le nozze, (e ... chissà se lo abbia mai fatto!!), Anna Carafa con la sua corte abbia voluto far visita alle Terre di Roccha Montis Dragonis, a quei tempi terra paludosa, ricca di cacciagione, ma anche prodiga di prodotti dei campi… i fagioli, erano appena arrivati dalle Indie occidentali con Cristoforo Colombo e proprio in queste terre avevano trovato campo molto fertile.

Un corteo sontuoso, preceduto da cantori, giullari e dal castellano che, in suo nome, esercitava il potere, tra due ali di popolo festante e felice, faceva ingresso nel Casale di Sant’Angelo.





Ha scritto di lei, Matilde Serao nel suo immortale “Leggende napoletane”
Era lei la più nobile, la più potente, la più ricca, la più bella, la più rispettata, la più temuta, lei duchessa, lei signora, lei regina di forza e di grazia. Oh poteva salire gloriosa i due scalini che facevano del suo seggiolone quasi un trono; poteva levare la testa al caldo alito dell’ambizione appagata che le soffiava in volto. Le dame sedevano intorno a lei, facendole corona, minori tutte di lei: ella era sola, maggiore, unica.” 

domenica 4 settembre 2016

Mondragone, Lumina in Castro Rocca Montis Dragonis




“Metti che, in una fresca e calma sera d'estate, la Rocca Montis Dragonis abbia voglia di raccontarti la sua storia, di come nasce a difesa dei pochi coloni di Sinuessa sfuggiti alle devastazioni dei pirati saraceni e costretti a guadagnare la sommità del monte Petrino; di quanti tentativi abbia subito per essere espugnata, senza che mai alcuno vi sia riuscito; delle storie dei castellani che nel corso dei secoli l’hanno governata nel nome del sovrano di turno, sia stato esso il duca longobardo di Capua o quello normanno di Aversa, oppure uno dei re delle dinastie sveva, angioina o aragonese…, del suo abbandono ed, infine, delle cannonate che dal Tirreno l’hanno lacerata durante l’ultima guerra per snidare le truppe tedesche che da quella sommità controllavano la piana sottostante…”

“… e metti che accorra gente, a centinaia, da tutte le parti e che in fila indiana, munite di torce e bastoni, dopo un cammino di circa mezz’ora su di un impervio, ma ben tracciato sentiero, abbandonato il bosco, si trovi sul pianoro sommitale al cospetto di essa… la Rocca, che si erge maestosa, a strapiombo sulla città di Mondragone, con una vista mozzafiato che dai campi flegrei con l’isola di Ischia arriva fino al promontorio del Circeo…”







Ecco, questo è ... "Lumina in Castro"





Il brillare delle stelle, il riflesso della luna sul mare e la vista notturna della città di Mondragone ripagano della fatica sostenuta, … magico preludio agli abiti di luce che la Rocca indosserà in un rapido susseguirsi di proiezioni video, di atti teatrali e momenti di danza. 


Distogliendo lo sguardo dalla sottostante città e osservando  solo le antiche mura di quello che rimane oggi della Rocca sarà naturale sentirsi catapultati nella Storia, la nostra storia.


Lumina in Castro


Un progetto finalizzato alla valorizzazione storica, culturale ed ambientale del complesso archeologico della Rocca Montis Dragonis, sito sul pianoro sommitale del monte Petrino, nel comune di Mondragone, nato nel 2011, come naturale prosecuzione del progetto d’illuminazione della Rocca Montis Dragonis,  intrapreso  nel 2008. Ideatori, promotori ed organizzatori  di entrambi gli eventi, sono i componenti del Comitato Festa San Michele Arcangelo, sostenuti nel  corso degli anni dalle istituzioni pubbliche locali (Comune e Pro-loco). 
L’intento primario di questo ambizioso progetto è stato, sin dal principio, quello di sensibilizzare cittadini ed istituzioni alla valorizzazione del patrimonio storico, ambientale, culturale ed artistico della città di Mondragone.