La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

venerdì 13 giugno 2014

L'abbazia benedettina di Sant'Angelo in Formis

Abbazia di Sant'Angelo in Formis


La chiesa fu costruita al tempo dei Longobardi nel VI secolo, in onore dell’Arcangelo S. Michele alle falde del Monte Tifata, presso Capua. La Basilica fu detta prima ad arcum Dianae, perché edificata sui ruderi del tempio di Diana Tifatina poi detta in formis o ad formis per la presenza di alcune arcate di acquedotto.
Grazie agli scavi archeologici degli ultimi anni conosciamo l’esatta ubicazione del tempio di Diana e la sua tipologia. L’attuale piano di calpestio e buona parte del pavimento della basilica, così il perimetro della chiesa ripercorre il perimetro del podio su cui si innalzava il tempio. All’esterno, sul lato sud vicino al campanile e all’interno, appena entrati nella chiesa, il podio presentava un paramento in blocchi di tufo grigio e doveva essere di tipo etrusco-italico ad una sola cella orientato ad ovest. Non si sa con precisione quando fu edificata la chiesa, ma essa esisteva già al tempo del vescovo di Capua Pietro I (925-938), il quale concesse ai monaci di Montecassino la chiesa di S. Michele Arcangelo per costruirvi un monastero, come risulta dal Chronicon cassinese. Nel 943 Sicone, vescovo di Capua e di stirpe longobarda, tolse la chiesa ai Cassinesi per darla in beneficio ad un diacono che sembra trasformò l’edificio sacro in luogo di ritrovo per gli oziosi del luogo. Nel 944 i monaci fecero ricorso al Pontefice Marino II, il quale ordinò al vescovo, sotto pena di scomunica, di rendere prontamente la chiesa di S. Angelo de monte ai monaci.
Non si sa per quali ragioni, ma già nel 1065 l’edificio sacro risultò nelle mani dell’arcivescovo di Capua, Ildebrando, figlio di Pandolfo I. Nel 1066 il principe Riccardo con Giordano, suo figlio, donarono alla chiesa di S. Angelo il territorio di Sarzano con le sue pertinenze. Sei anni dopo, nel febbraio del 1072, il principe donò il cenobio di S. Angelo con tutte le sue pertinenze al monastero cassinese. Desiderio, il grande abate cassinese, fece ricostruire ed affrescare la nuova chiesa tra il 1072 e il 1087.
Tra il principe e l’abate, già legati da vincoli di amicizia, iniziò una stretta collaborazione nella definitiva sistemazione della chiesa e del convento. Su antiche colonne fu innalzata la basilica e negli immediati dintorni furono costruiti una foresteria, la sacrestia, l’ospedale, un ospizio e, più tardi, una cappella dedicata a San Nicola di Myra. Nacque un vivo centro monastico che ospitava una comunità di ben quaranta monaci. In un documento del 15 settembre del 1095 Riccardo II, principe di Capua, conferma a S. Angelo in Formis le possessioni e i privilegi concessi al monastero da Riccardo I e da Giordano suoi successori. Il monastero ebbe lunga vita e solo nel 1417 fu soppresso, quando i monaci andarono via e l’antico cenobio divenne, sotto il pontificato di Martino V, una prepositura soggetta a Montecassino.
Prima del 1574 inizia la serie degli abati commendatari. Il cardinale, Antonio Carafa, è il primo che iniziò il lento abbandono degli edifici cenobitici. Nel 1732 l’abate Giuseppe Renato Imperiale fece eseguire numerosi restauri per rimettere in sesto la chiesa e gli edifici annessi. Nel 1766 il monastero divenne dipendenza della Chiesa di S. Marcello a Capua. Successivamente, nel 1799 venne dichiarata di regio patronato, perché i Borboni si autoproclamarono eredi dei principi normanni Riccardo I e Giordano I. Nella prima metà del XIX secolo l’abate Caprioli ne ristrutturò il soffitto e vi aggiunse la sacrestia e il cimitero.
Nel 1870 la Badia passò al demanio dello Stato.


Abbazia di Sant'Angelo in Formis: particolare


La Chiesa di S. Angelo in Formis è considerata l’edificio più importante dell’architettura romanica nella regione Capuana. Si presenta con un portico lungo 17,40 m, a cinque fornici, quattro archi acuti di richiamo musulmano con volte a crociera uno centrale a tutto sesto, con volta a botte, molto più alto degli altri sostenuti da quattro colonne, due di marmo cipollino e due di granito, mentre ai due lati due massicci pilastri di tufo. Le quattro colonne, chiaramente di spoglio, furono prelevate da un tempio o da una costruzione civile.
La facciata della chiesa si eleva al di sopra del portico e mostra tre finestre rotonde, simili a quelle delle pareti laterali, oltre una più piccola in alto. Il portale centrale d’ingresso della chiesa, coronato da un arco semicircolare e da un architrave con iscrizione.
Il campanile, posto a sud, si trova in posizione arretrata rispetto al pronao ed è alto 19m. È costituito da due piani di differenti materiali: il primo di marmo bianco ed il secondo in mattoni rossi. Il primo piano ha due porte con arco a tutto sesto, di cui uno murato e due sottili finestre. L’ornato della cornice è tanto simile a quello dell’archivolto del portale dell’Abbazia, da far supporre che una medesima maestranza sia stata all’opera nei due casi. Su ogni lato del secondo piano, quasi della stessa altezza del primo, si apre una bifora a tutto sesto. Anche questo piano termina con una cornice di marmo più piccola. Rimasto in piedi solo per due terzi della sua altezza, originariamente la costruzione doveva esplicare anche la funzione di torre di avvistamento. Infatti, per meglio poter svolgere questa funzione nel Quattrocento fu abbattuta l’elegante cupoletta sormontata da una croce. Interessante è la bicromia degli ordini. La zona inferiore in travertino e quella superiore in cotto, secondo una tradizione riscontrabile anche nei campanili di Capua, Salerno, Caserta Vecchia e nelle torri federiciane di Capua.
L’interno dell’edificio è a tre navate, quella centrale più ampia e lunga, divise mediante una doppia serie di sette colonne, terminanti in tre absidi, senza transetto né cripta. Le colonne, di granito e di marmo cipollino, sostengono otto arcate a tutto sesto. Nel 1732 il cardinale Giuseppe Renato Imperiale, il cui nome compare su di una lapide apposta sulla parete sinistra del portico, aggiunse alla chiesa il soffitto, arricchendola di altri cinque altari. Ai lati dell’ingresso due acquasantiere: quella a destra formata da un’ara romana tardoimperiale, l’altra è un capitello di stile romanico appoggiato su un rocchio di colonna.
L’altare maggiore è un sarcofago romano sistemato qui verso il 1964 e proveniente dal Museo S. Martino di Napoli. A sinistra dell’altare si trova un pulpito di marmo poggiante su quattro colonne. Sul parapetto un’aquila acefala, che trattiene tra gli artigli il Vangelo, fa da leggio. Il pulpito doveva essere poi del tutto rivestito di mosaici, oggi purtroppo scomparsi.
Sulle pareti delle absidi si rivelano le tracce di finestre, tre in quella centrale e una in quelle laterali.
Durante la costruzione della chiesa di Montecassino Desiderio inviò a Costantinopoli dei monaci col compito di assoldare abili maestri nel lavoro in marmo e nei mosaici, inoltre l’Abate volle che i giovani novizi e i monaci si avvicinassero a queste tecniche artistiche. Purtroppo a Montecassino nulla è rimasto, ma pregevoli testimoni delle tendenze importate dai mosaicisti bizantini e dell’arte in Italia dell'XI secolo sono gli affreschi di S. Angelo in Formis. Sicuramente realizzati al tempo di Desiderio (1072-1087) – e per fortuna ritrovati nel 1840 da un mastro muratore – gli affreschi, realizzati secondo un preciso piano teologico-didascalico illustrano la storia della salvezza secondo una vera carrellata di personaggi e scene del Vecchio e del Nuovo Testamento.
Il ciclo pittorico presenta i due cicli testamentari, un Giudizio Universale in controfacciata, ma molte sono anche le rappresentazioni dei profeti. All’esterno al di sopra dell’architrave, accolgono i fedeli due lunette; in quella inferiore la Madonna orante in un medaglione sorretto da due angeli mentre in quella superiore l’Arcangelo Michele. Nelle lunette degli altri quattro archi vi sono le Storie di S. Paolo e di S. Antonio, probabilmente risalenti al XIII secolo. Nell’abside centrale in alto il simbolo dello Spirito Santo, la colomba, nel mezzo Cristo seduto sopra un trono bizantino con la mano destra in atto di benedire alla maniera greca.
Ai lati del Cristo i quattro simboli degli Evangelisti, mentre ai suoi piedi S. Gabriele, S. Raffaele, S. Michele, S. Benedetto con il libro della regola e l’Abate Desiderio che offre il “modellino” della chiesa. Sulle pareti della navata centrale si sviluppa, in tre ordini, il percorso evangelico. Sui piedritti delle colonne sono affrescati i Profeti ed altri personaggi della Sacra Scrittura, mentre sulle pareti della navata centrale si dispiegano gli episodi più salienti del Vangelo.


Abbazia di Sant'Angelo in Formis: portale


Abbazia di Sant'Angelo in Formis: ciclo di affreschi
Il testo è tratto da: 
L'influenza cassinese nelle più antiche chiese medievali della Campania. Fonti storiche, architettoniche e archeologiche 
di Pierfrancesco Rescio.
Le foto sono di Salvatore Bertolino.

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