La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

Visualizzazione post con etichetta I Borboni. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta I Borboni. Mostra tutti i post

venerdì 21 giugno 2013

Sessa Aurunca: 250° anniversario della Fondazione del Monte di San Carlo Borromeo


Prevista per il 27 e 28 giugno 2013 la cerimonia per festeggiare il 250° anniversario della Confraternita e del Monte di San Carlo Borromeo di Sessa Aurunca. Le regole del Monte di San Carlo Borromeo furono munite di regio assenso con atto di Ferdinando IV di Borbone, Re di Napoli,  in data 28 giugno 1763.





giovedì 13 giugno 2013

Carinola: l'Associazione culturale "Matilde Serao" presenta il libro di Nadia Verdile "MARIA LUISA la Duchessa Infanta"


Il ritratto inedito dell'infanta Maria Luisa di Borbone, nipote di Carlo III, sarà svelato a Carinola sabato 15 giugno 2013, alle 18, nel salone di Palazzo Petrucci, storica residenza di Filippo Petrucci segretario del re di Napoli Ferrante d’Aragona.
L'occasione ci è fornita dalla presentazione, dopo quella avvenuta a Caserta, del nuovo libro di Nadia Verdile, giornalista e scrittrice che da anni dedica i suoi studi alla storia delle donne.
L’evento è organizzato dall’Associazione culturale “Matilde Serao” di Carinola.
A presentare il libro e la figura controversa e indimenticata di Maria Luisa di Spagna, alla presenza dell'autrice, dopo i saluti del Sindaco di Carinola dott. Luigi De Risi, dell’Assessore alla cultura del comune di Carinola avv. Rosa di Mario e della Presidente dell’Associazione culturale “Matilde Serao” dott.ssa Silvana Sciaudone ed una breve introduzione di Antonio Corribolo, fondatore del Premio giornalistico “Matilde Serao”, sarà la prof.ssa Giuseppina Scognamiglio, docente di Letteratura teatrale italiana, Dipartimento Studi umanistici, Ateneo Federico II di Napoli.
Coordinatrice della serata sarà Paola Broccoli dell’Associazione Culturale “Matilde Serao”.



L’attrice Dafne Rapuano vestirà i panni di Maria Luisa, indossando un abito storico dell'Atelier "Le Muse", recitando una pièce scritta dall'autrice del libro.


"Maria Luisa, la Duchessa infanta. Da Madrid a Lucca, una Borbone sullo scacchiere di Napoleone (Maria Pacini Fazzi Editore) è frutto di un'attenta ricerca che restituisce un ritratto del tutto originale e scevro da preconcetti dell'ultima duchessa di Lucca, sorella di Maria Isabella che sposò re Francesco I delle Due Sicilie.
Una biografia ricostruita grazie a documenti e testi spesso ignorati dalla storiografia. Due gli obiettivi dell'opera: svestire dai panni misogini le fonti utilizzate e raccontare di una Borbone senza respirare i pregiudizi che su questa casata ancora insistono. Maria Luisa, nella scrittura della Verdile, non è più seduta al tavolo degli imputati; senza aggettivi, l'autrice ha ricostruito la vicenda umana e politica di una donna chiamata a gestire Stati, non più a gestire un potere e un tempo assoluti, ma una comparsa nello svolgersi della vicenda umana che attraverso le sue molteplici azioni di governo ha fatto di Firenze prima e di Lucca poi luoghi di cultura, talvolta avamposti di modernità. Poco importa se controcorrente e fiera della sua fede. Maria Luisa di Borbone, infatti, visse a cavallo di due secoli speciali. Non ebbe modo di godersi l'era del dispotismo illuminato, non potette evitare la Restaurazione. Vittima della politica vorace di Napoleone, ovunque fu mandata a governare ebbe gente contro: familiari, avversari, sudditi, politici. Eppure, nel suo progetto di governo, ovunque le capitò di esercitarlo, cercò di portare il suo contributo, tentando di costruire, di investire nella cultura, nei luoghi, nell'arte. Lo fece per sé, per il figlio Carlo Ludovico di cui fu reggente, lo fece sperando di lasciare traccia del suo passaggio. E proprio a Lucca profuse ogni suo sforzo in un progetto politico di buongoverno ispirato alla saggezza, alla clemenza e alla prosperità della cultura e delle arti. 

mercoledì 14 novembre 2012

I marmi di Mondragone


Mondragone, località Sellara
Affioramento di un blocco di roccia marmifera gialla
Sono state rinomatissime le cave di marmi, che costituirono e sono tuttora il decoro e lo splendore della Reggia di Caserta e di Napoli e della chiesa di San Francesco da Paola coll’imponente porticato.Ora, per accidia dei dirigenti, le cave di San Mauro e di San Sebastiano sono quasi del tutto abbandonate. E' deplorevole che un cespite cosi cospicuo, resti improduttivo.
Così scriveva, quasi un secolo fa, esattamente nel 1927, Biagio Greco nella sua “Storia di Mondragone” e poi di seguito descriveva le caratteristiche dei marmi estratti dalle colline di Mondragone che nel corso dei secoli avevano vissuto momenti di grande splendore.

Infatti, fin dal 1754, Luigi Vanvitelli impegnato nella costruzione della Reggia di Caserta, si era recato a visitare con l’abate Vaccarini, altro grande architetto palermitano, le cave di S. Mauro e di San Sebastiano in Mondragone. Successivamente nelle stesse lavorò uno dei più bravi cavatori dell'epoca, Burrino Benedetto Belli, originario di Urbino, che aveva vinto l’appalto dello “scavo e taglio” delle pietre  il 26 luglio 1761 «da terminare quando piacerà al suddetto regio architetto». Nel 1767 lo stesso Benedetto Belli ebbe l’appalto per sbozzare le colonne della Cappella Palatina della Reggia che furono estratte in marmo giallo dalle cave di Mondragone.
In una lettera manoscritta del 14 agosto 1767, diretta a S. E. Neroni Intendente Generale dei Reali Stati di Caserta, l'architetto Luigi Vanvitelli così si esprime circa la valenza tecnica del Belli: 
Rispetto alla cava di Mondragone un certo Corsi di Carrara, che travagliò per il Can.co Avellino, l’anno passato voleva esibire a prezzo minor dei Burrini la cavatura; ma avendoli io detto che li pezzi grossi che cavò al Canonico Avellino erano belli in apparenza, inutili però in sostanza, perché tutti fessi e pelati, a cagione che aveva adoperato le mine con la polvere; ed all’opposto li Burrini adoperavano il sugo della braccia, e perciò riescano i pezzi saldi e sinceri, secondo mi occorre singolarmente per le colonne della Cappella se ne partì a capo chino, benché spinto dal fiscale. 
Manoscritti di Luigi Vanvitelli nell'Archivio della Reggia di Caserta 1752-1773, a cura di Antonio Gianfrotta, 2000. 
 Mondragone, località Sellara
Affioramento di un blocco di roccia marmifera grigia


Biagio Greco, nella sua opera, così descrive i marmi di Mondragone:



1. Marmo brecciato cinerino

Le cave di marmo di Mondragone sono fra le più eminentemente note nella Provincia. Ebbero un passato rinomatissimo, quantunque attualmente non vi si lavori quasi affatto.

I marmi di Mondragone li incontrate pressoché in tutti i monumenti antichi e moderni della Provincia, e si può ritenere sia stato il più diffuso. 

La cava più nota, è quella situata sulla regione Cimentara in faccia alla Starza a poco più di 100 metri sul livello del mare, di là si levarono i più bei massi di marmo per i colonnati del Teatro San Carlo di Napoli, per la Reggia di Napoli, Caserta etc. La cava, ossia le cave aperte hanno più di 50 metri di potenza. In tale località due marmi ordinariamente si scavano, ma non è difficile separarne un terzo e si potrebbe con tagli accorti, dare origine anche ad un quarto tipo; la cava presenta oltre 100 metri di coltivazione sui due lati, quello di notte, e quello di levante. Il banco ha un'altezza di 50 e più metri. Potrebbe però allargarsi di altri 100 metri, e approfondirsi di altri 50. La pietra per marmo, è ricoperta fino a metà del suo ammasso, dai depositi di arenarie, da calcari e argille mioceniche. I marmi sono brecciati, e la diversità nella natura e stato dell'elemento brecciante, costituisce le specialità nella varietà dei marmi.

Il tipo numero sei che descriviamo per primo; è costituito da una breccia fornita da frammenti calcarei, bruni, cenerini e bigio chiare intimamente cementati, da due elementi successivi, primo da carbonato spatico, il quale assume, col taglio una tinta bianco perlacea trasparente; il secondo da materia argillo-ferruginosa, di color giallo sporco, formante macchie opache. Il marmo lavorato è di un bell'effetto, facile al lavoro, conserva ciò nullameno la pulitura e la lucentezza.


2. Marmo brecciato giallo 
La cava dell’esemplare che descriviamo, è sottoposta alla precedente, vale a dire la prima forma cappello alla seconda, più la cava s'innalza e più è cenerina, più si abbassa, e più è gialla. Gli elementi della breccia in questo secondo tipo sono assai più confusi, la materia brecciante è così compenetrata negli elementi brecciati, che il bigio primitivo, il cenerino sfumano, sotto un'onda bianco perlacea opalina, come una pittura ad olio sovrapposta; vi è, per così dire, applicato il 2° elemento brecciante in giallo, costituito da elementi argillo-ferruginosi. Anche questo tipo, fu uno dei più accetti, pare un bardiglio, macchiato ad arte di giallo. Il marmo è bello, assume lucidatura e pulitura perfettissima, offre massi enormi, sani. Le cave di marmo di Mondragone, non offrono parti, rappresentano un ammasso di materia utile, per qualsiasi colossale lavoro.

3. Marmo cenerino bianco venato 
Come interessa saper ben dirigere lo scavo, l'orientamento, la segatura dei blocchi di marmo, secondo determinate norme, così è utile saper ben distinguere le varianti che succedono in un deposito. Una stessa cava si può in tal maniera arricchire di più esemplari, può creare delle varietà, dei tipi. Nella stessa cava di Mondragone, ci riuscì facile dividere nettamente in tre o quattro gruppi distinti i marmi. che si possono estrarre.
La cava di San Sebastiano è a poco più di 30 metri sul livello del mare, ha ai suoi piedi i ruderi dell'antica via Appia. In prossimità le famose acque minerali storiche di Mondragone. Nessuna cava di marmo si potrebbe trovare in migliori condizioni per lo scavo. Ha un estensione di circa mezzo chilometro, e oltre 200 metri di potenza.

4. Marmo bruniccio bianco venato 
Salendo sopra i monti di Mondragone al luogo detto Cresta del Gallo, presso la cava dell'acqua, a circa 300 metri sul livello del mare, la roccia compare diversa assai dalla precedente; dopo alcuni strati di calcari argillose e arenarie neucomiane, compare, il calcare maiolica, jurese, in strati sottili, ma più potente, si presenta uno strato di calcarea bruna venata di bianco. Abbiamo raccolto un primo esemplare che è appunto quello che descriviamo e un altro che descriveremo dopo. Il calcare non è fossilifero, ha colore uniforme, è venato in due sensi, le vene formano quasi losanghe. E una specie nuova per il luogo, ha maggiore profondità e può somministrare un buon marmo.

5. Marmo bruno venato 
Poco sopra al luogo dell'acqua, nelle montagne di Mondragone le stratificazioni   calcaree si presentano più determinate e omogenee.
Il bruno venato, si caratterizza fra gli strati sottili del calcare argilloso e del maiolica. Abbiamo levato l'esemplare che descriviamo, per far conoscere quest'altra specie di pietra per marmo ornamentale.
Il marmo è bruno, cenerino oscuro con qualche macchia giallastra ed è venato a zig zag da vene bianchissime spatiche. Come marmo da fondi o cornici, per zoccoli, gradini, ecc. sarebbe un ottimo acquisto per l'industria. Lo strato è esteso e crediamo attraversi lungh'esso tutto il monte Massico.

6. Marmo fiorito bigio
A monte Sant'Anna di Mondragone, a circa 390 metri sul livello del mare, la calcarea assume un'altra caratteristica assai diversa dai precedenti; si presenta di un bel colore cenere chiara.
L’esemplare che abbiamo fatto levare e lavorare ci presenta i seguenti caratteri: è di color bigio con macchie chiare formate da fossili minutissimi. Il fossile è di colore più chiaro, mentre l'incluso ossia la pasta contenuta nel guscio della conchiglia è più oscura, ciò che costituisce un elegante macchiettamento: sottili vene seghettate, parimenti chiare, attraversano la massa. L’assieme dei delicati contrasti, delle gradazioni dal bigio danno bell'aspetto al marmo.

sabato 13 ottobre 2012

L'oasi di Variconi alla foce del fiume Volturno




L'Oasi dei Variconi (carta 1: 25000)

L'Oasi dei Variconi si trova  sulla riva sinistra della Foce del Fiume Volturno, a poca distanza dal centro storico del Comune di Castelvolturno,  è un’area palustre di elevata importanza perché è posizionata al centro del Mediterraneo; una delle ultime aree umide d'Italia essa è tutelata dalla  Convenzione di Ramsar.
L’oasi comprende un vasto ambiente salmastro retrodunale con una superficie di circa 194 ettari di cui il 60% occupata da due piccoli stagni costieri salmastri comunicanti tra loro. Gli stagni non hanno un rapporto diretto e costante con il mare, ma vi sono dei canali che  oltre a collegarli fra di loro, li collegano alla foce del Volturno. Le acque salmastre derivano in parte da infiltrazioni di origine marine e in parte da apporti meteorici.
Nell’ambito delle Direttive n. 79/409/CEE “Uccelli - Conservazione degli uccelli selvatici” e n. 92/43/CEE “Habitat – Conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche” l’oasi è stata individuata come ZPS, Zona a Protezione Speciale, proprio per l’elevato numero di uccelli migratori che vi  transitano:  gli ornitologi hanno osservato ed individuato circa 250 specie di uccelli e molti di essi hanno scelto questa zona come propria area di nidificazione.
Nel 1978 la Provincia di Caserta vi ha istituito un’Oasi di protezione della fauna, mentre dal 1993 tutta la zona è entrata a far parte della Riserva naturale Foce Volturno/Costa di Licola – Lago di Falciano della Regione Campania.
Tra la fauna: aironi, garzette, anatre, rapaci diurni e notturni, migliaia di passeriformi; la flora è costituita essenzialmente da distese di salicornia, tamerici e giunco.
Oggi, con l’intervento di recupero e sensibilizzazione dell’Associazione Le Sentinelle onlus, che è riuscita a coinvolgere Enti, ed Associazioni del territorio, è stato ripristinato un percorso naturalistico, munito di passerelle e capanni, accessibile per le visite scolastiche e per tutti gli appassionati del birdwatching.












venerdì 16 marzo 2012

Margherita Branciforti, duchessa di Mondragone

Margherita Branciforti, duchessa di Mondragone
illustrazione tratta dal saggio di Pinella Musmeci

Chi era questa donna che accomunò ai suoi non indifferenti titoli nobiliari anche quello di duchessa di Mondragone, privilegiandolo e portandolo con sé per tutta la vita e anche oltre?

Margherita Branciforti 

duchessa di Mondragone

Palermo 12.7.1781 – Niscemi 23.5.1830


così recita una semplice lapide posta nel muro di cinta del nuovo cimitero di Niscemi (Caltanissetta) con una foto in bianco e nero ricavata da un ritratto ad olio.
A questa donna ha dedicato un interessante saggio “Rivediamo la storia di Margherita Branciforti Duchessa di Mondragone” la storica Pinella Musmeci, inserito in una raccolta di altri saggi dal titolo “Diafore dimenticate”, pubblicato in Acireale 2001.

Pinella Musmeci contesta, e lo fa con dovizia di riferimenti storici e documentali, quanto precedentemente scritto, nel 1930, da Rosario Disca in un’altra opera sempre dal titolo “Margherita Branciforti Duchessa di Mondragone”. Anzi la Musmeci non riesce affatto a
comprendere la ragione che spinse il Disca ad operare una così intricata commistione tra documenti legali ed affermazioni intuitive, pur di scrivere un'opera piacevole alla lettura, una storia romanzata, descrivendo la Branciforti come una donna leggera, amante dei balli di corte e della bella vita. Il Disca, prete di Niscemi, proprio a causa di questa pubblicazione fu sospeso a divinis per alcuni mesi ed inviato a fare “esercizi spirituali”.
Ecco come il Disca ce la descrive nella parte finale del suo lavoro:
… fu di statura mezzana, ben fatta e negli ultimi anni della sua vita piuttosto pingue: bellissima nel volto; fronte spaziosa adombrata da capelli neri, occhi vivaci, naso affilato, mani e piedi piccolissimi. Vanitosa e leggera, sentì poco l’amore materno; ebbe poca cura del suo onore e cercò sempre di brillare nella società tra i grandi. Usa agli esempi della sua famiglia, ebbe cuore grande e munifico, ma fu sempre debole; si mostrò più prodiga che generosa. Convinta che le sue ricchezze erano inesauribili, non curò l’integrità dei suoi beni immobili; con incredibile leggerezza contrasse enormi debiti, permise che altri avessero sprecate le sue rendite e si lasciò spogliare dei suoi beni. Ebbe l’orgoglio dei principi di Butera, ma non l’onore e la virtù. Abbandonata dal marito, non seppe vivere in un ritiro dignitoso; indulse facilmente ai vizi, e finì vittima di un secondo marito che solo agognava alle sue ricchezze. La sua proprietà del valore di circa 85.000 onze, cioè unmilioneottantatremilasettecento-cinquanta lire, per quei tempi una ricchezza enorme, era costituita da feudi e da canoni. Alienò definitivamente due feudi, gravò di enormi ipoteche gli altri in modo da considerarsi anche perduti del tutto; dissipò in canoni per sciupare denaro; e alla sua morte lasciò debiti che il cav. Gout notò per onze 28877, 6 …..
Il saggio della Musmeci, puntuale e preciso, frutto di un’approfondita e lunga ricerca condotta in archivi storici ed ecclesiastici di Napoli, Palermo ed anche in Spagna, ci descrive, invece, una donna con tutti i suoi problemi, legata al suo tempo e alla sua famiglia.


Niscemi, palazzo Branciforti
foto tratta da internet (autore: Salvatore Brancati)


Margherita Branciforti, figlia di Ercole Michele Branciforti Pignatelli, principe di Pietraperzia e principe ereditario di Butera, e di donna Ferdinanda Riggio Moncada, dei principi di Aci e di Campofiorito, sposò in Napoli il 26 maggio 1790, in prime nozze, il duca Filippo Agapito Grillo Sanseverino, conte di Carinola, erede del titolo di Duca di Mondragone. Si spense a Niscemi il 23 maggio 1830 in un palazzo barocco, ancora esistente, da cui si domina tutta la piana di Gela; aveva lasciato Palermo circa sei anni prima senza mai più ritornarvi. Dal matrimonio erano nati tre figli: Domenico, Giuseppe e Maria Rosa. I primi due morirono, il primo in tenera età e l’altro in Sicilia, all’età di circa 20 anni, in circostanze mai accertate e forse collegate ai moti rivoluzionari di Palermo del 1820; la terzogenita Maria Rosa Grillo sposò il 31 marzo 1808 Giovanni Carlo Doria, principe di Angri, e morì in Napoli il 1 agosto 1863.


Mondragone. Palazzo ducale
Edificato dalla famiglia Grillo  intorno al 1700.


Per approfondimenti:
  • Rosario Disca, Margherita Branciforti duchessa di Mondragone, tipografia Scrodato, Gela 1932, X.
  • Pinella Musmeci, Rivediamo la storia di Margherita Branciforti duchessa di Mondragone, in Diafore dimenticate, tipografia Guerrera, Acireale 2001.