La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

lunedì 10 giugno 2024

La via Domiziana. Ricognizioni storiche lungo il tracciato




Mondragone, loc. Scopelle.
Affioramento del lastricato della via Domitiana


Una strada che metteva in comunicazione Sinuessa con Literno e Pozzuoli, fosse pure in semplice terra battuta o sotto forma di pista polverosa, esisteva già dal 215 a.C., allorquando fu aperta da Quinto Fabio Massimo durante la II guerra punica. 

Nello stesso anno questa strada fu utilizzata da Tito Sempronio Gracco, come ci tramanda Tito Livio negli Annales

Sinuessae, quo ad conveniendum diem edixerat, exercitu lustrato, transgressus Vulturnum, circa Liternum castra posuit 

quando, il console, dopo aver passato in rassegna l'esercito a Sinuessa,  supera il Volturno e pone l'accampamento  a Liternum. 




Roma. Museo Archeologico Centrale Montemartini
Ritratto di Domitiano

Solo nell’anno 95 d.C., per volere di Domiziano imperatore questa strada venne rifatta e lastricata, e resa efficiente a tal punto che diventò percorribile in appena due ore.

 

Nacque così la via Domitiana. 




Mondragone, loc. Scopelle.
Tracciato originario della via Domitiana


La via Domitiana aveva inizio appena dopo Sinuessa, laddove la consolare Appia svoltava per Capua; quindi, mentre l’Appia si dirigeva verso sud–est, lambendo le pendici del Monte Petrino, la via Domitiana proseguiva lungo il litorale: 

Illic flectitur excitus viator, 

Illic Appia se dolet relinqui. a

Tunc velocior acriorque cursus, 

Tunc ipsos iuvat impetus iugales; 

Ceu fessis ubi remigum lacertis 

Primae carbasa ventilatis, aurae.

Stazio, Silvae, IV, vv 101-106 




Mondragone, loc. Scopelle.
Affioramento del lastricato della via Domitiana


Il tragitto completo, da Sinuessa a Puteoli, misurava 33 miglia romane, pari a circa Km 49. 

Lungo il suo percorso, la Domitiana transitava mediante ponti, sicuramente in muratura, su tre fiumi: nell’ordine, il Savone, il Volturno ed il Clanio (chiamato anche Liternum flumen), nonché immissario ed emissario della Palus Liternina, (oggi Lago di Patria); attraversava centri abitati quali Vulturnum (Castelvolturno), Liternum (Lago Patria) e Cumae, prima di giungere a Puteoli


In merito al ponte sul Savone, una testimonianza abbastanza recente ci è fornita da Antonio Sementini (Sinuessa. Ricognizioni archeologiche lungo l'Appia e la Domiziana)  da cui apprendiamo che fino al 1949-50 era ancora visibile lo scheletro di un'arcata in tufo giallo flegreo con filari in cotto. Il dato è confermato da Johwannosky (1990) secondo cui, resti del ponte erano visibili fino agli anni '50 quando furono eseguiti i lavori di regimentazione dell'alveo del Savone.

Ecco come il Sementini descrive il ponte sul Savone:

Costruito a due luci sulla foce del "piger Savo" a sostegno dello antico selciato sul lento deflusso dell'ultimo corso del fiume, l'antico ponte lasciava ancora in vista, ai margini del vigneto del sig. Francesco La Torre, la solida spalliera di sud-est della seconda arcata, caduta nelle acque negli anni andati. Il grosso nucleo della spalliera in tufo, calce e cotto, venne ricoperto dalla seconda rampa, che conduce al lido, tra il '49 e il '51, durante i lavori di bonifica, ed oggi il pilastro di levante risulta completamente ricoperto di terriccio indurito.


Qualche anno dopo andò quasi completamente distrutto anche lo scheletro dell'ultima arcata per mano della ditta che gettò la passerella in cemento là dov'era, affiancato al domizianeo, un ponticello in tufo friabile locale, reso pericolante dagli ultimi eventi bellici. Finiva, così, per scomparire del tutto anche la pila centrale, un tempo al taglio della corrente, saldamente infissa nel fiume a sostenere le due arcate del ponte.

La costruzione, così come si presentava, dovette essere sicuramente dell'ultimo rifacimento per mano dei "curatores" di Teodorico, che rispettò e restaurò, circondandosi dell'elemento colto romano, le costruzioni più importanti del periodo imperiale.

 

Partendo dalle pendici del Monte Massico, la Domitiana attraversava tutta la pianura alluvionale formata dai tre fiumi, costeggiando il litorale e la lunghissima pineta costiera, la Sylva Gallinaria, per poi pervenire ai rilievi dei Campi Flegrei, lambendo le coste di Cuma, ma anche transitando sotto il fornice dell’Arco Felice. 


Immagine da: F. Longobardo, Problemi di viabilità in Campania: la via Domitiana in Viabilità e insediamenti nell'Italia antica, L'Erma di Bretschneider, 2004 


Dalla illustrazione che precede appara chiaro come la strada Domitiana fosse, agli inizi del 1600, ancora percorribile nel suo originario tracciato da Sinuessa fino a Cuma, percorribilità attestata anche negli anni della prima metà del Quattrocento, come risulta da una lettera che l'ambasciatore fiorentino Giovanni Lanfredini invia ad Antonio di Jacopo Benci detto il Pollaiolo (1431-1496-98).

Così vedemo molte ruine e spoglie, che dimostrano stupendissima grandezza; ma non mi pare piccola cosa la strada Romana che dura fino a Pezuolo e in molti luoghi per lo chammino si vede intera…


Le maggiori testimonianze archeologiche di questa via sono, oggi, assai visibili nei pressi di Cuma.

sabato 25 maggio 2024

Luigi Vanvitelli a Mondragone



 

A distanza di circa 270 anni, Luigi Vanvitelli è di nuovo a Mondragone e questa volta non nelle rinomate cave di marmo che lo videro protagonista insieme ai più abili cavatori dell'epoca, bensì nel Palazzo Ducale  che nelle linee essenziali ricorda la sua architettura. 

Luigi Vanvitelli ritorna a Mondragone con una Mostra itinerante in occasione del 250° anniversario della sua morte organizzata dalla Pro Loco di Mondragone, dalla Pro Loco Rocca del Drago e dal Comitato Provinciale UNPLI APS di Caserta che permetterà ai visitatori di approfondire ed ammirare l'architettura e l'arte di un grande maestro del Rococo, attraverso un percorso espositivo che ne racconta la vita e le opere: dalla Reggia di Caserta alla Casina del Fusaro, dall'Acquedotto carolino alla Chiesa di san Francesco da Paola in Napoli, tanto per citarne solo alcune.

La Mostra rappresenta anche l'occasione per ricordare che Luigi Vanvitelli fin dal 1754, impegnato nella costruzione della Reggia di Caserta, era solito visitare insieme con l’abate Vaccarini, altro grande architetto palermitano, le cave di S. Mauro e di San Sebastiano in Mondragone, dove lavorò uno dei più bravi cavatori dell'epoca, Burrino Benedetto Belli, originario di Urbino, che aveva vinto l’appalto dello “scavo e taglio” delle pietre  il 26 luglio 1761 «da terminare quando piacerà al suddetto regio architetto». Successivamente nel 1767 lo stesso Benedetto Belli ebbe l’appalto per sbozzare le colonne della Cappella Palatina della Reggia che furono estratte in marmo giallo dalle cave di Mondragone.

In una lettera manoscritta del 14 agosto 1767, diretta a S. E. Neroni Intendente Generale dei Reali Stati di Caserta, l'architetto Luigi Vanvitelli così si esprime circa la valenza tecnica del Belli: 
Rispetto alla cava di Mondragone un certo Corsi di Carrara, che travagliò per il Can.co Avellino, l’anno passato voleva esibire a prezzo minor dei Burrini la cavatura; ma avendoli io detto che li pezzi grossi che cavò al Canonico Avellino erano belli in apparenza, inutili però in sostanza, perché tutti fessi e pelati, a cagione che aveva adoperato le mine con la polvere; ed all’opposto li Burrini adoperavano il sugo della braccia, e perciò riescano i pezzi saldi e sinceri, secondo mi occorre singolarmente per le colonne della Cappella se ne partì a capo chino, benché spinto dal fiscale. 
Manoscritti di Luigi Vanvitelli nell'Archivio della Reggia di Caserta 1752-1773, a cura di Antonio Gianfrotta, 2000. 










 


 

 Così scriveva, quasi un secolo fa, esattamente nel 1927, Biagio Greco nella sua Storia di Mondragone:

Sono state rinomatissime le cave di marmi, che costituirono e sono tuttora il decoro e lo splendore della Reggia di Caserta e di Napoli e della chiesa di San Francesco da Paola coll’imponente porticato.Ora, per accidia dei dirigenti, le cave di San Mauro e di San Sebastiano sono quasi del tutto abbandonate. E' deplorevole che un cespite cosi cospicuo, resti improduttivo.
e poi, di seguito, descriveva le caratteristiche dei marmi estratti dalle colline di Mondragone che nel corso dei secoli avevano vissuto momenti di grande splendore. 

venerdì 3 maggio 2024

Sessa Aurunca. Ponte Ronaco






Sessa Aurunca. Ponte Ronaco


Ponte degli Aurunci, o ponte Ronaco, collega la città di Sessa Aurunca, fondata nel secolo VIII a.C., e la Via Appia costruita dai Romani, edificato intorno al II secolo d.C., è composto da 21 arcate a pieno centro, in laterizio e reticolato, con pilastri in opera incerta intersecata da mattoni, e ancora oggi conserva la pavimentazione in basoli di epoca traianea. 

In quei tempi, l’orografia della zona richiese una notevole soluzione ingegneristica, capace di superare l’ampio vallone percorso dal Rio Travata. Durante il corso degli anni sono stati molteplici i ritrovamenti tombali risalenti anche all’epoca pre-romana, andati distrutti o inglobati in moderne strutture.




Sessa Aurunca. Ponte Ronaco



Così ne parlava, nel 1939, Giuseppe marchese di Pietracatella Ceva Grimaldi nella sua opera Considerazioni sulle pubbliche opere della Sicilia di quà dal faro dai Normanni fino ai nostri tempi


Proseguendo il viaggio si arriva al Garigliano, sulla quale passava la via Appia sopra nobil ponte. Il nostro Liri, che secondo Giustiniani doveva passare per sotto Sessa Aurunca, dove ancora oggi fluisce dell’acqua, ha un magnifico ponte, intatto, chiamato Ponte-ronaco.

Esso ha ventuno arco, e non già 24, come dice il Pratilli. La lunghezza dal primo arco sino all’ultimo è di 650 palmi, oltre di 110 altri palmi di tenuta, o sia catasto ne’ suoi estremi. La larghezza poi è di soli palmi 21. La fabbrica è tutta vestita di mattoni, ognuno di palmi due e quarto di lunghezza. I pilastri sono di fabbrica reticolata, val quanto dire non gran tempo introdotti prima di Augusto, ed i loro pedamenti veggonsi già di fabbrica a getto eseguita nelle casse, per cui non può non dubitarsi di essere stata l’opera eseguita in tempo che vi passava il fiume.  

 



Sessa Aurunca. Ponte Ronaco





Sessa Aurunca. Ponte Ronaco

E più recentemente, 

Francesco Pistilli, Recensione a "La struttura antica del territorio di Sessa Aurunca. Il ponte Ronaco e le vie per Suessa", in Archivio Storico di Terra di Lavoro, vol XII - anno 1990-1991, Caserta 1992


Esempio notevole nell’articolata tipologia delle opere pontiere romane, il ponte-viadotto sessano, presumibilmente costruito alla fine del I secolo d.C. o nei primi anni del II secolo, presenta una imponente successione di ben 21 arcate per una lunghezza di circa 176 metri e 6 di larghezza, che non trova riscontro in altre opere coeve ancora in situ né in Campania, né in Italia. La continuità d’uso attraverso i secoli ha determinato molto probabilmente la sua conservazione, agevolata dalla solida struttura muraria e dall’assunzione di funzioni nuove , con i conseguenti adeguamenti alle mutate condizioni dell’area non più idonea ai grandi traffici viari dopo la crisi dell’impero romano e le trasformazioni naturali del sito.




Sessa Aurunca. Ponte Ronaco


Nel corso dei secoli molte arcate sono state tamponate per formare abitazioni, stalle e fienili, ma ciò nonostante, il ponte si presenta, malgrado il tempo e l’incuria dell’uomo, in discrete condizioni di conservazione.


A partire dai primi anni del 2000, sono stati avviati importanti lavori di restauro del ponte da parte della Soprintendenza Archeologica, lavori che purtroppo hanno incontrato parecchi ostacoli e vicissitudini. 




Sessa Aurunca. Ponte Ronaco

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mercoledì 1 maggio 2024

CAPUA: un Museo diffuso. Le steli funerarie


Capua: Museo diffuso. Stele funeraria


A poche città in Italia è capitato, come a Capua di conservare in altra sede il nome antico, di perpetuare con tutt'altra storia, sotto tutte altre stirpi la grandezza e la fama godute nell'età antica e di dimenticare, per certi versi, se non come fonte di approvvigionamento dei materiali da costruzione per la città nuova, il sito di quella precedente.

 


Capua: Museo diffuso. Stele funeraria dei Vettii



E se S. Maria Capua Vetere conserva nel suo sottosuolo la maggior parte delle vestigia del passato in brani a volte di difficile lettura, ma anche in quantità e qualità tali da potersi dotare di un Museo suo proprio dopo avere nel secolo scorso provveduto ad arricchire le maggiori raccolte europee ed americane. Capua è un Museo nelle strade, nei cortili, nei palazzi che riutilizzano edicole, epigrafi, statue e frammenti. Salvaguardare quei "pezzi di spoglio" è certamente proseguire nella volontà dei capuani che, costretti ad abbandonare il luogo delle loro origini, vollero portare con sé norme, costumi, leggi e, quando potettero, anche monumenti.

 Stefano de Caro, Musei e archeologia del territorio tra le due Capua 
in Capua Centro Storico vitale dall'Antichità all'Età moderna, 1995





Capua: Museo diffuso. Stele funeraria




Capua: Museo diffuso. Stele funeraria




Capua: Museo diffuso. Stele funeraria




Capua: Museo diffuso. Stele funeraria




Capua: Museo diffuso. Stele funeraria


...
non vi è strada, non vi è angolo che non si presenti fregiato di una testimonianza della sua passata grandezza.
Ad ogni volgere d'occhio vi si incontrano busti di divinità, sculture, fregi, quasi come se fosse Capua stessa un vero Museo.
Questo patrimonio di storia, di cultura, di arte, va oggi difeso dall'indifferenza verso il passato, perché nessuno dimentichi che ogni pietra, ogni affresco, ogni monumento reca impressi, indelebili, i valori dell'umanità.

Salvatore De Rosa, già Sindaco di Capua 



martedì 30 aprile 2024

Cenni storici e Studi su Maria SS. Incaldana. Solenne Giubileo dei 400 anni dalla sua definitiva traslazione a Mondragone

I pochi cenni storici sulla protettrice di Mondragone, Maria SS. Incaldana e sul luogo ove la stessa era custodita e venerata, ossia la chiesa annessa al convento dei padri Carmelitani che oggi conosciamo come chiesa del Belvedere, sono riportati nel Saggio storico della città di Carinola di Luca Menna, notaio in Carinola, a sua volta riportati dal vescovo di Sessa Aurunca mons. Giovanni Maria Diamare, nell'opera La Chiesa di Sessa.

Così ci raccontano:

Nella suddetta Chiesa Madre, ossia Vescovado, si venera la sacra e miracolosa effigie di Maria SS. Incaldana che era presso la torre de' bagni, ove sono le acque sinuessane; in una una chiesa del Monastero dei Padri Carmelitani, sul monte Petrino. Siccome nei primi tempi la terra di Mondragone dalle incursioni dei Turchi era continuamente molestata e soggetta a rapine, incendi, devastazioni, così una volta bersaglio di questo furore fu il suddetto Monastero con la Chiesa, per cui tutto fu saccheggiato, ed i voti, le tabelle e la Sacra immagine, che era un quadro di un legno sconosciuto, vennero alle fiamme consegnati.

Ma Dio si compiacque di consolare quella popolazione, che, penetrata dal dolore e dall'afflizione del lacrimevole avvenimento, libera che si vide da quei barbari, si portò all'adorato luogo per venerare quelle ceneri, tra le quali rinvenne il quadro della detta Vergine intatto, ma con un sol legno che tuttavia si osserva, cioè trovassi alquanto affumicato alla parte destra del suo volto e di quello del Bambino Gesù, e ciò per fare intendere alle generazioni future di essere stata tra le fiamme e miracolosamente preservata.

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Fu quindi restaurata quella chiesa dall'incendio sofferto e ricollocata ivi la detta immagine sacrosanta, verso della quale per l'operato miracolo maggiormente la devozione si infervorò. Fu venerata ivi per molti anni, ma poi, o per timore di altre invasioni di barbari o per causa della lontananza di detta chiesetta dal centro di Mondragone, nella Chiesa madre della città fu trasferita ed eletta di quella terra protettrice primaria.


La traslazione avvenne il 28 aprile dell'anno di grazia 1624, la Terra di Mondragone era dominio della famiglia Carafa. 





Ipotesi molto interessante è quella proposta da Domenico Caiazza in Mefitis regina Pia Iovia Ceria. Primi appunti su iconografia, natura, competenze, divinità omologhe e continuità cultuale della Domina Italica, studio riportato in Italica Ars. Studi in onore di Giovanni Colonna per il premio I Sanniti, 2005 (per coloro che volessero approfondire l’argomento, il volume è disponibile presso la Biblioteca Comunale di Mondragone, quale mio dono).


In questo studio Domenico Caiazza ricostruisce l'origine e la trasformazione del culto di Mefitis e la sua migrazione nella religiosità cristiana del culto di Maria Regina ed alla presenza di fonti di acqua.




Ecco cosa scrive a proposito di Maria SS. Incaldana, riporto testuale dalla pubblicazione:

Proprio con questo predicato è un’altra Regina delle acque mefitiche rintracciabile non lontano dal territorio di Sessa ed esattamente in quello limitrofo dell’antica Sinuessa, oggi Mondragone.

Qui è venerata una Madonna Incaldana = in gergo in caurana=nella caldana, ovvero delle acque che ribollono in un laghetto come in una caldaia. Anche una fonte sacra in Teano si chiamava la Cardarella = piccola caldana, e caldana era anche il nome di una fonte della stabilimento Ferrarelle di Riardo. A Mondragone il nome di Bagno della Regina è collegato al ricordo di una regina che venne a curare la sua sterilità con le acque. Sopra Fonte Lavino è il convento di S. Anna in Acquisvivis. Vi erano bagni termali rammentati da Strabone, ancora usati nell’alto medievo, come ricordato da fonti di epoca longobarda, dai quali deriva il nome Le Vagnole, mentre sulle carte IGM sono segnati i Bagni Sulfurei presso il passo di S. Maria Incaldana Vecchia, nella stretta tra montagna e mare e Acqua Sulfurea presso Maria SS. Incaldana.

L’effige della Vergine la mostra adorna della corona, in trono, con un seno scoperto al quale beve il Bambino.

A monte del Casino di Tranzi e dell’Incaldana Vecchia è monte Cicoli sul quale sono stati scoperti resti megalitici di un recinto circolare, interpretabile come una fortezza a guardia del passo e delle coste, ma sede perfetta anche per un tempio ben visibile dalla terra e dal mare. Che questo ipotizzabile tempio fosse dedicato a Marte è indiziato dall’omonimo della catena: Monte Massico o Marsico, ma il nome Caurana ricorda Iuno Gaura.

E va anche ricordato che le Acque Sinuessane sono rammentate da Tito Livio che dice che sin qui si spinse Annibale; evidentemente anche per saccheggiare i santuari. 

 

Ci pare perciò sostenibile che la Vergine Incaldana, continui il culto dell’antica Mefitis, visto che è una Madonna in trono, con corona, che allatta e sacralizza una fonte sulfurea. E’ dunque anch’essa una Madonna del Latte, o anche delle Grazie, tipo questo contraddistinto dall’offerta del seno al Bambino e ai fedeli e l’unica differenza iconografica con la Madonna dei Lattani, la mancanza dell’uccellino, potrebbe spiegarsi, in questo come in altri casi, con i rifacimenti dell’immagine, visto che le vicine Madonne delle Grazie di Minturno e Francolise hanno anche questo simbolo.

  

martedì 23 aprile 2024

L'iconografia di Maria SS. Incaldana: dalla tavola bruciata all'immagine bizantina



Basilica Minore Maria SS. Incaldana




Basilica Minore Maria SS. Incaldana




1624-2024
28 aprile

400 anni dalla traslazione
della sacra immagine di Maria SS. Incaldana
nella città di Mondragone.



L'icona di S. Maria Incaldana, nota anche come Madonna del Belvedere e Prodigiosa, è opera di ignoto del XII-XIV secolo, realizzata su di una tavola in legno di quercia delle dimensioni di 66 x 45,5 cm e 4 cm di spessore. Custodita presso il Convento del Belvedere, sito in località Caldana (zona nota nel mondo romano per la presenza delle Terme Sinuessane), fu trasferita per la prima volta nella cittadella di Mondragone verso la metà del XIV secolo, a causa dei lavori di restauro che interessavano il Belvedere dopo una incursione saracena. Ospitata nella chiesa dell'Annunziata (ora di san Francesco), la tavola sacra ritornò dopo un breve periodo, nuovamente al convento restaurato; ma per i continui timori, giustificati a causa delle frequenti incursioni saracene, la Madonna Incaldana, nei primi anni del Seicento fu trasferita definitivamente nella cittadella fortificata di Mondragone, ospitata nella Collegiata di san Giovanni Battista, dove è custodita tuttora. 

La tavola della Vergine con il Bambino in grembo è contenuta in una pala in argento massiccio di origine settecentesca, più volte rifatta perché oggetto di furto, ultimo in ordine di tempo, avvenuto negli anni '80. La pala a sua volta, è contenuta in una nicchia ricavata all'interno di un altare del Settecento, in marmi policromi.




Basilica Minore Maria SS. Incaldana




L'immagine della Madonna che si ammira oggi, è il frutto di un restauro avvenuto nel 1953, quando la tavola lignea era oramai gravemente rovinata anche a seguito di un precedente pessimo restauro.
Il restauro attuato in base ai principi di conservazione delle parti non degradate o comunque poco danneggiate, con il rifacimento di quelle mancanti, ha restituito una Madonna con il Cristo, che nei caratteri generali potrebbe intrattenere dei legami con l'arte bizantina.


Corrado Valente,  Notizie storiche sull'icona di S. Maria Incaldana in Monumentalia - Frammenti di memoria, Mondragone 1995 





La tavola prima del restauro






Maria SS. Incaldana


Prima del 1953, anno in cui la tavola fu restaurata portando alla luce l'immagine che oggi possiamo ammirare, l'icona della Protettrice veniva desunta e riportata nelle immagini facendo riferimento a modelli similari conosciuti.
Il restauro portò alla luce un dipinto di chiara ispirazione bizantina e pertanto ascrivibile al periodo dell'Arte bizantina nell'Italia meridionale (XIII secolo ?).
Le caratteristiche più evidenti dei canoni dell'arte bizantina sono la religiosità, l'anti-plasticità e l'anti-naturalismo, intese come appiattimento e stilizzazione delle figure, volte a rendere una maggiore monumentalità ed un'astrazione soprannaturale.




Maria SS. Incaldana 
(immagine prima del restauro del 1953)




Maria SS. Incaldana 
(forse la prima immagine dopo il restauro del 1953)



Maria SS. Incaldana 
(foto gentilmente concessa da Angelo Razzano)




Maria SS. Incaldana 
immagine dopo il restauro




Maria SS. Incaldana
di M. 
Severino 
in una rara litografia di Fr. Rinaldini e F.  (collezione privata)

La Litografia Rinaldini è attiva a Napoli, san Biagio dei Libri 
già dalla seconda meta del XIX secolo nel campo della riproduzione delle opere religiose 





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Nell'anno 2006, Poste Italiane spa, ha dedicato alla sacra icona un francobollo commemorativo nell'ambito della serie tematica "Il patrimonio artistico e culturale italiano", con annullo speciale "Mondragone 1.4.2006 giorno di emissione".





Così il Ministero delle Comunicazioni descrive il contesto che ha originato il 45 centesimi dedicato a Maria Santissima Incaldana.
Immagine di origini bizantine miracolosamente scampata all'incendio della cappella che la custodiva; la sua storia si confonde con le radici della città di Mondragone, ove non è solo simbolo religioso oggetto di profonda devozione popolare, ma è soprattutto l'emblema di una identità comune che unisce i cittadini nei secoli e tra i continenti.


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Formella maiolicata Maria SS. Incaldana
 (collezione privata)



Immagine di Maria SS. Incaldana
Forse l'immagine più popolare nelle abitazioni dei mondragonesi