La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

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domenica 30 novembre 2014

Il vino FALERNO: la leggenda delle sue origini



Vigneto alle pendici del monte Massico


Il nostro territorio, l’Ager Falernus, è stata la culla della prima "DOC" al mondo, vi si produceva, infatti, il vino più famoso dell'antichità: il Falerno, in un piccolissimo territorio, lungo l’asse della via Appia, nella zona tra le odierne Mondragone, Falciano del Massico e Carinola, ai piedi del monte Massico.

 
L'Ager Falernus 
 da: Prospettive di memoria.
Testimonianze archeologiche dalla città e dal territorio di Sinuessa


Su questo vino sono state scritte centinaia e centinaia di pagine, di versi e di leggende. Gran parte degli scrittori latini hanno tessuto l’elogio del Falerno (Cicerone, Macrobio, Varrone, Diodoro Siculo, Virgilio, Orazio, Dionigi d’Alicarnasso, Tito Livio, Vitruvio, Tibullo, Ovidio, Plinio il Vecchio, Marziale, Silio Italico, Stazio, Catullo), tutti ne hanno celebrato le lodi. 


D’altra parte della qualità e della fama raggiunta dal Falerno ne è prova anche il costo elevatissimo: al riguardo, molto importante è una scritta ritrovata a Pompei, incisa sul muro di una taberna, ove «Edoné fa sapere: qui si beve per 1 asse; se ne paghi 2, berrai un vino migliore; con 4, avrai vino Falerno» (CIL IV 1679).


Invitto Castrense, 
abbi propizi 
i tuoi tre dei 
cosí come li abbia tu che ora leggi.
Viva Edonè! 

Salute a chi legge.
Edonè vi dice:
Qui si beve per un asse, 

ma se me ne dai due berrai vini migliori; 
se poi me ne dai quattro 
ti faró bere del Falerno.
Viva Castrense!


Iscrizione dagli scavi di Pompei - Taberna di Edoné
www.pompei.numismaticadellostato.it/tappa03.html


Falerno, un vino il cui nome deriva da quello di un vecchio contadino proprietario di un podere nella regione del Massico, che un giorno ricevette la visita del dio Bacco, secondo una leggenda tramandataci da Silio Italico, scrittore latino del I secolo d.C., autore di Punica, il più lungo poema della letteratura latina che ci sia pervenuto, dedicato al racconto della II guerra punica tra Roma e Cartagine.
Prima di passare alla leggenda occorre ricordare i fatti storici: siamo all’incirca nel 212-211 a.C., le truppe cartaginesi si sono stanziate a Capua in attesa di rinforzi da Cartagine, oppure che altre città italiche seguano l’esempio di Capua, schierandosi contro Roma.
In questa fase della guerra Annibale, frustrato dall’accorta condotta di Fabio Massimo (il Temporeggiatore) comandante delle legioni romane, sta mettendo a ferro e fuoco l’ager Falernus; tra le file romane comincia ad emergere un effetto indesiderato della strategia di Fabio Massimo, il malcontento dovuto al senso di frustrazione; Fabio Massimo è quasi chiamato a giustificare la sua strategia e la sua tattica di attesa. Annibale sa come alimentare i sospetti contro l’avversario e risparmia dal saccheggio e dalla distruzione proprio un piccolo podere che Fabio Massimo possedeva nel Massico.

Vigneto alle pendici del monte Massico

Qui si innesta da parte di Silio Italico la leggenda del Falerno con il racconto della visita del dio Bacco al vecchio Falerno.
Durante l’età dell’oro, nel corso di un non meglio precisato viaggio ai lidi estremi d’occidente, Bacco sosta presso un vecchio contadino del Massico. Ignaro della natura divina dell’ospite, Falerno lo accoglie e gli mette a disposizione tutto quanto la sua dimora può offrire con l’energia e l’entusiasmo di un giovanotto: una mensa imbandita di frutti dell’orto, latte, favi di miele, pane, e al termine l’offerta rituale delle primizie. Lieto di ciò, Bacco fa dapprima in modo che tutti i recipienti della masseria (le tazze, ma anche i secchi usati per la mungitura) si riempiano del nuovo e profumato succo dei grappoli infine si rivela nella sua natura divina.
Il racconto si chiude con la divertente immagine del vecchietto felice e ossequioso, che barcolla in preda ai fumi dell’alcool prima di cadere in un sonno profondo: l’indomani la regione si sarebbe risvegliata tutta ricoperta di folti filari di viti.
 
Mondragone. Vigneto in località Tre colonne

venerdì 4 aprile 2014

Mondragone: il Monastero di Sant'Anna de aquis vivis


Mondragone. Monastero di Sant'Anna de aquis vivis.

Sito sul versante mondragonese del monte Crestagallo (a circa 280 m s.l.m.), il Monastero di Sant'Anna de aquis vivis domina la fascia pedemontana da quel lato, da un ampio terrazzamento. Il toponimo si deve alla presenza di una sorgente nei suoi immediati pressi.

Abbandonata all'incuria per un'ingiustificabile quantità di anni, la struttura è un interessante complesso monastico medioevale che ha avuto discreta importanza nel corso dei secoli, giovando di una serie di interventi da parte di fedeli e governanti. Il monastero ha forma quadrangolare ed è scandito da vari corpi di fabbrica, in origine con funzioni diverse. Sebbene gran parte delle strutture siano crollate e ci si trovi dinanzi ad un rudere imponente, risulta ancora agevole analizzarlo. Realizzato nella prima metà del XIV secolo, il manufatto divenne così importante da indurre Papa Urbano V, tra il 1362 e il 1370, a concedere indulgenza plenaria a quanti prestassero manodopera per la sua realizzazione e ad occuparsi di regolarne i rapporti col monastero sublacense.
In questo periodo giunsero, chiamati dall'abate Bartolomeo da Siena, monaci dalla Germania in sostituzione di alcuni confratelli allontanati perché indegni. La loro presenza potrebbe aver influenzato la composizione architettonica della chiesa annessa al monastero. 
Nel corso del XV secolo sia Giovanna II, sia Alfonso il Magnanimo, estesero le donazioni alla struttura religiosa come i loro predecessori. 
Nei secoli successivi, la fortuna del monastero cominciò a mutare; fu ceduto dal cardinale Giovanni de Torquemada, commendatario del convento sublacense, alla comunità benedettina di Montecassino nel 1467 e infine abbandonato nel 1589, come informa la relazione del Vescovo di Carinola, mons. Vitelli, per la presenza di ladri. 
Iniziò così una lenta ma inesorabile fase di decadenza, che vide i possedimenti del monastero venduti o ceduti a privati. 
Nel XVII secolo, probabilmente in occasione della stesura di un inventario di beni, fu redatto un rilievo della chiesa, all'attualità conservato presso l'Archivio di Montecassino, utile traccia per lo studio della struttura. 


Mondragone. Monastero di S. Anna de aquis vivis.
Pianta della chiesa rilevata nel XVII secolo
(Archivio di Montecassino) 

Nel 1848 collina e cenobio risultavano proprietà di tale Alfonso Gambati, che possedeva anche un casino di caccia circondato da vigneti. Nel XX secolo, infine, la struttura, ancora di proprietà privata, continuava a subire un costante degrado, soprattutto a causa dell'incuria dei proprietari e dell'indifferenza degli organi preposti alla sua tutela. 
Oggi il complesso è di proprietà ecclesiastica, grazie alla donazione da parte degli ultimi proprietari.


Mondragone. Monastero di S. Anna de aquis vivis.
La colombaia sotto la quale sgorga la fonte da cui ha origine il toponimo "de aquis vivis".
La struttura è interamente realizzata in pietrame calcareo, eccezion fatta per la colombaia posta nei suoi immediati pressi che, pur avendo basamento in pietrame, è realizzata in mattoni. I paramenti murari sono allestiti per lo più in ricorsi orizzontali periodici (cosiddetti "cantieri") con pezzame rustico in genere disposto su tre allineamenti, pareggiati con l'utilizzo di materiale minuto.

Mondragone. Monastero di S. Anna de aquis vivis.
In cima ad una montagna molto amena presso la rocca di Mondragone nel luogo detto S. Anna de aquis vivis (S. Anna dalle acque vive) per le perenni acque che vi scorrono, per la concessione della regina Sancia (figlia del re di Maiorca e seconda moglie di Roberto d’Angiò, re di Napoli)  un eremita di Sarzana (Liguria) di nome (Benedetto) aveva costruito una chiesa dedicata a S. Anna e alcune celle per i compagni, come risulta più diffusamente dalla seguente donazione della medesima regina fatta nel 1325, che ratificò Agnese (moglie di Giovanni, figlio di Carlo II, re di Napoli) Duchessa di Durazzo e Contessa di Gravina nell’anno 1343, il cui autografo si trova nel nostro archivio:

Agnese Duchessa di Durazzo e Contessa di Gravina, a tutti quelli che hanno il compito, sia al presente sia nel futuro, di attendere a questi atti". "In onore e venerazione della Madre di Dio e della beatissima S. Anna pur essa madre della stessa Vergine gloriosa, non solo per favorire le opere di carità delle persone che attendono al culto e alla venerazione di questa Santa in quanto appartenenti ad ordini religiosi, ma ad ogni altra persona e molto volentieri... ".

Poiché da parte del Priore dei Monaci del monastero di S. Anna de Aquaviva sito nel nostro territorio di Rocca Monte Dragone Eremo soggetto al monastero dell'ordine di S. Benedetto è stato presentato nella nostra curia un privilegio originale della serenissima principessa donna Sancia per grazia di Dio regina di Gerusalemme e di Sicilia, ora lo facciamo pubblicare, dal seguente contenuto:

Sancia per grazia di Dio regina di Gerusalemme e di Sicilia:
notifichiamo a tutti quelli che hanno il compito di controllare gli atti presenti, che essendosi da tempo l’eremita Benvenuto di Sarzana rivolto alla nostra altezza, dopo aver rinunciato ai piaceri del mondo ritirandosi in un luogo deserto e incolto in cima al Monte della nostra Terra di Rocca del monte di Dragone nostro Feudo nel demanio di detta terra, a lode di Dio ha costruito una piccola chiesa in onroe di S. Anna e ultimamente alcune altre celle intorno alla piccola chiesa, con il permesso della nostra autorità. Pertanto vivendo molto lontano dagli uomini ed essendo dedito assiduamente alla contemplazione non può provvedere a sé e ai suoi compagni neppure con l’elemosina.
Per tale ragione si è rivolto umilmente alla nostra serenità con spirito di devozione, chiedendo per il suo sostentamento e per quello dei compagni con lui dimoranti un po’ di terra dl predetto luogo, come si è detto sterile ed incolto al fine di coltivarlo sia per la piccola chiesa sia per il suddetto Eremita. D’altra parte noi abbiamo preso informazioni intorno a tale problema per mezzo di Roberto de Matricio di Sessa nostro vicario per i possedimenti di Terra di lavoro e nel Principato e ricevuta per iscritto la debita relazione comprovante la verità dei fatti e delle richieste dell’Eremita, assegniamo dodici moggia di detta terra sterile, come si dice, e incolta per uso della piccola chiesa, dell’Eremita e dei suoi compagni che sono ivi o vi saranno, fino a quando durerà il nostro beneplacito, riservati e salvi sempre i diritti della regia Curia e di ogni altro.
Napoli, primo di ottobre 1325
La regina Agnese, Napoli 27 luglio 1343, conferma la donazione di dodici moggia di terreno, anche se questo è ormai coltivato ed è stato costruito il nuovo Monastero.


Mondragone. Monastero di S. Anna de aquis vivis.
Mondragone. Monastero di S. Anna de aquis vivis.



BIBLIOGRAFIA:
Brodella don Amato, Il Monastero di S. Anna, Corrado Zano editore, 
Alfredo Di Landa, Fanti e Santi in Terra Rocce Montis Dragonis, Caramanica Editore;
Francesco Miraglia, Note sulle caratterizzazioni costruttive tardomedioevali del Monastero di Sant'Anna de aquis vivis in Mondragone.

Foto:
Salvatore Bertolino






domenica 26 gennaio 2014

La Reggia di Carditello


Il Real Sito di Carditello, detto anche Reale tenuta di Carditello o Reggia di Carditello, in provincia di Caserta, venne creato nel 1744 da Carlo di Borbone, che vi aveva impiantato un allevamento di cavalli.
Faceva parte di un gruppo di 22 siti (tra i quali la Reggia di Caserta, la Reggia di Portici, la Reggia di Capodimonte e il Palazzo Reale di Napoli) della dinastia reale dei Borbone di Napoli, luoghi dedicati allo svago e alla caccia della famiglia reale - e chiamati per questo "Reale Delizia" -  talora sede anche di attività agricole, spesso impiantate con mezzi moderni, miranti a sperimentare delle fattorie-modello.
Ricevette nuovo sviluppo con Ferdinando IV, che vi introdusse - nel quadro dei suoi progetti sociali ed economici di stampo illuminista anteriori alla rivoluzione napoletana - l'allevamento dei bovini e la fabbricazione dei formaggi, incaricando l'architetto Francesco Collecini (1787), collaboratore di Luigi Vanvitelli, della costruzione di un grande complesso, comprendente una residenza reale e ambienti destinati ad azienda agricola.

Reggia di Carditello: la palazzina adibita a residenza reale




Lo spazio retrostante alla palazzina venne diviso in cinque cortili destinati alle attività agricole, mentre l'area antistante - riservata alle corse dei cavalli - fu risolta alla maniera di un antico circo romano: una pista in terra battuta, con i lati brevi semicircolari, che circonda un prato centrale; alle estremità due fontane con obelischi in marmo, al centro del prato un tempietto circolare, da cui il re assisteva agli spettacoli ippici.




Reggia di Carditello: il tempietto circolare




Reggia di Carditello: uno dei due obelischi


Nell'Archivio di Stato di Napoli nel fondo Dipendenze della Sommaria (fasc. nn. 69, 69II, 74, 74II) sono conservate ricevute di pagamento firmate e controfirmate dall'architetto Collecini "capitano ingegnere delle Reali fabbriche di Carditello" sino al 19 genn. 1804 (per la storia di Carditello v. anche: G. Starrabba - G.B. Rosso - S. Gavotti, Il "real sito" di Carditello, Caserta 1979).
La soluzione adottata per la reggia fu quella di un organismo a doppio T, rigorosamente simmetrico: al centro il casino reale - di nobili linee neoclassiche, coronato da una balaustra e da un belvedere - da cui partono i lunghi corpi bassi delle ali riservate all'azienda.

Reggia di Carditello: corpo di fabbrica adibito a fattoria


All’interno della palazzina si dipartono a destra e a sinistra due scale che portano al piano nobile, con decorazioni (affreschi e stucchi) che si richiamano all'arte venatoria di cui i Borbone erano appassionati. Dallo stesso piano nobile il re, la famiglia e i dignitari potevano, affacciati alle balaustre, seguire le funzioni celebrate nella Cappella sottostante, posta nella parte centrale, con cupola e pareti delicatamente affrescati. 
Fedele Fischetti, pittore napoletano, uno dei decoratori del palazzo reale di Caserta, nel 1791 eseguì alcuni affreschi nella volta del salone principale del Real Sito di Carditello, lavorandovi fin quasi alla morte, avvenuta a Napoli il 25 gennaio 1792. I soffitti sono di Giuseppe Cammarano, pittore siciliano, di Sciacca, considerato il principale esponente, insieme con C. Angelini, della pittura neoclassica napoletana, mentre il paesaggista prussiano Jakob Philipp Hackert, detto Hackert d'Italia, chiamato a Napoli  da re Ferdinando IV, decorò le pareti con scene campestri che rappresentavano la famiglia reale.
La maggior parte dei marmi e degli arredi che abbellivano la palazzina è stata sottratta negli anni e utilizzata in altri siti, solo una piccola parte si trova in musei o altre residenze reali.
Gli edifici circostanti, a suo tempo adibiti a magazzini e stalle, e tuttora contenenti antiche attrezzature agricole, a documentazione delle attività che vi si svolgevano, sono quasi tutti in stato di grave degrado. La reggia si trova in stato di abbandono, come pure  la parte residua della tenuta dopo che i 2000 ettari originari, che la circondavano, sono stati in massima parte venduti.

Il testo è tratto da: 
http://www.treccani.it/enciclopedia/real-sito-di-carditello/



La foresta di Carditello
Dettaglio della grande carta del cartografo olandese Blaeu 
(parte geografica riguardante il Basso e Medio Volturno, dal litorale fino al Lago Patria) 
dove è riportato il toponimo Cavallarizza e non Carditello

Willem Janszon Blaeu: Terra di Lavoro olim Campania Felix da Theatrum Orbis Terrarum, sive Atlas Novus in quo Tabulæ et Descriptiones Omnium Regionum Amsterdam, 1645 -1665
tratta da:
IL BACINO IDROGRAFICO DEL FIUME VOLTURNO E IL TERRITORIO DEI REGI LAGNI IN TERRA DI LAVORO

Chiesetta del '700 
"Tutto quillo territorio era giardino de’ Capuani et se chiamava mansio rosarum che al presente se chiama lo mazzone delle rose".
Era la seconda metà del ‘500 quando, l’ingegner Pietro Antonio Lettieri, così descriveva l’area di Carditello.
Incaricato da Don Pedro Álvarez de Toledo y Zuñiga, viceré di Napoli, per conto di Carlo V D’Asburgo, di localizzare i punti migliori del regno dove far sorgere i mulini individuava, nella magione delle rose, prodiga delle acque di Serino, il punto ideale per le macine ad acqua.
In uno degli angoli pensati dal Lettieri, in età successiva e per volere di Carlo III di Borbone, venne edificata una delicata chiesa di campagna.



Della piccola chiesetta settecentesca, di cui nessuno ha mai parlato, non si hanno molte informazioni circa la sua dedicazione pastorale o altro.

Ciò che di certo si conosce, è ciò che appare alla vista.

Nel panorama agreste originale, inviolato fino al ventennio fascista, quella chiesetta, incardinata in un percorso che si snodava all’interno dell’immensa foresta che circondava il Real Sito di Carditello, era punto di riferimento e luogo di preghiera per i numerosi lavoratori e contadini che prestavano opera nelle annesse terre della fattoria reale. 

Il testo è tratto da:
http://interno18.it/attualita/26066/una-chiesa-zona-militare-carditello-stupisce-ancora

Le foto sono di:
Salvatore Bertolino