La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

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lunedì 17 agosto 2015

Gran torneo dei Quartieri: Sessa Aurunca rivive la Storia con la rievocazione della visita di Carlo V alla Città del 1536

Sessa Aurunca rivive i fasti del Rinascimento con l'ingresso in Città
dell'imperatore Carlo V e della sua corte 

Dedicato alla rievocazione storica della visita che l'imperatore Carlo V fece alla città di Sessa Aurunca nel 1536 di ritorno dalla spedizione contro gli arabi di Tunisi, il Corteo Storico della XVII edizione del Gran Torneo dei Quartieri che avrà luogo sabato 22 agosto 2015.  
Il Corteo rappresenta il momento più suggestivo, di maggiore richiamo e di più grande impatto spettacolare e si svolge per le vie del Centro Storico, vero e proprio spaccato medievale, rievocando momenti storici ricordati dagli antichi cronisti locali. Un coreografico spettacolo in costumi d’epoca al quale prendono parte centinaia fra figuranti, musici, sbandieratori e balestrieri che si snoda lungo le storiche vie del Centro, attraverso la suggestiva rampa del Castello Ducale, approda nel magnifico arengo di Piazza de lo Mercato dove, in un tripudio di bandiere, di suoni e di colori si esibiscono i gruppi storici e si svolge la spettacolare “Gara della Balestra”. 
I Balestrieri dei più noti gruppi d’Italia abbinati ai Quartieri per l’assegnazione della vittoria finale del GRAN TORNEO, danno vita ad una spettacolare gara di abilità e precisione che tiene col fiato sospeso tutti gli spettatori. 

Molti e storicamente importanti, non solo per la vita della Città, i personaggi rievocati fino ad oggi nel momento in cui entrarono in Sessa e la visitarono ufficialmente: i Duchi Marino ed Eleonora Marzano; Gonzalo Fernández de Córdoba, 1° Viceré del Regno di Napoli e dal 1507 Duca di Sessa; gli Imperatori Carlo VIII e Carlo V; Luigi ed Elvira de Córdoba. 


Sessa Aurunca rivive i fasti del Rinascimento con l'ingresso in Città 
dell'imperatore Carlo V e della sua corte 




Sessa Aurunca, il Castello


Il “Gran Torneo dei Quartieri” è stato ideato e organizzato per la prima volta nel settembre del 1971 dall’Associazione Turistica “Pro Loco” Sessa Aurunca, nell’intento di assegnare alla Città una manifestazione spettacolare, rievocando alcuni degli episodi più significativi della ricca storia medievale e rinascimentale di Sessa. 
L’evento vuol essere un’attrazione per turisti e appassionati e consentire a tutta la Cittadinanza di prendere parte a gare e giochi tradizionali in simpatica e stimolante attività agonistica.


Sessa Aurunca, la cupola ed i campanili della chiesa dell'Annunziata

Sessa Aurunca rivive i fasti del Rinascimento con l'ingresso in Città 
dell'imperatore Carlo V e della sua corte 

Al Torneo partecipano le “squadre” dei nove storici Quartieri della Città guidate da “Sindaci, Magistrati e Capitani”, secondo le antiche magistrature cittadine.

CARMINE Comprende la zona a nord della Città. Risale al 1500 nei suoi più antichi casali, ma conserva ancora i resti della Basilichetta di S. Casto e di catacombe (ancora inesplorate) dell’era cristiana. Il quartiere comprende numerose costruzioni moderne sorte tra la seicentesca Chiesa del Carmine e del suo Monastero (per oltre un secolo adibito a Ospedale Civile) e la via di S. Caterina.

ARIELLA Gravita intorno alla maestosa Chiesa dell’Annunziata (iniziata nel XV sec. e completata poi nel 1700), alla Piazza Mercato e al Castello Ducale, risalente al IX sec. ma trasformato nel corso dei secoli e soprattutto nell’epoca dei Marzano (XIV-XV sec.). Sviluppatosi tra il XV e il XIX sec., è un quartiere di antica tradizione commerciale e artigianale.

SAN LEO Quartiere nato sotto le mura orientali della Città verso il XIV-XV sec., deve il nome al fatto che in esso trovasi l’antica chiesetta costruita sulla casa dove forse si rifugiò nel 1053 il Papa Leone IX dopo la battaglia di Civitate. Onorato dai sessani dell’epoca, S. Leone venne poi proclamato patrono della Città.

DUOMO Comprende il nucleo centrale della Sessa medievale che nel tracciato delle vie ricalca in parte lo schema viario della zona alta della Suessa romana. Ricco di belle case, portali e finestre medievali, tipico per la sua struttura urbanistica, nella quale domina la maestosa Cattedrale romanica del XII sec., con reperti romani, pregevoli sculture e splendidi mosaici.

VILLA Così denominato dalla “Villa” comunale, costruita nel XIX sec., comprende parte dell’abitato medievale sud-occidentale, aperto verso il mare in posizione panoramica. Vanta il complesso archeologico della Città: l’”Aerarium-Tabularium”, il “Criptoportico” e il “Teatro romano”. Dell’età medievale si conservano la Chiesa di S. Benedetto, una bella “casa-torre” trecentesca; il Convento e la Chiesa monumentale dei Francescani, la Chiesa di S. Anna, facente parte dell’omonimo convento trasformato in abitazioni nel XX sec.

SAN DOMENICO Completa, con il quartiere “Duomo”, la parte più tipica della Città. Sviluppatosi anch’esso nell’area centrale dell’antica Suessa – lungo le sue strade si allineano infatti alcuni ambienti di età romana perfettamente conservati – prende il nome dal complesso conventuale eretto nel XV sec. dai padri Domenicani. Vi si trovano l’ex Convento di S. Germano, la casa dei Cordova, con stupende finestre catalane; i resti dell’antichissima Porta dei Saraceni, delle mura e delle torri di cinta medievali.

CAPPUCCINI Comprende parte dell’abitato medievale sud-occidentale, aperto verso il mare in posizione panoramica. Vanta il complesso archeologico della Città: l’”Aerarium-Tabularium”, il “Criptoportico” e il “Teatro romano”. Dell’età medievale si conservano la Chiesa di S. Benedetto, una bella “casa-torre” trecentesca; il Convento e la Chiesa monumentale dei Francescani, la Chiesa di S. Anna, facente parte dell’omonimo convento trasformato in abitazioni nel XX sec.

BORGO NUOVO Quartiere di recente costruzione (1950) si trova nella parte sud della Città ed in esso si sono trasferiti buona parte degli abitanti del vecchio centro storico. Nella sua area sono stati rivenuti resti di costruzioni e strade di età romana, oltre a numerose “tombe” di una vasta necropoli risalente all’epoca imperiale di Roma. Sorto nella località detta “il Semicerchio”, ha consacrato il nuovo nome proprio in occasione della sua partecipazione al “Gran Torneo dei Quartieri”.

SANT’AGATA Ѐ il “Quartiere” nato sulla Statale Appia e prende il nome della località dove sorgeva la celebre “taverna di Sant’Agata”, dal ‘700 una delle più note “stazioni di posta”, sulla strada che da Roma portava a Napoli. In essa sostarono celebri personaggi e illustri viaggiatori stranieri, come il Goethe, che spesso visitarono Sessa e la citarono nelle loro opere. Dalla “Villa Struffi”, quartiere generale delle truppe piemontesi, Vittorio Emanuele II, la sera del 29 ottobre 1860, emanava il famoso proclama con il quale dichiarava annesse al Regno d’Italia le terre meridionali.

Sessa Aurunca, le insegne dei quartieri della Città

Sessa Aurunca rivive i fasti del Rinascimento con l'ingresso in Città 
dell'imperatore Carlo V e della sua corte 

Al termine di gare spettacolari e avvincenti, al Quartiere vincitore viene assegnato l’ambito “Palio” con le insegne della Città.




Sessa Aurunca rivive i fasti del Rinascimento con l'ingresso in Città 
dell'imperatore Carlo V e della sua corte 


sabato 17 gennaio 2015

Immortale Falerno! Nettare degli dei...


Manuela Piancastelli, valente giornalista de IL MATTINO, in un suo lavoro I Grandi Vini della Terra di Lavoro, parlando del Falerno dice:

Il vino più famoso dell’antichità in assoluto, fu il Falerno. E fu anche la prima doc del mondo perché, per la prima volta nella storia, il vino fu identificato nel territorio, ossia in quell’Agro Falerno sui cui confini si sono accapigliati per secoli gli studiosi, ma che doveva avere il cuore  nella zona tra Mondragone, Falciano e Carinola, ai piedi del monte Massico e che si estendeva lungo l’asse dell’Appia.
La storia ci racconta che i Greci, quando arrivarono in Italia fondando Cuma nel 730 a.C:, portarono come corredo anche alcune viti, le cosiddette aminee delle quali, nonostante la mole di studi, si sa in effetti ben poco. Plinio nella Naturalis Historia e Columella nel De re rustica, qualche secolo dopo, ne fecero una sorta di classificazione (maiuscola, minuscola, e gemella, cui fu aggiunta la germana e la lanata) che però ci aiuta poco nell'identificazione di quei vitigni con quelli attuali.


Mi sono imbattuto, facendo nelle mie ricerche, in un articolo a firma di Giovanni De Stasio, originario di Falciano del Massico, apprezzato giornalista de Il Mattino, Il Giornale di Caserta, Il Corriere del Mezzogiorno, autore di una pubblicazione proprio sul Falerno, di cui è un ottimo produttore, pubblicato su Caserta Economia & Lavoro, rivista on-line edita dalla Camera di Commercio di Caserta.

Il vino Falerno da nettare degli dei alla conquista di Parigi e del vitigno Primitivo

"Il vino è il canto della terra verso il cielo".
Così scriveva Luigi Veronelli considerato il più grande cantore moderno del vino che ha contribuito a fare la storia, la civiltà dei popoli. Il vino è il Falerno, considerato il "number one" dell'enologia antica e moderna. Il più antico, il più blasonato, il più celebre, il più caro vino della storia! 
La più inebriante bevanda dell'umanità. Una cosa è certa: il Falerno è la Storia. Come la Storia dell'antichità e della modernità. L'eternità! Certo nessun altro elemento resiste all'inesorabile usura del tempo, a dargli la paternità di infinità è il grande Marziale quando lo definisce "Immortale Falernum". Evidentemente presagiva che il Falerno conservasse la sua fama imperitura. Veramente un dono di Dio se si pensa che questa magica bevanda aveva svolto un ruolo, importante nella storia, nella cultura, nella tradizione, nell'economia dei popoli. Per non parlare dei suoi effetti miracolosi nel campo dell'amore, tanto da essere definito, dall'ex presidente dell'ordine regionale dei giornalisti Ermanno Corsi il "moderno Viagra". Ma non è che nell'antichità romana non avessero, sperimentato gli effetti afrodisiaci del Falerno. Lucano scriveva che il Falerno dava spinte vigorose e penetranti agli incontri di Cleopatra.
Ma è tutto il Parnaso latino ad elevare il suo inno di gloria al Falerno. Tutta la poesia e tutta la letteratura romana antica pullulavano di panegirici al Falerno, quasi considerandolo come un dio della salute e dell'amore. “Nettare degli dei ..... Massico umore di Bacco", il "vino degli imperatori" così veniva declamato nell'antichità latina. Basti ricordare che a quei tempi una cena, un pranzo per essere dichiarati "importanti e di lusso" dovevano essere innaffiati dal vino Falerno, che si fregiò della prima DOC al mondo.
Il grande Cesare festeggiò i suoi successi bellico-politici con il Falerno. E quando non si aveva la fortuna di possederlo, ci si scusava - come successe ad Orazio - che avendo invitato a cena si giustificava di non potergli offrire il mitico Falerno. Ma innaffiò le cene pantagrueliche di Trimalcione e Damisippo, dove avevano partecipato i potenti di allora.
Virgilio, nel secondo libro delle Georgiche scriveva che il Falerno non aveva rivali. Orazio definiva il Falerno un vino "severus", "fortis" e "ardens"; Marco Terenzio Varrone annetteva al Falerno una fortissima spinta propulsiva tale da chiamarlo "incendium virium"; Marziale lo inneggiava "Immortale Falernum"; non meno elogiativa l'espressione di Plinio che lo chiamava "auterumm"; Dionigi di Alicarnassa "soave e pulchri coloris"; Strabone "vinum optimum".
E quale l'apprezzamento del re del foro romano Cicerone? "firmissimum, generosum ac praecipuae bonitatis". E del poeta dell'amore Catullo? "Minister vetuli, puer, Falerni niger mihi calices amariores". 
Insomma tutta la produzione letteraria antica lo aveva consacrato il migliore vino del mondo, e logicamente il suo costo era altissimo. Una bottiglia di Falerno, sotto Diocleziano costava - così come riportano i classici latini - 60 dinari, ossia - osservava lo storico-archeologo Giuseppe Guadagno - "due Padreterni". Un'altra testimonianza sul prezzo del Falerno è di Falerno che scrive: “Il falerno costa molto”; Diodoro Siculo scriveva che un'anfora di quel vino si comprava con trentatre dinari. Con cento dinari si compravano due buoi o quattordici quintali di grano. Ad Ercolano - dice sempre Diodoro Siculo - con un bicchiere di Falerno si compravano le buone prestazioni di due etere. Insomma, il Falerno era così richiesto che la sua produzione non riusciva a soddisfare le tantissime richieste, tanto che esso veniva frequentemente falsificato. Regge gli anni di invecchiamento? Ecco una testimonianza dai classici: dal Satiricon di Petronio: "Intanto, vengono portate anfore di vetro, accuratamente sigillate col gesso; sull'etichetta di tela, che era attaccata al loro collo, si leggeva: Falerno del consolato di Opimio anni cento. Mentre guardavamo questa scritta, Trimalcione battè dolorosamente le mani dicendo: Ahimè! Il vino ha dunque più lunga vita di noi fragili creature umane? Ma noi ci vendicheremo succhiandolo tutto. Nel vino è la vita. Questo poi è quello di Opimio, garantito".
E la fama del Falerno è sfociata nella leggenda. La mitologia racconta che il dio Bacco, proprio sulle falde del monte Massico, comparve sotto mentite spoglie ad un vecchio agricoltore di nome Falerno, il quale, nonostante la sua umile condizione, lo accolse offrendogli tutto quanto aveva, latte, miele e frutta. Bacco, commosso, lo premiò trasformando quel latte in vino che Falerno bevve, addormentandosi subito dopo. Fu allora che Bacco trasformò tutto il declivio di Monte Massico in un florido vigneto.


Mondragone, località Tre colonne

Ma quale la culla di questo vino leggendario?
Macrobio scrive testualmente: "Il territorio Falerno, il Falernus Ager, si estende tra il Monte Massico ed il Volturno e precisamente nel territorio dell'antica Calenum". Ambrogio Calepino; l'umanista bergamasco del tardo 400, precisa che il vino Falerno è quello delle pendici del Massico, tra Falciano, Casanova, Ventaroli e Cascano".
Il disciplinare per la Doc al Falerno prescrive, però, che si produca nei 5 Comuni di Falciano del Massico, Carinola, Mondragone, Cellole e Sessa Aurunca. Ma ora una domanda sorge spontanea: il Falerno contemporaneo è ritornato - dopo la falcidia della fillossera del 900 - ad essere il "number one" dell'enologia mondiale?
Con questo secolo è ritornato ad essere l'immortale Falernum, l'incendium virium", il "nettare degli dei" dell'antichità? La risposta - anche se i tempi sono cambiati - è positiva. Specialmente se il Falerno lo si ricava dal vitigno Primitivo. Sia l'ex star Veronelli (l'ipse dixit dell'enologia moderna) che Luigi Moio, una vera e propria autorità mondiale dell'enologia e definito il "poeta del vino", hanno con forza definito il Falerno il vitigno Primitivo. 
Vitigno uva Primitivo
Anche se il disciplinare della DOC prescrive i vitigni Aglianico, Piedirosso e Barbera. Forse rispetto a prima oggi il Falerno non gode del marketing di allora. Prima osannato ed incensato da letteratura e da imperatori, oggi il mercato è selvaggio e non vince sempre il migliore prodotto. L'intossicazione della propaganda e l'egemonia dei "maghi del vino" la fanno da padroni. Ed è difficile che l'eccellenza vinca sulla mediocrità. Oggi tanti titoli si comprano. Però, malgrado tutto, il Falerno non vince, ma neanche perde la sfida dell'attuale "mercato globale" governato dalla "competition is competition".
I convegni, i seminari, le degustazioni sul Falerno sono all'ordine del giorno. Ed anche gli elogi per le ebbrezze che si sono provate nella degustazione dell'attuale Falerno, sono copiosi ed entusiastici.
La laurea di ottimo vino al Falerno è venuta dal grandissimo attore Laurence Olivier. Durante la lavorazione del film su Lady Hamilton a Palazzo Reale a Caserta, l'attore fu ospite del preside Troianiello che coltivava il Falerno sui colli di Casanova di Carinola, sempre alle falde del mitico Monte Massico. Quando ritornò a Londra, Laurence inviò al preside un biglietto che recitava testualmente: '"La ringrazio per il suo immenso gradito regalo di quell'eccellentissimo Falerno. Lo berrò col roast beef come lei suggerisce".
Un altro significativo riconoscimento arrivò tempo fa da una iniziativa della Camera del Commercio di Caserta dove veniva fuori che "il Falerno conquista Parigi". Un conclave tra i maggiori critici enogastronomici italiani e stranieri, promosse a piene mani il Falerno. Ma il protagonista della "tre giorni", svoltasi sul litorale domizio, fu Alain Passard. Il cuoco francese, insignito di tre stelle Michelin e titolare dell'Arpage di Parigi, è ritenuto tra i dieci migliori cuochi mondiali. Passard mise insieme cucina francese e l'antico Falerno. E Francois Maussr presidente del Grand europee du vin francese (una delle più importanti associazioni di assaggiatori di vino disse che il Falerno ha tutti i numeri per competere con i grandi rossi bordolesi di Francia".
E tanti e tanti altri simposi elogiativi per questa magica bevanda. Bevanda che manda in estasi il grande giornalista Roberto Gervaso che, in un epinicio al Falerno, scriveva sulla prima pagina de "Il Mattino" che il Falerno favoriva il talamo.

giovedì 8 gennaio 2015

Il Real Ponte Ferdinando sul Garigliano in un francobollo di Poste Italiane




Nel 1828-32 Luigi Giura Costruisce il ponte sospeso a catene di ferro sul Garigliano, un gioiello dell’ingegneria Napoletana, alla pari con la migliore tecnologia Europea. Con esso la strada di Roma supera il grande fiume del Mezzogiorno e unisce Roma a Napoli. Molte sono le ragioni che concorrono alla buon uscita dell’opera e tra esse la competenza degli ingegneri Napoletani organizzati nel Corpo dei Ponti e Strade, acquisita nella Scuola di Applicazione e nella consuetudine di lavoro collegiale. In tutta la piana, dai Ricorrenti di Suio al mare, specie nel punto in cui è attraversato dalla strada di Roma, il Garigliano ha un corso torrentizio con acque spesso travolgenti e minacciose, una grande sezione trasversale e un fondo compressibile, che rende difficili solide fondazioni alle pile ed alle spalle di un ponte stabile e duraturo. E’ opportuno evidenziare l’importanza del ponte e del suo recupero con un mirato intervento di archeologia industriale, del quale Luigi Giura e il fratello Rosario sono stati insigni protagonisti. Non a caso Luigi Giura sarà stretto collaboratore di Garibaldi, dopo il suo ingresso a Napoli. Non a caso l’epigrafe che lo ricorda nel recinto degli uomini illustri del cimitero monumentale di Napoli reca la firma di Matteo Renato Imbriani e quella apposta sulla facciata della casa avita in Maschito reca la firma di Giustino Fortunato.

Al Real Ponte Ferdinando, Poste Italiane spa su autorizzazione del Ministero dello Sviluppo Economico, lo scorso 25 ottobre ha dedicato un francobollo nell'ambito della serie tematica "il Patrimonio artistico e culturale italiano". Nella serie oltre a quello dedicato al ponte, altri tre dedicati a Villa Nobel di Sanremo, Capanne celtiche di Fiumalbo e Costa dei Trabocchi.






martedì 16 dicembre 2014

"Il ventre di Napoli" di Matilde Serao nella nuova edizione curata dall'Associazione Talenti di Donna


IL VENTRE DI NAPOLI

Il ventre di Napoli
di Matilde Serao
cura e introduzione di Antonia Arslan
pp. 151, € 15,00
Biblos Edizioni, 2014
ISBN: 978-88-6448-067-1



Il ventre di Napoli è un capolavoro
frammentario ma potente, nato come
inchiesta giornalistica sul campo dopo
la terribile epidemia di colera del 1884,
pubblicato dapprima a puntate
su un giornale romano e successivamente
in volume.
Ma ben più che un inchiesta,
è un’appassionata rivisitazione degli
splendori passati e delle miserie attuali
di una città amatissima, una città-madre,
di cui la scrittrice-figlia svela il lato oscuro,
il ventre malato appunto, con una scrittura
ampia e sontuosa (mai però morbosa, mai
barocca), venata di pietà e di indignazione.
Dalla pietà e dall'indignazione il lettore
è condotto con mano ferma, attraverso
la sollecitazione di tutti i sensi, alla scoperta
dei quartieri immondi e oscuri dove
il popolo di Napoli, che tanto amerebbe 
il sole e la luce, è costretto ad ammucchiarsi
per sopravvivere, ai limiti dell'estenuazione.

dal risvolto della prima di copertina


L’associazione Talenti di Donna impegnata nell’attività di valorizzazione dei talenti femminili in tutti gli ambiti, creando valori e rieditando opere di scrittrici dimenticate dalla storia e dalla storia delle letteratura, nell'ambito della collana "Scrittrici ritrovate", dopo Emilia Salvioni, Contessa Lara, Neera, Marchesa Colombi, Caterina Pertoto, Ada Negri, quest’anno ha curato la riedizione de Il ventre di Napoli della nostra conterranea Matilde Serao.

Spesso considerato, con tono benevolo e sprezzante, "un reportage", il capolavoro della Serao ha la forza della verità che si fa letteratura, del rifiuto per quella "retorichetta a base di golfo e colline fiorite che serve per quella parte di pubblico che non vuole essere seccata con racconti di miserie".
La sua denuncia resta, a un secolo di distanza, di straordinaria attualità: "Questo ventre di Napoli, se non lo conosce il governo, chi lo deve conoscere? A che sono buoni tutti questi impiegati alti e bassi, questo immenso ingranaggio burocratico che ci costa tanto?".Il ventre di Napoli discende in linea diretta dall'immersione di Hugo nel brulichio dei "Miserabili", dai labirinti indagati da Sue nei "Misteri di Parigi", dall'esasperato realismo del "Ventre di Parigi" di Zola, ma nello stesso tempo proviene dalla più bruciante delle realtà, dall'acquaforte goyesca di Napoli che nessuno prima della Serao aveva forse guardato con tanta intensità, di cui nessuno era riuscito a restituire la stracciona grandezza. 

Qui l'inchiesta giornalistica, effettuata all'indomani del colera del 1884, diventa un'esplorazione antropologica in "terrae incognitae" che getta sinistri fasci di luce sullo stato di miseria e di abbandono in cui ristagnano i quartieri della città destinati allo sventramento urbanistico.
da: www. talentididonna.it