La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

giovedì 22 novembre 2012

Tra Mondragone e Falciano del Massico: la Tomba del Paladino, un mausoleo di età romana



Seguendo il percorso dell’antica via Appia, oltrepassato il cimitero di Mondragone e poche centinaia di metri prima che la strada si intersechi con la strada San Paolo che da Mondragone conduce a Falciano del Massico, in località "Ciaurro", si trova un monumento sepolcrale conosciuto come Tomba del Paladino o anche più volgarmente come torre del ballarino.
Il mausoleo di età romana, attribuibile alla seconda metà del I secolo a.C., si presenta come un maestoso parallelepipedo alto oltre 8 metri con una larghezza di oltre 6, con l’ingresso opposto alla via Appia, rivolto quindi al monte Massico,  la camera sepolcrale a pianta quadrata di oltre 3 metri per lato ed il soffitto con copertura a botte. Sulla parete che guarda la via Appia, a notevole altezza è presente una nicchia rettangolare che, sicuramente, doveva contenere l’iscrizione relativa al sepolcro o delle statue funerarie.
Per la spiegazione del toponimo lo studioso Ugo Zannini si rifà alla fantasia popolare che, influenzata dalla leggenda del ciclo antiarabo carolingio, facendo perno sul contrasto tra i Saraceni e le figure eroiche mitiche,  ha attribuito ai recinti megalitici tale appellativo. Nel caso specifico, dice Ugo Zannini, pur in mancanza di mura megalitiche, con la presenza di una struttura imponente, la leggenda ha assegnato la costruzione della tomba di età romana ai paladini.
Nulla ci vieta, però, di pensare che nelle vicinanze vi fosse la sepoltura di qualche cavaliere crociato (paladino) diretto o proveniente da Brindisi porto di imbarco per la Terra Santa, dal momento che proprio la via Appia, in alternativa alla via Micaelica che da Roma attraversando l'Abruzzo conduceva a Monte Sant'Angelo, nelle Puglie, era utilizzata dai cavalieri crociati per raggiungere Brindisi e quindi imbarcarsi per la Terra Santa.

Tomba del paladino: strombi presenti sulle pareti laterali
(schizzo arch. Nerone, da Ugo Zannini, La via Appia attraverso i secoli, Istituto Geografico Editoriale Italiano, 2002)

Tomba del paladino: strombo presente sopra la porta di ingresso
(schizzo arch. Nerone, da Ugo Zannini, La via Appia attraverso i secoli, Istituto Geografico Editoriale Italiano, 2002)



mercoledì 14 novembre 2012

I marmi di Mondragone


Mondragone, località Sellara
Affioramento di un blocco di roccia marmifera gialla
Sono state rinomatissime le cave di marmi, che costituirono e sono tuttora il decoro e lo splendore della Reggia di Caserta e di Napoli e della chiesa di San Francesco da Paola coll’imponente porticato.Ora, per accidia dei dirigenti, le cave di San Mauro e di San Sebastiano sono quasi del tutto abbandonate. E' deplorevole che un cespite cosi cospicuo, resti improduttivo.
Così scriveva, quasi un secolo fa, esattamente nel 1927, Biagio Greco nella sua “Storia di Mondragone” e poi di seguito descriveva le caratteristiche dei marmi estratti dalle colline di Mondragone che nel corso dei secoli avevano vissuto momenti di grande splendore.

Infatti, fin dal 1754, Luigi Vanvitelli impegnato nella costruzione della Reggia di Caserta, si era recato a visitare con l’abate Vaccarini, altro grande architetto palermitano, le cave di S. Mauro e di San Sebastiano in Mondragone. Successivamente nelle stesse lavorò uno dei più bravi cavatori dell'epoca, Burrino Benedetto Belli, originario di Urbino, che aveva vinto l’appalto dello “scavo e taglio” delle pietre  il 26 luglio 1761 «da terminare quando piacerà al suddetto regio architetto». Nel 1767 lo stesso Benedetto Belli ebbe l’appalto per sbozzare le colonne della Cappella Palatina della Reggia che furono estratte in marmo giallo dalle cave di Mondragone.
In una lettera manoscritta del 14 agosto 1767, diretta a S. E. Neroni Intendente Generale dei Reali Stati di Caserta, l'architetto Luigi Vanvitelli così si esprime circa la valenza tecnica del Belli: 
Rispetto alla cava di Mondragone un certo Corsi di Carrara, che travagliò per il Can.co Avellino, l’anno passato voleva esibire a prezzo minor dei Burrini la cavatura; ma avendoli io detto che li pezzi grossi che cavò al Canonico Avellino erano belli in apparenza, inutili però in sostanza, perché tutti fessi e pelati, a cagione che aveva adoperato le mine con la polvere; ed all’opposto li Burrini adoperavano il sugo della braccia, e perciò riescano i pezzi saldi e sinceri, secondo mi occorre singolarmente per le colonne della Cappella se ne partì a capo chino, benché spinto dal fiscale. 
Manoscritti di Luigi Vanvitelli nell'Archivio della Reggia di Caserta 1752-1773, a cura di Antonio Gianfrotta, 2000. 
 Mondragone, località Sellara
Affioramento di un blocco di roccia marmifera grigia


Biagio Greco, nella sua opera, così descrive i marmi di Mondragone:



1. Marmo brecciato cinerino

Le cave di marmo di Mondragone sono fra le più eminentemente note nella Provincia. Ebbero un passato rinomatissimo, quantunque attualmente non vi si lavori quasi affatto.

I marmi di Mondragone li incontrate pressoché in tutti i monumenti antichi e moderni della Provincia, e si può ritenere sia stato il più diffuso. 

La cava più nota, è quella situata sulla regione Cimentara in faccia alla Starza a poco più di 100 metri sul livello del mare, di là si levarono i più bei massi di marmo per i colonnati del Teatro San Carlo di Napoli, per la Reggia di Napoli, Caserta etc. La cava, ossia le cave aperte hanno più di 50 metri di potenza. In tale località due marmi ordinariamente si scavano, ma non è difficile separarne un terzo e si potrebbe con tagli accorti, dare origine anche ad un quarto tipo; la cava presenta oltre 100 metri di coltivazione sui due lati, quello di notte, e quello di levante. Il banco ha un'altezza di 50 e più metri. Potrebbe però allargarsi di altri 100 metri, e approfondirsi di altri 50. La pietra per marmo, è ricoperta fino a metà del suo ammasso, dai depositi di arenarie, da calcari e argille mioceniche. I marmi sono brecciati, e la diversità nella natura e stato dell'elemento brecciante, costituisce le specialità nella varietà dei marmi.

Il tipo numero sei che descriviamo per primo; è costituito da una breccia fornita da frammenti calcarei, bruni, cenerini e bigio chiare intimamente cementati, da due elementi successivi, primo da carbonato spatico, il quale assume, col taglio una tinta bianco perlacea trasparente; il secondo da materia argillo-ferruginosa, di color giallo sporco, formante macchie opache. Il marmo lavorato è di un bell'effetto, facile al lavoro, conserva ciò nullameno la pulitura e la lucentezza.


2. Marmo brecciato giallo 
La cava dell’esemplare che descriviamo, è sottoposta alla precedente, vale a dire la prima forma cappello alla seconda, più la cava s'innalza e più è cenerina, più si abbassa, e più è gialla. Gli elementi della breccia in questo secondo tipo sono assai più confusi, la materia brecciante è così compenetrata negli elementi brecciati, che il bigio primitivo, il cenerino sfumano, sotto un'onda bianco perlacea opalina, come una pittura ad olio sovrapposta; vi è, per così dire, applicato il 2° elemento brecciante in giallo, costituito da elementi argillo-ferruginosi. Anche questo tipo, fu uno dei più accetti, pare un bardiglio, macchiato ad arte di giallo. Il marmo è bello, assume lucidatura e pulitura perfettissima, offre massi enormi, sani. Le cave di marmo di Mondragone, non offrono parti, rappresentano un ammasso di materia utile, per qualsiasi colossale lavoro.

3. Marmo cenerino bianco venato 
Come interessa saper ben dirigere lo scavo, l'orientamento, la segatura dei blocchi di marmo, secondo determinate norme, così è utile saper ben distinguere le varianti che succedono in un deposito. Una stessa cava si può in tal maniera arricchire di più esemplari, può creare delle varietà, dei tipi. Nella stessa cava di Mondragone, ci riuscì facile dividere nettamente in tre o quattro gruppi distinti i marmi. che si possono estrarre.
La cava di San Sebastiano è a poco più di 30 metri sul livello del mare, ha ai suoi piedi i ruderi dell'antica via Appia. In prossimità le famose acque minerali storiche di Mondragone. Nessuna cava di marmo si potrebbe trovare in migliori condizioni per lo scavo. Ha un estensione di circa mezzo chilometro, e oltre 200 metri di potenza.

4. Marmo bruniccio bianco venato 
Salendo sopra i monti di Mondragone al luogo detto Cresta del Gallo, presso la cava dell'acqua, a circa 300 metri sul livello del mare, la roccia compare diversa assai dalla precedente; dopo alcuni strati di calcari argillose e arenarie neucomiane, compare, il calcare maiolica, jurese, in strati sottili, ma più potente, si presenta uno strato di calcarea bruna venata di bianco. Abbiamo raccolto un primo esemplare che è appunto quello che descriviamo e un altro che descriveremo dopo. Il calcare non è fossilifero, ha colore uniforme, è venato in due sensi, le vene formano quasi losanghe. E una specie nuova per il luogo, ha maggiore profondità e può somministrare un buon marmo.

5. Marmo bruno venato 
Poco sopra al luogo dell'acqua, nelle montagne di Mondragone le stratificazioni   calcaree si presentano più determinate e omogenee.
Il bruno venato, si caratterizza fra gli strati sottili del calcare argilloso e del maiolica. Abbiamo levato l'esemplare che descriviamo, per far conoscere quest'altra specie di pietra per marmo ornamentale.
Il marmo è bruno, cenerino oscuro con qualche macchia giallastra ed è venato a zig zag da vene bianchissime spatiche. Come marmo da fondi o cornici, per zoccoli, gradini, ecc. sarebbe un ottimo acquisto per l'industria. Lo strato è esteso e crediamo attraversi lungh'esso tutto il monte Massico.

6. Marmo fiorito bigio
A monte Sant'Anna di Mondragone, a circa 390 metri sul livello del mare, la calcarea assume un'altra caratteristica assai diversa dai precedenti; si presenta di un bel colore cenere chiara.
L’esemplare che abbiamo fatto levare e lavorare ci presenta i seguenti caratteri: è di color bigio con macchie chiare formate da fossili minutissimi. Il fossile è di colore più chiaro, mentre l'incluso ossia la pasta contenuta nel guscio della conchiglia è più oscura, ciò che costituisce un elegante macchiettamento: sottili vene seghettate, parimenti chiare, attraversano la massa. L’assieme dei delicati contrasti, delle gradazioni dal bigio danno bell'aspetto al marmo.

venerdì 2 novembre 2012

Mondragone: l'Archeoclub lancia un grido di allarme per l'acquedotto romano in località Starza


Mondragone, località "Starza"
(arcata crollata, foto febbraio 2012)
Parte dall’Archeoclub di Mondragone la denuncia della particolare  situazione di degrado e di abbandono che sta minando uno dei gioielli archeologici della città: risulta crollata, infatti, una delle arcate dell’acquedotto lungo la via Appia antica a nord del criptoportico in località "Starza".
Il grido di allarme è stato lanciato alla Soprintendenza Archeologica di Caserta dai soci della sede di Mondragone dell'Archeoclub d'Italia con una lettera del presidente Michele Russo nella quale si chiede un intervento urgente che miri al recupero del materiale dell’arcata caduta per evitare che un'importante testimonianza archeologica del nostro territorio scompaia per sempre.

Mondragone, località "Starza", resti dell'acquedotto romano

La villa romana della Starza è uno degli esempi meglio conservati di ville rustiche dell’Ager Falernus. Le arcate di cui l’Archeoclub denuncia la parziale caduta erano parte dell’acquedotto che convogliava le acque verso il criptoportico della villa.
Il criptoportico, parzialmente ipogeo si presenta come un podio di grandi dimensioni, a pianta pressochè regolare articolata su tre bracci, all’interno dei quali si sviluppa la pars rustica della villa. Dal braccio più lungo si accede ad una cisterna della lunghezza di circa 14 metri, interamente rivestita in cocciopesto e su una parete i resti di un filtro per la depurazione delle acque.
La struttura della villa della Starza si articola in molteplici corpi di fabbrica con murature in opus incertum.

Mondragone, pianta del criptoportico in località Starza
(da Prospettive di memoria. Testimonianze archeologiche dalla città e dal territorio di Sinuessa, 1993)

giovedì 1 novembre 2012

Mondragone: il palazzo "Tarcagnota" ed una breve storia della famiglia



Il Palazzo settecentesco “Tarcagnota” è situato lungo il corso Vittorio Emanuele nel centro storico di Mondragone, a pochi passi dalla piazza Umberto I, e subito dopo la Basilica Minore di Maria SS. Incaldana.
Il palazzo sviluppa lungo il corso V. Emanuele il prospetto principale della lunghezza di circa 60 ml, articolato in massima parte su tre ordini ad eccezione dell’angolo destro dove si arresta al secondo ordine. Esso è un tipico esempio di residenza nobiliare del XVIII secolo, con impianto originario a pianta rettangolare con due corti, una aperta verso il giardino, l’altra chiusa.
L’edificio presenta due accessi sul fronte principale, attraverso altrettanti portali, mentre un terzo accesso è situato sul lato destro dell’edificio, in prossimità del sagrato della Basilica di Maria SS. Incaldana.

Rappresentazione grafica del prospetto principale di Palazzo Tarcagnota
(disegno di V. Zona, da Monumentalia, Frammenti di memoria, Mondragone 1995)

Attraverso l’accesso principale si raggiunge una corte aperta verso il giardino, nella quale trova posto quanto resta della dependance del giardiniere, un piccolo edificio su due livelli con il tetto ad una sola falda, costruito sulle antiche mura della città, e adiacente stalla e capanno per gli attrezzi, di epoca successiva.

Mondragone, Palazzo Tarcagnota, ingresso principale
Il portale è arricchito da due paracarri aventi forma di tronco di colonna striata, sormontati da calotte e alla sua sommità vi sono ancora i tre ganci che sorreggevano lo stemma nobiliare trafugato alcuni anni fa ad opera di ignoti. 
Tale stemma raffigurava la dea della caccia Diana, con in mano una frusta ed un animale somigliante ad un serpente posto in mezzo a due cani in corsa, mentre nella parte inferiore un cane tra elementi floreali è in stato di “punta”. Tali figure giacciono su uno scudo sormontato da una corona gigliata.  
Mondragone, Palazzo Tarcagnota,
edicola sacra
Sul lato destro del portale, nella parte alta, un’edicola sacra con crocifisso. 
Attraverso una scala in marmo coperta da volta a botte, si raggiunge l’appartamento nobiliare, posto al primo piano dell’edificio, che presenta una tipologia di ambienti disposti a L attorno ad un ampio salone il cui soffitto è impreziosito da un grande affresco. Dall’appartamento nobiliare si accede ad un ampio terrazzo, prospiciente una seconda corte attorno alla quale gravitava l’area destinata alla servitù, con accesso dal secondo portale sul corso V. Emanuele. Infatti in questa seconda corte sono localizzati, al piano terra, tutti i servizi: il forno, il pozzo, la dispensa, il lavatoio in pietra di cui ancora rimangono tracce.
Sulla sinistra una scala su semivolte a botte porta ai livelli superiori dove erano le stanze della servitù ed, al secondo piano, un grande terrazzo che abbraccia la corte per tre lati.
Sul giardino il prospetto è singolare, caratterizzato, al piano terra, da un porticato con archi a sesto ribassato e pilastri in tufo, al primo livello il porticato è chiuso da verande in ferro con vetrate policrome, mentre al secondo livello un arretramento dei volumi lascia il posto ad un terrazzo. 
L’ala destra del fabbricato presenta caratteristiche diverse rispetto al resto. L’angolo prospiciente la chiesa del Vescovato (Basilica minore di S. Maria Incaldana) è realizzato su due soli livelli e presenta decorazioni e fregi diversi da quelli della facciata principale dell’edificio.
Mondragone, Palazzo Tarcagnota,
mascherone esistente sul lato destro
del portone principale 
Nel corso delle ultime guerre la facciata dell’edificio su corso Vittorio Emanuele fu martoriata dai bombardamenti. La ricostruzione avvenuta nel dopoguerra ha comportato il rifacimento di parte della muratura, di alcuni solai, e la ricostruzione delle decorazioni originali distrutte. Sono ancora oggi evidenti i segni delle diverse tecniche costruttive e dei diversi materiali utilizzati.

Il 26 agosto 1988 il “Palazzo nobiliare del ‘700 detto Tarcagnota” è dichiarato di particolare interesse ai sensi della legge 1 giugno 1939, n. 1089 ed è sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nella legge stessa.
Nel 2002 il palazzo “Tarcagnota” è stato acquistato dal Comune di Mondragone.

Breve storia dei Tarcagnota di Mondragone (oggi estinti)

D’origine greca, Giovanni Tarcagnota, progenitore dei Tarcagnota di Mondragone, nacque a Gaeta, si pensa verso la fine del secolo XV, appartenente ad una famiglia ricca e nobile, emigrata nel 1453 in Italia dalla Morea dopo la caduta di Costantinopoli per mano dei turchi. 
Da una recente bibliografia a cura di Gennaro Tallini aggiornata anche alla luce di alcuni manoscritti rinvenuti presso la Biblioteca "Bertoliana" di Vicenza, sappiamo che Tarcagnota fu autore di moltissime opere, alcune addirittura ristampate varie volte, tra queste: Del sito et lodi della città di Napolioltre che di un poema intitolato L’Adone, che tradusse diverse opere dal latino e che morì intorno all'anno 1566. 
Il trasferimento dei Tarcagnota in Italia è descritto dallo stesso Giovanni nella sua Storia universale, dove narra che, nella guerra con Maometto II moriva il bisnonno Michele Tarcagnota, “che con la morte sua, fè l’onore della sua famiglia”, lasciando in difficoltà il figlio Dimitro con la moglie Paleolongina e tre bambini, e costringendolo a riparare a Corfù. A breve distanza, morirono anche Dimitro e sua moglie ed i figli vennero accuditi, pare, da una sorella di Dimitro. 
Frontespizio del libro 
Delle Historie del mondo
di M. Giovanni Tarcagnota
Dopo varie vicissitudini approdarono a Gaeta, dove frequentarono la casa del Conte di Altamira. Tracce del trasferimento dei Tarcagnota a Mondragone risalgono alla fine del secolo XVI, in atti del Bilancio del Reame di Napoli, degli anni 1591 e 1592, dove risulta un Paolo Tarcagnota per l’Uffizio di Portolano della Rocca di Mondragone. 
La definitiva permanenza dei Tarcagnota a Mondragone è testimoniata dai documenti conservati presso l’Archivio Storico dello Stabilimento dell’Annunziata di Gaeta, nei quali sono descritte le trattative (avviate nel 1876 e concluse nel 1881) per l'acquisto di un fondo denominato “Lenze” da parte dei fratelli Pasquale e Michele Tarcagnota del fu Nicola, “proprietari domiciliati e residenti a Mondragone”.

Giovanni Tarcagnota sarà sindaco di Mondragone per il periodo 1833-1835 e dal 1851 al 1854.
Michele Tarcagnota sarà vicesindaco di Mondragone nel 1876 e sarà addirittura sindaco dal 1895 fino al 1909, dopo essere stato consigliere provinciale per il Mandamento di Carinola tra il 1875 e il 1890, suo figlio Giovanni sarà consigliere provinciale per il collegio di Mondragone dal 1952 al 1956.