La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

domenica 22 aprile 2012

Rongolise di Sessa Aurunca: chiesa rupestre di santa Maria in Grotta

Rongolise di Sessa Aurunca, chiesa rupestre di santa Maria in Grotta




Rongolise di Sessa Aurunca, chiesa rupestre di santa Maria in Grotta




Rongolise di Sessa Aurunca, chiesa rupestre di santa Maria in Grotta:
affresco raffigurante la  Dormitio Virginis


Situata su un colle a circa 3 km ad ovest di Sessa Aurunca, la chiesa è costituita da due cavità intercomunicanti ricavate nel banco di tufo, come gli ambienti adiacenti che formano un vero e proprio complesso rupestre. I due ipogei risultano collegati ad un soprastante edificio in muratura che ha svolto funzione di romitaggio fino agli inizi del Novecento. L’invaso principale a pianta rettangolare e con orientamento nord-sud presenta la sezione trapezoidale e un bancale lungo le pareti. Il secondo vano, soprelevato rispetto all’invaso principale e orientato sud-ovest/nord-est ha la sezione semicircolare e l’ingresso anche dall’esterno.I due ambienti, in origine separati, furono messi in comunicazione nel 1691, allorché la parete di fondo dell’invaso principale venne modificata per creare un nuovo altare e una lunetta con la Vergine tra i santi Stefano e Girolamo.Nella seconda metà del XII secolo sulla parete orientale dell’invaso principale venne affrescata una Dormitio Virginis che, per l’impianto generale della scena e il titulus in greco, denuncia un collegamento con l’ambiente bizantino e differenzia questa chiesa dagli altri luoghi di culto in rupe della regione. È noto, infatti, che le pitture rupestri campane rivelano un contesto di committenza radicato nel clero e nella società ‘latina’ e che l’apertura alle nuove esperienze del mondo bizantino si verificò, talora con notevole ritardo generazionale, soprattutto a seguito della rivoluzione artistica di fine XI secolo promossa dall’abbazia di Montecassino. Sulle pareti laterali dell’invaso principale, tra la fine del XII secolo e la metà del successivo, vennero eseguiti alcuni pannelli con immagini di santi e della Vergine; in occasione della stesura degli affreschi lungo le pareti venne realizzato il bancale, ampliando alla base la sezione della cavità. La prossimità alla strada che congiungeva l’antica Suessa con la valle del Garigliano e la presenza di un vero e proprio complesso rupestre, entrambi compatibili con «le funzioni di parrocchia rurale», escludono «l’ipotesi che l’insediamento possa aver ospitato una comunità monastica». D’altronde il p(res)b(iter) Martinus che, intorno alla metà del XIII secolo, fece affrescare la Madonna Regina sulla parete destra dell’invaso principale apparteneva chiaramente al clero secolare, come l’abbas Petrus de Galono che nel 1308 amministrava la chiesa S. Marie de Gripta.


Il è testo tratto da:
Maria Amodio - Carlo Ebanista, Aree funerarie e luoghi di culto in rupe: le cavità artificiali campane tra tarda antichità e medioevo [A stampa in Atti VI Convegno Nazionale di Speleologia in Cavità Artificiali, Napoli, 30 maggio-2 giugno 2008 («Opera ipogea», 1/2 (2008), pp. 117-144 © degli autori – Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”].

Le foto sono di: 
Salvatore Bertolino




Rongolise di Sessa Aurunca, chiesa rupestre di santa Maria in Grotta:
affresco raffigurante la Madonna Regina


Rongolise di Sessa Aurunca, chiesa rupestre di santa Maria in Grotta:
affresco 

Rongolise di Sessa Aurunca, chiesa rupestre di santa Maria in Grotta:
affresco 

Rongolise di Sessa Aurunca, chiesa rupestre di santa Maria in Grotta:
affresco 

Rongolise di Sessa Aurunca, chiesa rupestre di santa Maria in Grotta:
la lunetta centrale con la Vergine tra i santi Stefano e Girolamo

Rongolise di Sessa Aurunca, chiesa rupestre di santa Maria in Grotta:
affresco 

sabato 21 aprile 2012

Fasani di Sessa Aurunca: la grotta di san Michele a Gualana

La cavità, solo parzialmente conservata a causa dello sbancamento connesso all’uso agricolo della collina, si apre nella parete tufacea sulla riva destra del rio Trabata, a breve distanza dalla strada che collega la via Appia al centro di Fasani, frazione quest’ultima del comune di Sessa Aurunca.
Nonostante il calpestio sia interrato per un’altezza di circa 1 metro, si riconoscono i resti della parete di fondo con un dipinto raffigurante S. Massimo e due absidiole affrescate rispettivamente con la Vergine orante tra i santi Tommaso e Nicola e Cristo tra S. Michele e S. Pietro; le pitture sono state assegnate al X secolo o alla metà dell’XI.
Il pannello con la Vergine, come indica l’iscrizione votiva, venne commissionato da un sacerdote, a testimonianza che la cavità non è pertinente ad un insediamento monastico, ma rappresenta piuttosto la cappella di una comunità rurale, identificabile forse con la chiesa di S. Angelo de Trabata menzionata nelle rationes decimarum del 1326.

Il testo è tratto da: 
Maria Amodio - Carlo Ebanista, Aree funerarie e luoghi di culto in rupe: le cavità artificiali campane tra tarda antichità e medioevo
[A stampa in Atti VI Convegno Nazionale di Speleologia in Cavità Artificiali, Napoli, 30 maggio-2 giugno 2008 («Opera ipogea», 1/2 (2008), pp. 117-144 © degli autori – Distribuito in formato digitale da “Reti Medievali”].


Fasani di Sessa Aurunca, grotta di san Michele


Fasani di Sessa Aurunca, grotta di san Michele:
affresco raffigurante il Cristo tra san Michele e san Pietro

Fasani di Sessa Aurunca, grotta di san Michele:
affresco raffigurante san Massimo

Fasani di Sessa Aurunca, grotta di san Michele:
affresco raffigurante la Vergine tra san Tommaso e san Nicola

domenica 8 aprile 2012

Il Premio Giornalistico “Matilde Serao”


Matilde Serao
(disegno di Adriana Gherardini Taglioni)
Il Premio Giornalistico “Matilde Serao” fu istituito nel mese di novembre 2001 dall’Amministrazione Comunale di Carinola, su iniziativa del consigliere Antonio Corribolo, allo scopo di rendere omaggio alla vita ed alle opere di una fra le più illustri scrittrici e giornaliste di tutti i tempi e per rimarcare il legame della Serao con la città di Carinola che l’aveva accolta nella sua adolescenza. 
La data di consegna del Premio fu fissata per il 14 marzo di ogni anno  in ricordo  della bella  serata del 14 marzo 1892, quando Matilde Serao ed Edoardo Scarfoglio fondarono a Napoli IL MATTINO, testata giornalistica,  che è stata sempre presente alla manifestazione  con i  direttori Mario  Orfeo e Virman  Cusenza.
Al Premio, nelle ultime tre  edizioni è stato riconosciuto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica con l’assegnazione di targhe di rappresentanza ed il Presidente  Giorgio Napolitano ha sempre manifestato vivo apprezzamento per l’iniziativa  in onore di Matilde Serao.
Poste Italiane Spa, fin dalla prima edizione quando fu realizzato un annullo speciale, ha collaborato fattivamente alla manifestazione, anche per ricordare che Matilde Serao è stata, per alcuni anni, una telegrafista di Stato.  Il Premio ha trovato la fattiva adesione di studiose di Matilde Serao provenienti da varie Università d'Italia ed il patrocinio di varie  Amministrazioni fra cui la Regione Campania,  la   Città di Napoli,  l’Amministrazione Provinciale di Caserta,  l’Ambasciata di Grecia in Italia che ha voluto così ricordare le origini materne di Matilde Serao.

Annullo speciale di Poste Italiane spa
in occasione della I edizione del Premio

Il Premio è destinato a giornaliste della televisione e della carta stampata che nel corso dell’anno precedente a quello di assegnazione,  si siano  particolarmente distinte  per impegno, professionalità e coraggio nelle attività di comunicazione ed informazione.

I edizione del Premio (in prima fila Carmen Lasorella e Natalia Aspesi)

Nelle edizioni passate, il Premio è stato assegnato a:  Carmen Lasorella (RAI 1),  Natalia Aspesi (Repubblica), Giovanna Botteri (RAI 3), Donatella Trotta (IL MATTINO),  Daniela Vergara (RAI 2),  Lucia Annunziata (RAI 3). 

Cartoncino della I edizione del Premio con 
firma autografa della vincitrice Carmen Lasorella

La manifestazione, nel corso degli anni, ha acquistato notevole risonanza a livello regionale e nazionale.  Per il prestigio, la professionalità e la notorietà delle premiate, la manifestazione si è inserita tra i più importanti Premi Giornalistici d’Italia, tanto che lo scorso anno era stata inserita nel bilancio della Regione Campania fra le manifestazioni di maggiore rilevanza culturale. La consegna del Premio è stata sempre associata a momenti di  approfondimento letterario che hanno conferito un notevole  spessore culturale alla  manifestazione con la partecipazione di giornaliste e studiosi di Matilde Serao provenienti da varie Università d’Italia.   
La manifestazione di consegna per l’edizione 2012 avverrà nel prossimo mese di maggio. Il Premio viene organizzato dall’Amministrazione Comunale di Carinola che si avvale della collaborazione del fondatore Antonio Corribolo.  
Fra gli altri organizzatori del Premio figurano il prof. Tommaso Daniele, Presidente dell’Unione Italiana Ciechi, la giornalista Lidia Luberto, la prof.ssa Rosaria Taglialatela, nonché, per passate edizioni, il compianto Padre Michele Piccirillo, francescano, archeologo della Terra Santa, originario di Casanova di Carinola.
Alla manifestazione è sempre stata presente l’unica nipote vivente di Matilde Serao la nobildonna Adriana Gherardini Taglioni che vive a Roma.

L'edizione 2012 che ha avuto il suo epilogo nella cerimonia tenutasi il 18 maggio 2012 nella splendida sala di Palazzo Petrucci a Carinola ha visto vincitrice del premio la giornalista de "Il Mattino" Rosaria Capacchione, da anni impegnata con i suoi reportages su camorra e malaffare per l'affermazione della legalità in provincia di Terra di Lavoro.
Alla presenza di un folto pubblico e numerose autorità militari e civili, erano presenti tra gli altri i neo eletti sindaci di Falciano del Massico, dott. Giosuè Santoro, e di Mondragone, dott. Giovanni Schiappa, hanno portato i loro saluti il Sindaco di Carinola Luigi Salvatore De Risi, il Presidente della Provincia di Caserta Domenico Zinzi, la dott.ssa Vittoria Ciaramella in rappresentanza del Prefetto di Caserta, il Sindaco di Caserta Pio Del Gaudio, il Presidente della Commissione Bilancio della Regione Campania on. Massimo Grimaldi, la preside della facoltà di Lettere della Seconda Università di Napoli prof.ssa Rosanna Cioffi, il prof. Tommaso Daniele presidente dell'Unione Italiana Ciechi, il prof. Goffredo Sciaudone, professore emerito della Seconda Università di Napoli. 
Hanno svolto gli interventi conclusivi Pasquale Ragozzino direttore della filiale di Caserta di Poste Italiane che ha ricordato i trascorsi di Matilde Serao come telegrafista di stato, Antonio Corribolo ideatore del Premio, Virman Cusenza direttore de "Il Mattino",  ed infine Adriana Gherardini Taglioni, che ha ricordato alcuni aneddoti inediti della nonna, nonchè Adele Marini Ceraldi, memoria storica della città di Carinola, alla quale è andata anche una targa di riconoscimento, che ha ricordato le due perle di Ventaroli: Matilde Serao e la Basilica di S. Maria in Foro Claudio, appena riaperta al culto. 
Padrona di casa la carinolese Lidia Luberto, giornalista del Corriere del Mezzogiorno.

Matilde Serao e Ventaroli di Carinola



Matilde Serao (Patrasso, 7 marzo 1856 – Napoli, 25 luglio 1927) è stata una scrittrice e giornalista italiana. È stata la prima donna italiana ad aver fondato e diretto un quotidiano, Il Mattino.

 
Matilde Serao nacque dal matrimonio tra l'avvocato napoletano Francesco Serao e Paolina Borely, nobile greca decaduta, discendente dei principi Scanavy di Trebisonda. Il padre Francesco, avvocato e giornalista, aveva dovuto lasciare la sua città nel 1848 perché ricercato come anti-borbonico. Durante l'esilio in Grecia aveva trovato lavoro come insegnante. Conobbe e sposò Paolina Borely, che sarà il modello della giovane Matilde.
Il 15 agosto 1860 la famiglia Serao, con l'annuncio dell'ormai imminente caduta di Francesco II, tornò velocemente in patria. Trovò alloggio a Ventaroli, frazione di Carinola.


A 26 anni (1882) lasciò Napoli per andare alla "conquista di Roma". Nella capitale collaborò per cinque anni con il Capitan Fracassa. Sotto lo pseudonimo «Ciquita» scrisse di tutto, dalla cronaca rosa alla critica letteraria. Inoltre si ritagliò uno spazio nei salotti mondani della capitale. Però la sua fisicità, la mimica e i modi spesso troppo spontanei per l'ambiente salottiero, la risata grossa, non la favorirono. Durante quelle riunioni, la sua fama di donna indipendente suscitò più curiosità che ammirazione.

Il primo incontro tra Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao avvenne nella redazione del Capitan Fracassa. Matilde Serao rimase affascinata da quel giovane intelligente e vivace. Nacque una relazione che suscitò il pettegolezzo della Roma-bene.
Il 28 febbraio 1885 Matilde ed Edoardo si sposarono. Gabriele D'Annunzio scrisse la cronaca della giornata su La Tribuna. La coppia andò a vivere a palazzo Ciccarelli, in Via Monte di Dio. Ebbero quattro figli: Antonio, Carlo e Paolo (gemelli) e Michele.


Tra Matilde Serao ed Edoardo Scarfoglio non nacque solo un'unione sentimentale, ma anche un sodalizio professionale. Scarfoglio pensava da tempo di fondare un proprio giornale quotidiano. Insieme con Matilde realizzò il suo progetto: nel 1885 fondarono il Corriere di Roma. La moglie vi contribuì coi suoi scritti e invitando a collaborare le migliori firme del momento. Tuttavia il giornale non decollò, per la concorrenza del più forte La Tribuna, il quotidiano romano allora più diffuso. Serao, prendendo spunto da quell'esperienza, diede alle stampe un corposo romanzo, Vita e avventure di Riccardo Joanna, che Benedetto Croce definì "il romanzo del giornalismo". 

Nel 1891 Scarfoglio e la moglie lasciarono il Corriere di Napoli, di cui cedettero il proprio quarto di proprietà ricavando 100.000 lire. Con questo capitale la coppia decise la fondazione di un nuovo giornale, che venne chiamato Il Mattino e uscì con il primo numero il 16 marzo del 1892. Matilde talvolta usava firmare i suoi articoli con lo pseudonimo "Gibus" (cappello a cilindro che si chiude a scatto).


Dopo la morte di Edoardo Scarfoglio (1917), la Serao sposò Giuseppe Natale. Morto anche il secondo marito, rimase sola, ma continuò con la stessa vitalità il suo lavoro giornalistico e letterario. 
Matilde morì a Napoli nel 1927 colpita da un infarto mentre era intenta a scrivere. 

http://www.scrittriciritrovate.it/ita/scheda-serao.php



Ventaroli di Carinola
Ventaroli è anche meno di un villaggio né voi lo troverete nella carta geografica: è un piccolo borgo nella collina più vicino a Sparanise che a Gaeta. Vi sono duecentocinquantasei anime, tre case di signori, una chiesa tutta bianca ed un cimitero tutto verde; vi è un gobbo idiota, una vecchia pazza e un eremita in una cappelluccia.
Ventaroli di Carinola
 (a sinistra la chiesetta dedicata a san Filippo e san Giacomo protettori del piccolo borgo)
Così Matilde Serao (in un articolo pubblicato postumo da “Il Mattino” il 24 giugno 1956) ci descrive Ventaroli, piccolo borgo del comune di Carinola, dove trascorse momenti importanti della sua adolescenza. Il borgo che ha conservato intatto l'aspetto di quel tempo conta oggi meno dei 256 abitanti di allora, si snoda lungo la strada che dalla strada statale Appia conduce a Carinola. 
La casa è ancora esistente, all’inizio del borgo, in fondo al vicoletto a sinistra, provenendo dall’Appia in direzione di Carinola.


Ecco come Matilde Serao ci descrive la casa in cui visse in alcune pagine scritte nel 1878:

Ventaroli di Carinola, casa di Matilde Serao
(A ricordo della giornalista-scrittrice una targa sopra il portone nobile)

Era una grande casa di provincia, con un portone sempre chiuso, quello nobile, pei signori che vi davano un forte picchio col bastone, e un portone sempre spalancato, quello dove passavano i carri di grano, di vino, di carbone, di pasta […] Avevamo allora per noi i cameroni vuoti dove si stendeva il bucato nei giorni di pioggia, le larghe terrazze sotto il sole a cui arrivavamo arrampicandoci per le ripide scalette di legno, la grande loggia del primo piano, piena di maggiorana e di basilico… la dispensa del cortile dove si conservavano i salami e i formaggi… i granai dove rotolavamo giù dalle montagne di grano… .

Matilde Serao, Piccole anime, Milano, 1890. 

venerdì 16 marzo 2012

Margherita Branciforti, duchessa di Mondragone

Margherita Branciforti, duchessa di Mondragone
illustrazione tratta dal saggio di Pinella Musmeci

Chi era questa donna che accomunò ai suoi non indifferenti titoli nobiliari anche quello di duchessa di Mondragone, privilegiandolo e portandolo con sé per tutta la vita e anche oltre?

Margherita Branciforti 

duchessa di Mondragone

Palermo 12.7.1781 – Niscemi 23.5.1830


così recita una semplice lapide posta nel muro di cinta del nuovo cimitero di Niscemi (Caltanissetta) con una foto in bianco e nero ricavata da un ritratto ad olio.
A questa donna ha dedicato un interessante saggio “Rivediamo la storia di Margherita Branciforti Duchessa di Mondragone” la storica Pinella Musmeci, inserito in una raccolta di altri saggi dal titolo “Diafore dimenticate”, pubblicato in Acireale 2001.

Pinella Musmeci contesta, e lo fa con dovizia di riferimenti storici e documentali, quanto precedentemente scritto, nel 1930, da Rosario Disca in un’altra opera sempre dal titolo “Margherita Branciforti Duchessa di Mondragone”. Anzi la Musmeci non riesce affatto a
comprendere la ragione che spinse il Disca ad operare una così intricata commistione tra documenti legali ed affermazioni intuitive, pur di scrivere un'opera piacevole alla lettura, una storia romanzata, descrivendo la Branciforti come una donna leggera, amante dei balli di corte e della bella vita. Il Disca, prete di Niscemi, proprio a causa di questa pubblicazione fu sospeso a divinis per alcuni mesi ed inviato a fare “esercizi spirituali”.
Ecco come il Disca ce la descrive nella parte finale del suo lavoro:
… fu di statura mezzana, ben fatta e negli ultimi anni della sua vita piuttosto pingue: bellissima nel volto; fronte spaziosa adombrata da capelli neri, occhi vivaci, naso affilato, mani e piedi piccolissimi. Vanitosa e leggera, sentì poco l’amore materno; ebbe poca cura del suo onore e cercò sempre di brillare nella società tra i grandi. Usa agli esempi della sua famiglia, ebbe cuore grande e munifico, ma fu sempre debole; si mostrò più prodiga che generosa. Convinta che le sue ricchezze erano inesauribili, non curò l’integrità dei suoi beni immobili; con incredibile leggerezza contrasse enormi debiti, permise che altri avessero sprecate le sue rendite e si lasciò spogliare dei suoi beni. Ebbe l’orgoglio dei principi di Butera, ma non l’onore e la virtù. Abbandonata dal marito, non seppe vivere in un ritiro dignitoso; indulse facilmente ai vizi, e finì vittima di un secondo marito che solo agognava alle sue ricchezze. La sua proprietà del valore di circa 85.000 onze, cioè unmilioneottantatremilasettecento-cinquanta lire, per quei tempi una ricchezza enorme, era costituita da feudi e da canoni. Alienò definitivamente due feudi, gravò di enormi ipoteche gli altri in modo da considerarsi anche perduti del tutto; dissipò in canoni per sciupare denaro; e alla sua morte lasciò debiti che il cav. Gout notò per onze 28877, 6 …..
Il saggio della Musmeci, puntuale e preciso, frutto di un’approfondita e lunga ricerca condotta in archivi storici ed ecclesiastici di Napoli, Palermo ed anche in Spagna, ci descrive, invece, una donna con tutti i suoi problemi, legata al suo tempo e alla sua famiglia.


Niscemi, palazzo Branciforti
foto tratta da internet (autore: Salvatore Brancati)


Margherita Branciforti, figlia di Ercole Michele Branciforti Pignatelli, principe di Pietraperzia e principe ereditario di Butera, e di donna Ferdinanda Riggio Moncada, dei principi di Aci e di Campofiorito, sposò in Napoli il 26 maggio 1790, in prime nozze, il duca Filippo Agapito Grillo Sanseverino, conte di Carinola, erede del titolo di Duca di Mondragone. Si spense a Niscemi il 23 maggio 1830 in un palazzo barocco, ancora esistente, da cui si domina tutta la piana di Gela; aveva lasciato Palermo circa sei anni prima senza mai più ritornarvi. Dal matrimonio erano nati tre figli: Domenico, Giuseppe e Maria Rosa. I primi due morirono, il primo in tenera età e l’altro in Sicilia, all’età di circa 20 anni, in circostanze mai accertate e forse collegate ai moti rivoluzionari di Palermo del 1820; la terzogenita Maria Rosa Grillo sposò il 31 marzo 1808 Giovanni Carlo Doria, principe di Angri, e morì in Napoli il 1 agosto 1863.


Mondragone. Palazzo ducale
Edificato dalla famiglia Grillo  intorno al 1700.


Per approfondimenti:
  • Rosario Disca, Margherita Branciforti duchessa di Mondragone, tipografia Scrodato, Gela 1932, X.
  • Pinella Musmeci, Rivediamo la storia di Margherita Branciforti duchessa di Mondragone, in Diafore dimenticate, tipografia Guerrera, Acireale 2001.




lunedì 12 marzo 2012

Rocca di Mondragone sotto la signoria dei Carafa e dei Grillo.

Mondragone, la Rocca
Nell’anno 1391, re Ladislao, successore di Carlo III, nell’ambito della sua politica di donazioni e concessioni volta a rafforzare attorno a se la nobiltà locale, assegnò a Jacopo Sannazaro il feudo di Rocca di Mondragone.  Il feudo rimase sotto la signorìa dei Sannazaro fino al 1430, per poi passare nelle mani di Giovan Antonio Marzano, Duca di Sessa, sotto il regno della regina Giovanna II, che perseguitò duramente coloro che erano stati fedeli al fratello Ladislao, spogliandoli di ogni privilegio.
A metà del XV secolo, durante il conflitto tra angioini e aragonesi, Rocca di Mondragone, che era una delle fortezze più importanti del Regno di Napoli, ancora sotto il potere del duca Marino Marzano, è assediata dalle truppe di Re Ferdinando I d’Aragona. 
In seguito, 1461, è concessa in feudo alla famiglia Carafa che la terrà ininterrottamente fino al 1690 con mero e misto imperio, praticamente l’esercizio di tutti i poteri: politico, amministrativo, fiscale, militare, giudiziario affidati al feudatario. Si tratta di una competenza, molto ambita e spesso comprata, per poter esercitare il potere giudicante non solo nelle cause civili, ma anche in quelle penali.
Questo il documento originale, cosi come riportato in Storia di Mondragone di Biagio Greco, 1927:
In anno 1479. Re Ferrante asserisce haver in anno 1461 venduto con patto de retrovendendo quandocumque al magnifico Antonio Carafa pro et suis utriuspe sexus haeredibus et successoribus in perpetuum, et in feudum la Terra della Rocca di Monteragone cum suis hominibus, vassallis, Juribus, Jurisdictionibus, mero mistoque Imperio et gladii potestate, Banco justiociae et cognitione primarum Causarum Civilium, Criminalium et mixtarum per ducati 2000 hoggi per altri ducati 5000 li cede detto Jus luendi e li vende libere detta Terra del modo predetto prout tenuerunt Praedecessores.
Antonio Carafa fu, quindi, I° feudatario di Mondragone; a lui successe il 29 maggio 1467 il figlio Luigi Carafa che sposò Isabella Della Marra, figlia del signore di Stigliano.
Con atto di privilegio dato a Barcellona nel 1519 il feudo di Rocca di Mondragone viene elevato a ducato e Don Antonio Carafa (+1528) diviene I° duca di Rocca di Mondragone.
A lui succedettero don Luigi Carafa (*1511 +1576) 2° duca di Rocca di Mondragone; don Antonio Carafa  (*1542 +14-8-1578), 3° duca di Rocca di Mondragone. Successivamente ancora don Luigi Carafa (*12-10-1567 + 22-1-1630), 4° Duca di Rocca di Mondragone. Fu quindi la volta di don Antonio Carafa che fu duca dal 1602 ed alla morte di questi nel 1624, per mancanza di eredi maschi divenne duchessa di Rocca di Mondragone donna Anna Carafa che andò in sposa, il 12 maggio del 1636, a don Filippo Ramiro de Guzman, duca di Medina de la Torres e viceré di Napoli nel periodo 1637-1644.
Alla morte del figlio di questi ultimi, Nicola Carafa Guzman (1638-1689), per mancanza di legittimi successori ex corpore, il feudo passò nella disponibilità della corona di Spagna e messo all’asta.
Ecco come le cronache del tempo riportarono la notizia:
(6 febbraio 1689) A detto dì, con la posta venuta da Spagna s’ebbe aviso ch’era morto il principe di Stigliano, figlio primogenito del fu duca di Medina de las Torre e di donn’Anna Carafa, vicerè di questo Regno di Napoli, di mal di pietra, senza lasciare figliuoli o altro legittimo successore, essendogli premorti due fratelli ch’avea. Per lo che sono ricaduti al fisco i suoi feudi, ascendenti al valsente a più di tre millioni, imperciochè, oltre lo stato paterno, che possedeva in Spagna, possedeva altresì in questo Regno, per l’eredità materna, più di trecento fra terre, città e castella; e già il fisco ha sequestrato ogni cosa.
Il feudo fu reclamato da donna Marianna Guzman Guevara, sorella del defunto per parte di padre, e, in un primo momento, i beni le furono anche assegnati dalla Regia Corte, ma la transazione non fu approvata da Carlo II di Spagna e V re di Napoli che in quel momento, forse, aveva un impellente bisogno di denaro per far fronte alla guerra di Milano che aveva prosciugato le casse imperiali.
Si aprì così la più importante causa di devoluzione feudale del XVII secolo.


Mondragone, Palazzo ducale

Nell’anno 1690 Rocca di Mondragone con i suoi casali di S. Angelo e S. Nicola, secondo  “l’apprezzo dei beni della famiglia Carafa” contava 203 fuochi per un totale di 1389 abitanti. Tra di essi erano 10 soldati a piedi e 2 a cavallo, 14 sacerdoti e 10 clerici, 2 notari ed 1 giudice a contratto, uno speziale di medicina, 1 medico, 3 barbieri, 6 sarti, 2 scarpari, un ferraro, 2 mastri d’ascia (falegnami), 3 botteghe di mercerie, 2 fabbricatori (muratori), 20 massari (quelli che gestivano le proprietà terriere di nobili e signorotti locali), una taverna ed una chianca, tutti gli altri erano bracciali, cioè lavoratori agricoli a giornata.
La popolazione si era più che dimezzata rispetto al censimento effettuato nel 1443, quando Rocca di Mondragone con i due casali di S. Angelo e S. Nicola contava 466 fuochi. In mezzo vi era stata la più grande epidemia di peste che abbia mai conosciuto il nostro paese (1629-1631): nel solo Regno di Napoli ci furono circa 900.000 vittime.
Nel maggio del 1691 il ducato della Rocca di Mondragone, unitamente alla baronìa di Carinola, viene aggiudicato a tale Francesco Nicodemo che, nel luglio dello stesso anno, lo girò con atto del notaro Paolo Colacino, reggente l’ufficio notarile presso la Regia Corte, a don Marcantonio Grillo, nobile genovese, marchese di Clarafuentes.
Dal 4 novembre 1692, con l’atto di assenso e la nomina a duca di Mondragone e conte di Carinola, da parte di Carlo II di Spagna, don Marcantonio Grillo (*Genova 26-9-1643 +12-9-1706) diviene feudatario della Rocca di Mondragone, con diritto di maggiorascato.
Alla sua morte, 1706, successero Don Agapito IV Domenico (*17-11-1672 +16-1-1738), Don Filippo Agapito V (*4-12-1699 +18-3-1783), Don Domenico (*20-4-1748 +13-12-1801).
Nell'anno 1752, la popolazione complessiva dei casali di S. Angelo e San Nicola e della Terra di Mondragone era di 1597 anime, suddivisa in 338 fuochi, 21 vedove e virginis in capillis, 32 forestieri abitanti, 31 ecclesiastici.
Ultimo feudatario della Rocca di Mondragone fu Don Filippo Agapito VI (* Mondragone 13-5-1770 +11-7-1820), Conte di Carinola e 4° Duca di Mondragone che sposò in Napoli il 26-5-1790 Donna Margherita Branciforte (*Palermo 1775 +Niscemi 1830), figlia del Duca Don Ercole Michele 10° Principe di Butera e di Donna Ferdinanda Reggio dei Principi di Aci, discendente da una delle famiglie più importanti del Regno delle due Sicilie.