La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

domenica 7 ottobre 2012

Alla scoperta del territorio: importante iniziativa della Camera di Commercio

Il logo dell'iniziativa promossa dalla Camera di Commercio di Caserta

Una specie di caccia al tesoro in cui si va alla ricerca della storia e della cultura enogastronomica della provincia di Caserta, tutto ciò partecipando alla «Caccia ai tesori di Terra di Lavoro», otto itinerari turistico-enogastronomici, ogni Sabato e Domenica, dal 13 ottobre al 4 novembre.

I turisti saranno accolti da associazioni del luogo impegnate nella salvaguardia e nella valorizzazione dei beni culturali e potranno visitare, oltre al patrimonio artistico, le aziende agricole degustando le eccellenze delle loro produzioni. 
L’esperienza del tour multisensoriale sarà proposta principalmente alle strutture ricettive di Napoli e Caserta che ospitano turisti provenienti da altre regioni.


LE DATE

Questo il programma delle tappe organizzate dall' azienda speciale della Camera di Commercio di Caserta per i servizi innovativi del Turismo e lo Sviluppo Integrato:

Sabato 13 ottobre- L’Esperienza del Romanico, il mondo delle Castagne Sessa Aurunca-Roccamonfina 

Domenica 14 Ottobre- Itinerario Caleno-Sidicino e Dolci Sapori Calvi Vecchia-Teano 

Sabato 20 Ottobre- Itinerario del Falerno, Fra Romanità e Primi Cristiani Francolise-Carinola 

Domenica 21 Ottobre - Da Spartacus al Barbarossa, una Terra da Scoprire Capua-Santa Maria Capua Vetere 

Sabato 27 Ottobre - La Porta del Matese, tra Sapori e Tradizioni Piedimonte Matese-Alife

Domenica 28 ottobre -Agricoltura e Tradizioni nell’ itinerario medievale Caiazzo-Piana di Monte Verna-Casertavecchia 

Sabato 03 Novembre-Itinerario Normanno e dell’ Asprinio Aversa-Succivo 

Domenica 04 Novembre-Itinerario del ‘700 e dell’ “oro bianco” San Leucio-Caserta

Sabato 20 Ottobre nell'ambito dell'Itinerario del Falerno, Fra Romanità e Primi Cristiani Francolise-Carinola sarà possibile visitare la villa rustica di San Rocco a Francolise.



Francolise, villa rustica San Rocco, particolare dei mosaici


Francolise, villa rustica San Rocco, particolare dei mosaici

Si tratta di una tipica villa rustica del tardo periodo repubblicano, abitata dalla fine del II sec. a.C. al II sec. d.C. 
Il sito è ubicato in località San Rocco, in un territorio che in epoca romana si trovava probabilmente ai confini dell’Ager Calenus e dell’Ager Falernus.  La superficie iniziale era di circa 800 mq. che venne successivamente ampliata a circa 4.400 mq. Gli scavi vennero effettuati negli anni 1962-64 sotto la direzione della Dr. M.A. Cotton, per conto della Scuola Britannica di Roma e finanziati dalla fondazione Batchelor e dall’Università di New York. 
La villa comprendeva circa 30 stanze e l’approvvigionamento idrico era assicurato da tre grosse cisterne. Era articolata intorno ad un ampio peristilio, circondato da quatto portici colonnati, la cui pavimentazione consisteva in un mosaico costituito da tessere bianche inframmezzate da piccoli frammenti di pietra colorata, con un bacino o fontana di marmo nel mezzo del giardino. Gli ambienti principali, anch’essi pavimentati con mosaici, comprendevano un tablinum ed un triclinium, che rappresentavano rispettivamente soggiorno e sala da pranzo. Vi erano inoltre una serie di cubicula, piccoli ambienti destinati a vari usi, un terrazzo con portico coperto e, nella fase dell’ampliamento, furono realizzati degli ambienti termali comprendenti un praefurnium, un frigidarium, un tepidarium con piscina e un calidarium; queste ultime due stanze furono pavimentate con grandi lastre di marmo cipollino.




Visite guidate alla Rocca Montis Dragonis


Tra le prime proposte che l'Amministrazione comunale, guidata dal Sindaco Giovanni Schiappa, ha adottato è stata quella di prevedere per il Museo Civico che l'Assistenza Museale non fosse più gestita in via diretta ma affidata ad una short list aperta di Associazioni culturali al fine di conseguire un doppio obettivo.

Il primo quello di un risparmio di risorse per l'Ente, il secondo  quello di favorire l'auto imprenditorialità di tanti giovani archeologi operanti nel settore dei Beni Culturali.
Nelle more del perfezionamento dell'Avviso Pubblico è pervenuta la prima iniziativa da parte di una Associazione che, unitamente alla Pro Loco Mondragone, organizzerà nei weekend di settembre ed ottobre 2012 delle visite guidate presso gli scavi archeologici del sito fortificato medievale di Rocca Montis Dragonis.
"Con il Museo Civico vogliamo avviare una sperimentazione che sappia coniugare risparmio e capacità di innovazione" commenta l'Assessore Francesco Nazzaro "Il nostro territorio offre importanti risorse archeologiche che dobbiamo rendere, in modo semplice e diretto, fruibili con continuità al grande pubblico. Ritengo fondamentale l'apporto che potranno dare le tante Associazioni culturali costituite da giovani laureati in Archeologia e Beni Culturali, con il risultato finale di uno slancio turistico per Mondragone associato alla creazione di opportunità di lavoro"
Le visite verranno, come già avvenuto nei precedenti anni, da professionisti operanti nel settore dei Beni Culturali quali archeologi, conservatori e restauratori. Le guide offriranno al pubblico partecipante una esperienza di pieno avvicinamento alle memorie storiche, artistiche e paesaggistiche del luogo, caratterizzandola attraverso una visione scientifica e storica che permetta al visitatore di percepire quelle che sono delle dinamiche di conservazione e valorizzazione necessarie per la tutela e la salvaguardia del patrimonio archeologico, anche a carattere locale.
La fruizione del sito sarà possibile in concomitanza con la XII campagna di scavo archeologico, di cui la Direzione Scientifica è affidata al Museo Civico Archeologico ‘Biagio Greco’ di Mondragone nella persona del dottor Luigi Crimaco e della professoressa Francesca Sogliani.
"Saluto con piacere l'iniziativa dell'Associazione Hemera" commenta il Sindaco Giovanni Schiappa "Si offre ai tanti appassionati di archeologia l'opportunità di visitare uno dei più importanti cantieri di scavo della Regione Campania, che sta riportando alla luce importanti reperti oggi esposti al Museo Civico. Si tratta di una occasione importante per conoscere la nostra storia ma anche le belezze della nostra Città"
L’organizzazione e la promozione delle visite è a cura dell’Associazione Culturale Hemera e della Pro Loco di Mondragone. Ai partecipanti verrà richiesto un contributo di € 2,50 a persona che sarà destinato per la pulizia dalle piante infestanti del Parco archeologico dell’Appia antica
Per contatti: 

hemera.associazione@gmail.com - 327- 40 33 458


Rocca Montis Dragonis, interno 

Rocca Montis Dragonis, la chiesa


venerdì 28 settembre 2012

Mario Conte, primo sindaco di Mondragone dell'era repubblicana



Mario Liberato Conte
Agli inizi del 1946, c’era l’Italia intera da ricostruire e c’era un piccolo paese, Mondragone da riedificare non solo con i mattoni, ma nello spirito.
La Mondragone del dopoguerra cominciava a ripopolarsi: ritornavano gli sfollati alle loro case, ai loro campi. Il paese era quasi inesistente, non vi erano strade degne di tale nome, le linee di comunicazione erano precarie, il raccordo con i paesi vicini tutto da inventare.
Era necessario ricostruire i ponti interrotti che scavalcavano i torrenti e i canali, alcuni dei quali scavati dalle mine dalle truppe americane che avevano fatto di Mondragone un quartiere militare; bisognava riattivare le poche condotte idriche, costruire fogne, riorganizzare la vita civile, risanare i campi, rilanciare le culture tradizionali di un paese profondamente legato alla campagna ed alla vita rurale.
Mario Conte, poco più che ventiseienne, il 31 marzo di quell’anno veniva eletto Sindaco con il voto unanime di tutti i 25 consiglieri del Comune. Primo sindaco dell’era repubblicana.

Mario Conte con alcuni alti ufficiali anglo-americani

Mario Liberato Conte era nato a Mondragone il 28 luglio 1919 da Pasquale e da Ernestina Ruosi.
Laureato in Scienze Matematiche; Preside di Scuola Media; meritò nel 1956 la Croce di Cavaliere al merito della Repubblica Italiana e nel 1957 quella di Commendatore; nel 1978, per i meriti nel campo dell’educazione e della Scuola, ottenne il diploma di prima classe e la Medaglia d’oro ai Benemeriti della Scuola, della Cultura e dell’Arte.
Sindaco di Mondragone dal 7 aprile 1946 al 25 maggio 1952; consigliere comunale dal 31 marzo 1946 al 25 giugno 1983; consigliere alla Provincia di Caserta, ininterrottamente, dal 1960 al 1975 e sempre alla Provincia di Caserta fu Assessore al Bilancio, alle Finanze ed alla Pubblica Istruzione.
Fu socio fondatore della Pro Loco di Mondragone e del Patronato scolastico; presidente delegato del Comitato Antitracomatoso di Caserta e consultore del Consorzio per la Tutela della Pesca di Caserta.
Candidato al Senato nel P.L.I. fu primo per numero di preferenze in tutta la Regione Campania mancando l’elezione a Senatore per pochissimi voti.
Morì in Mondragone l’8 aprile 1985.


Mondragone, piazza Umberto I° (foto d'epoca)

E’ raro e difficile per chi è impegnato nella vita pubblica riuscire a conciliare con lo stesso ardore e con la stessa abnegazione, l’attività politica, la cura della famiglia e la dedizione alla scuola.
Mario Liberato Conte seppe realizzare in sé tutte queste aspirazioni. E lo fece in piena consapevolezza, come rivelano le parole con le quali si congedò dalla vita:
Ho amato perdutamente la Famiglia, la Scuola, la Città e la Provincia.
Testamento spirituale che ci dà la misura dell’uomo, dell’educatore, del cittadino, del politico.

Mondragone, piazza Umberto I°,  Mario Conte durante un comizio elettorale (foto d'epoca)

Una vita di pensiero e di azione quella di Mario Liberato Conte, che si direbbe improntata all’epica risorgimentale, se non fosse per una perspicacia maggiore, per una capacità di superare ogni barriera ideologica a favore di un pragmatismo lucido, a volte spregiudicato, ma machiavellicamente volto a realizzare il bene pubblico, l’interesse della collettività.
Educato agli studi liberali che non cozzavano contro gli interessi scientifici, Mario Conte fin dagli studi liceali e poi universitari, diede prova di una particolare acutezza nell’analizzare la realtà sociale e politica.
A distanza di anni Mario Conte viene sempre più identificato come colui che ha promosso la ricostruzione di Mondragone nel dopoguerra: il primo sindaco repubblicano e democratico di Mondragone.

Foto e testo sono un estratto dal CD "Ricordando Mario Conte" realizzato a cura dei figli Ernestina ed Ugo Conte, da Francesco De Gregorio, aprile 2010. Voce narrante Roberto Stati

mercoledì 6 giugno 2012

Santa Maria la Fossa nei documenti storici del XII-XVI sec.


Fin dalla presentazione al pubblico ed agli studiosi, avenuta nel giugno 2012, il libro I più antichi documenti di S. Maria La Fossa – Greci ed Ebrei (XII – XVI sec.) dello storico Giancarlo Bova, suscitò notevole interesse non solo tra gli addetti ai lavori, ma anche tra la gente semplice della cittadina posta sul Volturno a cui veniva dato il senso della memoria della propria storia e delle origini dei propri avi.
L'Autore presenta in maniera così viva la complessa documentazione relativa al centro rivierasco, che al lettore sembra quasi di essere presente alle aste pubbliche del tempo e di trovarsi al cospetto dell'arcivescovo Stefano o della badessa Galgana o anche dei giudici riuniti in platea iudicum a Capua, mentre concedevano le terre agli abitanti della località, tra cui si ricorda una terra del giudice Pietro de Vinea. Interessanti le notizie sui servizi personali che i fittavoli di alcune terre dovevano prestare alla badessa del monastero di S. Giovanni delle Monache. Altrettanto importanti i riferimenti circa la presenza di numerosi greci nella zona, oltre a quella degli ebrei, tra cui vengono ricordati i fratelli Filippo e Pietro cognomine Medici, figli del fu Pietro eiusdem cognominis, abitanti a Capua (1196), i quali risultano concessionari di una villa rustica a S. Maria la Fossa e sono citati anche come Pietro cognomine Ebreus, fratello dell'arciprete Filippo Medico, figli del fu Pietro eiusdem cognominis (1216). 
L'Autore, che per primo ha studiato i formulari e i signa dei notai e giudici capuani, identifica il signum del notaio Petrus Medicus. Certa la presenza nel territorio della famiglia Cavalcanti di Firenze e non manca la notizia di un'incursione di Ungheri (1349). Ai primi del '500 abitava nei paraggi anche un fratello di Ludovico de Abenavolo, l'eroe della disfida di Barletta (1503).Attraverso questo bel libro Bova restituisce al culto dei fedeli di S. Maria la Fossa il meraviglioso affresco della Madonna del Rosario tra i Santi Filippo e Giacomo (XIII sec.), la cui devozione ha visto affollare per otto secoli la stupenda chiesa parrocchiale di Maria Ss. Assunta in Cielo (X-XIII sec.).

“Attraverso lo studio degli atti giuridici è possibile vedere molto bene l’evoluzione del centro  medievale, denominato dapprima locus S. Marie que dicitur alla Fossa (1121), chiamato poi villa S. Marie ad Fossam pertinenciarum Capue (1492). Si tratta di un villaggio lungo il fiume Volturno, dove i mercanti provenienti da Castelvolturno si fermavano con le loro imbarcazioni nel porto Femirarum o Mulierum per vendere le loro merci, all’ombra della chiesa dedicata alla Vergine Assunta (X – XII sec.), che rappresentava un asilo di pace per quegli uomini affaticati e per tutti gli abitanti.” 

E’ questo lo scopo che ha motivato Giancarlo Bova, storico di fama internazionale, nella stesura del libro “I più antichi documenti di S. Maria La Fossa – Greci ed Ebrei (XII –XVI sec.)”: tracciare un profilo storico dell’antico borgo di S. Maria La Fossa, sia pure per relata, attraverso la lettura delle pergamene che danno atto delle vendite, concessioni in enfiteusi o in estaglio, conferme, cessioni, permute, donazioni, testamenti, contratti di divisione, etc. che avevano ad oggetto beni immobili che si trovavano ubicati presso l’antico borgo fossataro.

martedì 22 maggio 2012

Francesco Petrucci, conte di Carinola, e la congiura dei baroni

Carinola, Palazzo Petrucci


Al tempo della congiura dei baroni, le sorti dell'Italia erano nelle mani dei principi: il re di Napoli, Ferdinando o Ferrante, i papi -più sovrani temporali che guida morale della Chiesa-, Lorenzo de' Medici a Firenze, Ludovico Sforza a Milano, i duchi di Savoia e poi gli Estensi, i Gonzaga, i Malatesta, i Saluzzo, i Bentivoglio, i del Carretto... Nella Repubblica di Venezia il potere era nelle mani del Doge, controllato dal Consiglio dei Dieci, espresso dal patriziato iscritto nell'Albo d'Oro. Pace e guerra dipendevano in larga misura dalla personalità dei singoli signori, spesso dai loro capricci, dalle loro fobie. Perciò la nobiltà italiana era un intrigo di matrimoni e di delitti: i due strumenti fondamentali per annodare e sciogliere amicizie personali e alleanze politiche, fare e disfare dinastie e Stati.
Re Ferrante (o Ferdinando) d'Aragona, proclamato salvatore dell'Italia e dell'Europa per aver cacciato i Turchi da Otranto (1481), godeva fama di giudice d'Italia quale continuatore della politica di equilibrio scaturita dalla pace di Lodi (1454). Giunto al trono di Napoli nel 1459, poco più che trentenne, sin da quando ne aveva dodici s'era immerso nella vita militare e nelle lotte per il potere, al seguito del padre, Alfonso il Magnanimo.
Cervello e braccio della politica di re Ferdinando furono il suo segretario, Antonello Petrucci, asceso da umili origini a principale consigliere del sovrano, anche grazie alla fine educazione umanistica impartitagli da Lorenzo Valla e dal Pontano, e il conte di Sarno, Francesco Coppola, geniale organizzatore del commercio napoletano, socio del re in numerosi affari e dal quale ebbero impulso la lavorazione della lana e della seta, giunta ad assicurare il pane a una buona meta dei napoletani.
L'operosità dei due uomini venne ripagata da re Ferrante con la concessione di monopoli commerciali e titoli nobiliari. Dei figli di Petrucci, i primi due divennero conte di Carinola e conte di Policastro, il terzo arcivescovo di Napoli, il quarto priore di Capua. Proprio questi fedelissimi uomini del re nel 1485 presero l'iniziativa di una nuova grande rivolta feudale, detta per tradizione «congiura dei baroni».
Tra i «congiurati» si contò il meglio della feudalità meridionale:
Giovanni Caracciolo, duca di Melfi,
Pietro di Guevara, gran siniscalco,
Andrea Matteo Acquaviva, principe di Teramo,
Angilberto del Balzo, duca di Nardò,
don Antonio Genterelle, marchese di Cotrone,
Giovan Paolo del Balzo, conte di Nola,
Gaetano di Morcone,
Carlo di Melito e decine di altri feudatari che avevano alle spalle secoli di lotte per la difesa dei loro privilegi. Insieme a loro Francesco Petrucci, conte di Carinola e Giannantonio Petrucci, conte di Policastro, i figli di Antonello Petrucci.

La vera testa della congiura fu però la famiglia dei Sanseverino, che da secoli covava il tarlo della ribellione. Duecento anni prima, i Sanseverino s'erano messi contro l'imperatore Federico II, che li aveva sterminati. L’unico sopravvissuto si schierò con gli Angioini: ma i suoi discendenti non tardarono a combattere il ramo durazzesco degli Angiò.
I congiurati contavano su due aiuti fondamentali: il papa e la città dell'Aquila, la seconda del Regno, ove i Camponeschi guidavano la rivendicazione comunale di antiche «libertà» (cioè privilegi) contro il potere centrale. All’azione i baroni furono spinti dal timore di perdere l’ultima possibilità di rovesciare il re. Il 7 agosto 1484 in una locanda tra Bagnolo Mella, presso Brescia, era stata, infatti, stabilita la pace tra la Repubblica di Venezia e il duca di Ferrara, Alfonso d'Este. La «guerra di Ferrara» — che aveva messo in luce l'efficacia delle diaboliche artiglierie ducali contro il naviglio della Serenissima — aveva scosso gli equilibri della penisola, scatenando gli appetiti: un rischio troppo grosso per tutti, soffocato dall'intesa tra Ludovico il Moro di Milano, Lorenzo il Magnifico, Ferdinando di Napoli. Il focoso papa Sisto IV si era quindi visto costretto alla pace. Il suo maggior beneficiario fu proprio il re di Napoli, che così ottenne la restituzione di Gallipoli — già in mano veneziana —, da aggiungere a Otranto, che fu strappata al Turchi dal figlio, Alfonso duca di Calabria. 
Per i baroni era dunque l’ora d'agire, prima che fosse troppo tardi. Fu però proprio nell'ora dell'azione che i feudatari si  rivelarono incapaci, più che abili politici. Essi, infatti, non raggiunsero mai un vero accordo, né trovarono un’unica strategia. Parte puntò sul solito remoto e annoiato Giovanni d'Angiò, scontentando i feudatari comunque legati a interessi aragonesi; altri confidarono nel secondogenito del re, Federico; taluni rimasero dubitosi, badando ai propri vantaggi di bottega.  Neppure il prefetto di Roma e strumento del papa, Giovanni della Rovere, unito a doppio filo con i Sanseverino, riuscì a trovare il bandolo di una rivolta che rimaneva allo stato di caotica ribellione.
I congiurati continuarono ad avanzare in ordine sparso, ma, come osservò il primo e acuto storico della congiura, Camillo Porzio,
si è per lunga esperienza conosciuto che le guerre che commuovonsi con le forze di molti capi, arrecano agli assaliti più spavento che danno, conciossiaché la moltitudine, l’egualità e la diversità de' fini che gli induce a guerreggiare possono infra di loro agevolmente produrre differenze.
Di tutt'altro tenore fu la risposta del re, il cui braccio militare era Alfonso di Calabria, suo figlio, un principe che sarebbe piaciuto a Machiavelli per la spietata fermezza spesa nella difesa dello Stato, senza alcuna remora, giacché — dice il Porzio — avendo superato d'un tratto qualsiasi misura nella crudeltà, giudicava che nulla ormai gli fosse proibito. La spietatezza, del resto era l'unico strumento col quale i sovrani potessero sperare di stabilire la loro autorità dinanzi a sudditi ribelli in un’età che, a causa della diffusione delle armi da tiro, stava lentamente modificando i tradizionali rapporti di forza tra principi e sudditi. Alfonso riuscì a tenere in scacco il nemico più pericoloso, Roberto Sanseverino.
Lo scontro decisivo non ebbe luogo nel Reame di Napoli, bensì a Montarlo, nello Stato della Chiesa, tra Orvieto e Acquapendente (7 maggio 1486). Li, validamente appoggiati da Virginio Orsini e da truppe di Ludovico il Moro e di Lorenzo il Magnifico, gli Aragonesi ebbero la meglio su Roberto Sanseverino. All’interno del Regno la rivolta si frantumò in una serie di piccoli scontri, spesso d'esito incerto. La stessa durata del conflitto — come spesso accade — fini per giovare a chi aveva più risorse, cioè al re: che poteva durare più a lungo e aveva una sola linea di condotta, mentre tra i baroni i contrasti divennero insanabili.
Fuggito Federico, figlio di re Ferrante, da Salerno, dove era tenuto prigioniero dei baroni che invano avevano sperato di contrapporlo al padre, con gli altri figli, Francesco, Cesare e Ferrandino, re Ferdinando ebbe mano libera contro i congiurati. In suo soccorso giunsero anche truppe dalla Sicilia, da Ferdinando il Cattolico, re di Spagna, interessato a sostenere la dinastia, consanguinea, degli Aragonesi, e da Mattia Corvino, re d'Ungheria, la cui moglie. Beatrice d'Aragona, figlia di re Ferrante, aveva fatto di Budapest un fiorentissimo centro di cultura umanistica.

Arrestato per complicità nella congiura, Giannantonio Petrucci, conte di Policastro, imparentato con i Sanseverino per aver sposato Sveva Sanseverino, figlia del conte di Lauria, fu condannato a morte e giustiziato il 13 novembre 1486 insieme col fratello, conte di Carinola: sei mesi prima del padre, affinché quest'ultimo assistesse alla rovina della sua famiglia e assaporasse sino in fondo l'implacabile vendetta del re, da lui tradito.
Giannantonio fu decapitato. Peggiore fu la sorte del fratello Francesco, conte di Carinola, giustiziato lo stesso giorno.
Data la sentenza, narra Camillo Porzio, non ordinò Ferdinando che in un dì morissero tutti o perché dividendo quella rigida giustizia venisse in più fiate a spaventare gli uomini o perché volle mostrare venirvi forzato. Sicché a tredici di novembre dell’ottantasei fe’ morire li conti di Carinola e di Policastro senza aver punto riguardo alla dignità che tenevano o all’essere stati suoi servidori antichi e famigliari. Perciocché il conte di Carinola gridandogli avanti il banditore la qualità del suo fallo fu per li più frequenti luoghi della città da una coppia di buoi strascinato e poi in sul mezzo del mercato scannato ed in più pezzi diviso lungo tempo avanti le principali porte di Napoli obbrobriosamente rese testimonianza della leggerezza ed infedeltà sua. Nè poté in guisa alcuna la procurata affinità degli Orsini non che campargli la vita ma né l’infamia della morte alleggerirgli i quali intenti col re per li freschi servigi a nuovi meriti l’uno e l’altro dovettero trascurare e rade volte avviene oggidì che l’obligo del parentado al proprio comodo prevaglia. Al conte di Policastro fatta che fu mozzar la testa fu conceduto a frati Domenicani che alla cappella del padre lo riponessino.