La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

lunedì 8 dicembre 2014

La Madonna delle Grotte nel teatro romano di Teano




L’altare della Vergine nel luogo conosciuto come "le Grotte” ha fatto ribattezzare l’area col nome di “Madonna delle Grotte”. Il percorso stradale che dal Savone attraversava i resti del teatro appare già nella pianta di G.B. Pacichelli (1703): l’altare doveva esistere già all’epoca eretto a protezione del viandante, costretto ad attraversare le rovine del teatro e possibile vittima di agguati e rapine nell’ultimo tratto del percorso verso la città di Teano.


Teano. Teatro romano


Con il secondo conflitto mondiale e l’abbandono a più riprese dell’area della città alta, la zona del teatro cominciò ad essere utilizzata stabilmente come rifugio. Testimonianze orali ricordano come durante il bombardamento del 6 ottobre del 1943 molti civili fossero scampati alla morte fuggendo terrorizzati nelle campagne e trovando scampo anche tra le mura del teatro. Cessate le ostilità, l’esultanza per essere sopravvissuti alla guerra ed aver evitato la deportazione in Germania, si trasformò in preghiera di ringraziamento alla Vergine.
Da quel momento e in occasioni delle celebrazioni del mese di Maggio e di Settembre si celebrò un culto, si decise di restaurare periodicamente l’altare e di posizionare una lamina di stagno con l’immagine dipinta della Madonna, ponendola al di sopra del vecchio affresco rovinato dal tempo.


Teano. Teatro romano
L'altare della Madonna delle Grotte addossato al muro di fondo dell'ambulacro superiore



Il testo è tratto dal cartiglio apposto nei pressi dell'altare.
Le foto sono di Salvatore Bertolino 

domenica 7 dicembre 2014

Teatro di Teanum Sidicinum




Il Teatro si trova nell’area della così detta città bassa, sulle pendici orientali dell’altura denominata Villino S. Antonio, a brevissima distanza dalla zona di San Pietro a Fuoco, identificata con il Foro. 
Il più antico teatro fu costruito alla fine del II secolo a.C. con muri e volte in opera incerta che sorreggevano la cavea: si tratta del più antico esempio di tale tipo di teatro in Italia. Il monumento formava un complesso unitario con un santuario, con ogni probabilità dedicato ad Apollo, costruito su una terrazza artificiale posta alle spalle della cavea, dalla quale era raggiungibile attraverso due rampe sotterranee. Il teatro fu ingrandito agli inizi del III secolo d.C. con lavori iniziati per volontà dell’imperatore Settimio Severo, conclusi sotto il regno di Gordiano III.
La cavea, suddivisa in quattro ranghi di sedili, raggiunse 85 metri di diametro e fu costruito un grandioso edificio scenico alto più di 25 metri. Un colonnato concludeva la sommità dell’edificio. 


Teatro di Teanum Sidicinum.
Ambulacro superiore, oggi adibito ad Antiquarium


La scena fui decorata con colonne ricavate nei marmi più preziosi proveninenti da tutto l’Impero e impreziosita da rilievi con Vittorie e trofei, lastre con maschere e da un grande numero di statue in marmo greco raffiguranti sia divinità, sia personaggi illustri della città e membri della famiglia imperiale.

Teatro di Teanum Sidicinum.
Capitello in marmo
Teatro di Teanum Sidicinum.
Statua in marmo rappresentante figura femminile

In età medievale il teatro fu prima una cava a cielo aperto, poi sulle sue macerie fu costruito un piccolo quartiere artigianale e di residenza.
Nel XVIII secolo sulle rovine passava la strada che conduceva alla rocca.


Il testo è tratto dal Cartiglio apposto all'ingresso della struttura.
Foto di Salvatore Bertolino

sabato 6 dicembre 2014

A Marzano Appio, Festa della Biodiversità e del Miele in Terra di Lavoro.



L’idea di una Festa della Biodiversità e del Miele in Terra di Lavoro nata dalla convinzione del gruppo Api&Biodiversità di Terra di Lavoro, (animato da Gabriele Rossi, Cataldo Pecoraro,Antonio De Matteo e Christian Pilotti), per lanciare un forte messaggio di valorizzazione del miele e per unire tutti coloro che hanno a cuore la qualità della vita e dell’ambiente, diffondendo sempre più la cultura del miele italiano e delle qualità ecosostenibili in Terra di Lavoro.

Nell’incantevole scenario dell’Oasi Regina degli Angeli a Marzano Appio, nella frazione Ameglio, si celebra il 7 dicembre 2014, Festa di Sant’ Ambrogio, patrono delle Api, una Giornata dedicata a questi straordinari insetti, al miele e agli apicoltori:

la Festa della Biodiversità e del Miele 
in Terra di Lavoro

L’evento, organizzato dal Gruppo Api&Biodiversità di Terra di Lavoro, si avvale del Patrocinio della Provincia di Caserta, della collaborazione di Legambiente-Altocasertano “L’Istrice”, di Apitalia, della Fondazione Onlus Oasi Regina degli Angeli di Ameglio di Marzano Appio, del Coro della Chiesa di San Cataldo di Roccaromana
Media Partner Campaniaslow con la collaborazione di numerosi sponsor privati e strutture ricettive dell’alto casertano.

Il programma prevede dopo i saluti di benvenuto
  • ore 10.30 -  “Gaia e Biodiversità, Patrimonio Comune dell’Umanità” a cura del prof. Agronomo Gabriele Rossi; 
  • a seguire una degustazione di dolci a base di miele, 
  • ore 11.30 -  “Biodiversità e Multifunzionalità a cura del dr. Francesco Sabatino, agronomo e studioso del territorio;
  • ore 12 “Api e Clima: L’armonia perduta, il miele come sapore della Terra” .
  • ore12,30 - “L’Ape nell’iconografia dei santi, nell’araldica, nell’arte”
  • a cura di Pierluigi Pulcini:

Previsto, per coloro che vorranno prenotare, il pranzo in comunità cui seguirà la catechesi presso la Chiesa con Santa Messa.

L'Oasi Regina degli Angeli (foto da internet)

L’Oasi Regina degli Angeli, sorge in un magnifico scenario naturalistico, nel 1998 animata da un  piccolo gruppo di ragazzi e da un sacerdote, Padre Carmine Zaccariello sull’esempio delle prime comunità apostoliche. Alla base la condivisione di tutto: fraternità, preghiera e lavoro. Il tutto risale ad una piccola casetta di legno immersa nel verde e nel silenzio del bosco, alle pendici di un colle. Oggi, dopo un lungo e faticoso cammino, è diventata una realtà in cima alla collina, capace di ospitare non più un piccolo gruppo, ma una grande famiglia che condivide lo stile evangelico


martedì 2 dicembre 2014

"Dissertatio de Agro et vino Falerno" di Karl Friederik Weber




E’ un libro “uscito fuori” dall’oblìo del tempo, quasi per caso.
Ce lo racconta il nostro conterraneo dott. Ugo Zannini, appassionato archeologo, nella prefazione alla ristampa anastatica del 1990:
Come quasi tutte le scoperte anche questa è casuale. Nel leggere la corrispondenza epistolare, tra l’illustre archeologo napoletano Giulio Minervini ed il canonico capuano Gabriele Iannelli mi imbattei in una lettera datata 23 marzo 1859 che alla fine così recitava: “Opportunamente vi prego a favorirmi ancora in procurarmi, se vi è possibile, l’opera del Weber De agro et vino Falerno, che avete accennato nel vostro Bullettino….”.
Dopo laboriosi controlli bibliografici e lunghissime ricerche l’edizione originale fu rinvenuta presso la biblioteca dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma.

Riprodotta anastaticamente, insieme alla cartina della Regio Falerna rinvenuta allegata all’edizione originale, con traduzione in italiano del prof. Fernando Tommasino e con nota storica del prof. Giuseppe Guadagno, è stata edita dall'Istituto Grafico Editoriale Italiano, 1990, a cura dell’ArcheoClub di Falciano del Massico.

La cartina della Regio Falerna

Karl Friederik WEBER, professore nell’Università di Marburgo (Germania), venuto a Napoli, conosce il vino Falerno e stimolato dal nome, che per lui filologo è pieno di fascino, compone nel 1855 questo studio che rappresenta, ancora oggi, l’unico contributo organico e completo sul territorio e sul vino Falerno.


Copertina del testo nell'edizione originale.
Esemplare conservato nella University of Virginia Library (da Google book)

L'incipit dell'opera 

domenica 30 novembre 2014

Il vino FALERNO: la leggenda delle sue origini



Vigneto alle pendici del monte Massico


Il nostro territorio, l’Ager Falernus, è stata la culla della prima "DOC" al mondo, vi si produceva, infatti, il vino più famoso dell'antichità: il Falerno, in un piccolissimo territorio, lungo l’asse della via Appia, nella zona tra le odierne Mondragone, Falciano del Massico e Carinola, ai piedi del monte Massico.

 
L'Ager Falernus 
 da: Prospettive di memoria.
Testimonianze archeologiche dalla città e dal territorio di Sinuessa


Su questo vino sono state scritte centinaia e centinaia di pagine, di versi e di leggende. Gran parte degli scrittori latini hanno tessuto l’elogio del Falerno (Cicerone, Macrobio, Varrone, Diodoro Siculo, Virgilio, Orazio, Dionigi d’Alicarnasso, Tito Livio, Vitruvio, Tibullo, Ovidio, Plinio il Vecchio, Marziale, Silio Italico, Stazio, Catullo), tutti ne hanno celebrato le lodi. 


D’altra parte della qualità e della fama raggiunta dal Falerno ne è prova anche il costo elevatissimo: al riguardo, molto importante è una scritta ritrovata a Pompei, incisa sul muro di una taberna, ove «Edoné fa sapere: qui si beve per 1 asse; se ne paghi 2, berrai un vino migliore; con 4, avrai vino Falerno» (CIL IV 1679).


Invitto Castrense, 
abbi propizi 
i tuoi tre dei 
cosí come li abbia tu che ora leggi.
Viva Edonè! 

Salute a chi legge.
Edonè vi dice:
Qui si beve per un asse, 

ma se me ne dai due berrai vini migliori; 
se poi me ne dai quattro 
ti faró bere del Falerno.
Viva Castrense!


Iscrizione dagli scavi di Pompei - Taberna di Edoné
www.pompei.numismaticadellostato.it/tappa03.html


Falerno, un vino il cui nome deriva da quello di un vecchio contadino proprietario di un podere nella regione del Massico, che un giorno ricevette la visita del dio Bacco, secondo una leggenda tramandataci da Silio Italico, scrittore latino del I secolo d.C., autore di Punica, il più lungo poema della letteratura latina che ci sia pervenuto, dedicato al racconto della II guerra punica tra Roma e Cartagine.
Prima di passare alla leggenda occorre ricordare i fatti storici: siamo all’incirca nel 212-211 a.C., le truppe cartaginesi si sono stanziate a Capua in attesa di rinforzi da Cartagine, oppure che altre città italiche seguano l’esempio di Capua, schierandosi contro Roma.
In questa fase della guerra Annibale, frustrato dall’accorta condotta di Fabio Massimo (il Temporeggiatore) comandante delle legioni romane, sta mettendo a ferro e fuoco l’ager Falernus; tra le file romane comincia ad emergere un effetto indesiderato della strategia di Fabio Massimo, il malcontento dovuto al senso di frustrazione; Fabio Massimo è quasi chiamato a giustificare la sua strategia e la sua tattica di attesa. Annibale sa come alimentare i sospetti contro l’avversario e risparmia dal saccheggio e dalla distruzione proprio un piccolo podere che Fabio Massimo possedeva nel Massico.

Vigneto alle pendici del monte Massico

Qui si innesta da parte di Silio Italico la leggenda del Falerno con il racconto della visita del dio Bacco al vecchio Falerno.
Durante l’età dell’oro, nel corso di un non meglio precisato viaggio ai lidi estremi d’occidente, Bacco sosta presso un vecchio contadino del Massico. Ignaro della natura divina dell’ospite, Falerno lo accoglie e gli mette a disposizione tutto quanto la sua dimora può offrire con l’energia e l’entusiasmo di un giovanotto: una mensa imbandita di frutti dell’orto, latte, favi di miele, pane, e al termine l’offerta rituale delle primizie. Lieto di ciò, Bacco fa dapprima in modo che tutti i recipienti della masseria (le tazze, ma anche i secchi usati per la mungitura) si riempiano del nuovo e profumato succo dei grappoli infine si rivela nella sua natura divina.
Il racconto si chiude con la divertente immagine del vecchietto felice e ossequioso, che barcolla in preda ai fumi dell’alcool prima di cadere in un sonno profondo: l’indomani la regione si sarebbe risvegliata tutta ricoperta di folti filari di viti.
 
Mondragone. Vigneto in località Tre colonne