La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

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sabato 17 gennaio 2015

Immortale Falerno! Nettare degli dei...


Manuela Piancastelli, valente giornalista de IL MATTINO, in un suo lavoro I Grandi Vini della Terra di Lavoro, parlando del Falerno dice:

Il vino più famoso dell’antichità in assoluto, fu il Falerno. E fu anche la prima doc del mondo perché, per la prima volta nella storia, il vino fu identificato nel territorio, ossia in quell’Agro Falerno sui cui confini si sono accapigliati per secoli gli studiosi, ma che doveva avere il cuore  nella zona tra Mondragone, Falciano e Carinola, ai piedi del monte Massico e che si estendeva lungo l’asse dell’Appia.
La storia ci racconta che i Greci, quando arrivarono in Italia fondando Cuma nel 730 a.C:, portarono come corredo anche alcune viti, le cosiddette aminee delle quali, nonostante la mole di studi, si sa in effetti ben poco. Plinio nella Naturalis Historia e Columella nel De re rustica, qualche secolo dopo, ne fecero una sorta di classificazione (maiuscola, minuscola, e gemella, cui fu aggiunta la germana e la lanata) che però ci aiuta poco nell'identificazione di quei vitigni con quelli attuali.


Mi sono imbattuto, facendo nelle mie ricerche, in un articolo a firma di Giovanni De Stasio, originario di Falciano del Massico, apprezzato giornalista de Il Mattino, Il Giornale di Caserta, Il Corriere del Mezzogiorno, autore di una pubblicazione proprio sul Falerno, di cui è un ottimo produttore, pubblicato su Caserta Economia & Lavoro, rivista on-line edita dalla Camera di Commercio di Caserta.

Il vino Falerno da nettare degli dei alla conquista di Parigi e del vitigno Primitivo

"Il vino è il canto della terra verso il cielo".
Così scriveva Luigi Veronelli considerato il più grande cantore moderno del vino che ha contribuito a fare la storia, la civiltà dei popoli. Il vino è il Falerno, considerato il "number one" dell'enologia antica e moderna. Il più antico, il più blasonato, il più celebre, il più caro vino della storia! 
La più inebriante bevanda dell'umanità. Una cosa è certa: il Falerno è la Storia. Come la Storia dell'antichità e della modernità. L'eternità! Certo nessun altro elemento resiste all'inesorabile usura del tempo, a dargli la paternità di infinità è il grande Marziale quando lo definisce "Immortale Falernum". Evidentemente presagiva che il Falerno conservasse la sua fama imperitura. Veramente un dono di Dio se si pensa che questa magica bevanda aveva svolto un ruolo, importante nella storia, nella cultura, nella tradizione, nell'economia dei popoli. Per non parlare dei suoi effetti miracolosi nel campo dell'amore, tanto da essere definito, dall'ex presidente dell'ordine regionale dei giornalisti Ermanno Corsi il "moderno Viagra". Ma non è che nell'antichità romana non avessero, sperimentato gli effetti afrodisiaci del Falerno. Lucano scriveva che il Falerno dava spinte vigorose e penetranti agli incontri di Cleopatra.
Ma è tutto il Parnaso latino ad elevare il suo inno di gloria al Falerno. Tutta la poesia e tutta la letteratura romana antica pullulavano di panegirici al Falerno, quasi considerandolo come un dio della salute e dell'amore. “Nettare degli dei ..... Massico umore di Bacco", il "vino degli imperatori" così veniva declamato nell'antichità latina. Basti ricordare che a quei tempi una cena, un pranzo per essere dichiarati "importanti e di lusso" dovevano essere innaffiati dal vino Falerno, che si fregiò della prima DOC al mondo.
Il grande Cesare festeggiò i suoi successi bellico-politici con il Falerno. E quando non si aveva la fortuna di possederlo, ci si scusava - come successe ad Orazio - che avendo invitato a cena si giustificava di non potergli offrire il mitico Falerno. Ma innaffiò le cene pantagrueliche di Trimalcione e Damisippo, dove avevano partecipato i potenti di allora.
Virgilio, nel secondo libro delle Georgiche scriveva che il Falerno non aveva rivali. Orazio definiva il Falerno un vino "severus", "fortis" e "ardens"; Marco Terenzio Varrone annetteva al Falerno una fortissima spinta propulsiva tale da chiamarlo "incendium virium"; Marziale lo inneggiava "Immortale Falernum"; non meno elogiativa l'espressione di Plinio che lo chiamava "auterumm"; Dionigi di Alicarnassa "soave e pulchri coloris"; Strabone "vinum optimum".
E quale l'apprezzamento del re del foro romano Cicerone? "firmissimum, generosum ac praecipuae bonitatis". E del poeta dell'amore Catullo? "Minister vetuli, puer, Falerni niger mihi calices amariores". 
Insomma tutta la produzione letteraria antica lo aveva consacrato il migliore vino del mondo, e logicamente il suo costo era altissimo. Una bottiglia di Falerno, sotto Diocleziano costava - così come riportano i classici latini - 60 dinari, ossia - osservava lo storico-archeologo Giuseppe Guadagno - "due Padreterni". Un'altra testimonianza sul prezzo del Falerno è di Falerno che scrive: “Il falerno costa molto”; Diodoro Siculo scriveva che un'anfora di quel vino si comprava con trentatre dinari. Con cento dinari si compravano due buoi o quattordici quintali di grano. Ad Ercolano - dice sempre Diodoro Siculo - con un bicchiere di Falerno si compravano le buone prestazioni di due etere. Insomma, il Falerno era così richiesto che la sua produzione non riusciva a soddisfare le tantissime richieste, tanto che esso veniva frequentemente falsificato. Regge gli anni di invecchiamento? Ecco una testimonianza dai classici: dal Satiricon di Petronio: "Intanto, vengono portate anfore di vetro, accuratamente sigillate col gesso; sull'etichetta di tela, che era attaccata al loro collo, si leggeva: Falerno del consolato di Opimio anni cento. Mentre guardavamo questa scritta, Trimalcione battè dolorosamente le mani dicendo: Ahimè! Il vino ha dunque più lunga vita di noi fragili creature umane? Ma noi ci vendicheremo succhiandolo tutto. Nel vino è la vita. Questo poi è quello di Opimio, garantito".
E la fama del Falerno è sfociata nella leggenda. La mitologia racconta che il dio Bacco, proprio sulle falde del monte Massico, comparve sotto mentite spoglie ad un vecchio agricoltore di nome Falerno, il quale, nonostante la sua umile condizione, lo accolse offrendogli tutto quanto aveva, latte, miele e frutta. Bacco, commosso, lo premiò trasformando quel latte in vino che Falerno bevve, addormentandosi subito dopo. Fu allora che Bacco trasformò tutto il declivio di Monte Massico in un florido vigneto.


Mondragone, località Tre colonne

Ma quale la culla di questo vino leggendario?
Macrobio scrive testualmente: "Il territorio Falerno, il Falernus Ager, si estende tra il Monte Massico ed il Volturno e precisamente nel territorio dell'antica Calenum". Ambrogio Calepino; l'umanista bergamasco del tardo 400, precisa che il vino Falerno è quello delle pendici del Massico, tra Falciano, Casanova, Ventaroli e Cascano".
Il disciplinare per la Doc al Falerno prescrive, però, che si produca nei 5 Comuni di Falciano del Massico, Carinola, Mondragone, Cellole e Sessa Aurunca. Ma ora una domanda sorge spontanea: il Falerno contemporaneo è ritornato - dopo la falcidia della fillossera del 900 - ad essere il "number one" dell'enologia mondiale?
Con questo secolo è ritornato ad essere l'immortale Falernum, l'incendium virium", il "nettare degli dei" dell'antichità? La risposta - anche se i tempi sono cambiati - è positiva. Specialmente se il Falerno lo si ricava dal vitigno Primitivo. Sia l'ex star Veronelli (l'ipse dixit dell'enologia moderna) che Luigi Moio, una vera e propria autorità mondiale dell'enologia e definito il "poeta del vino", hanno con forza definito il Falerno il vitigno Primitivo. 
Vitigno uva Primitivo
Anche se il disciplinare della DOC prescrive i vitigni Aglianico, Piedirosso e Barbera. Forse rispetto a prima oggi il Falerno non gode del marketing di allora. Prima osannato ed incensato da letteratura e da imperatori, oggi il mercato è selvaggio e non vince sempre il migliore prodotto. L'intossicazione della propaganda e l'egemonia dei "maghi del vino" la fanno da padroni. Ed è difficile che l'eccellenza vinca sulla mediocrità. Oggi tanti titoli si comprano. Però, malgrado tutto, il Falerno non vince, ma neanche perde la sfida dell'attuale "mercato globale" governato dalla "competition is competition".
I convegni, i seminari, le degustazioni sul Falerno sono all'ordine del giorno. Ed anche gli elogi per le ebbrezze che si sono provate nella degustazione dell'attuale Falerno, sono copiosi ed entusiastici.
La laurea di ottimo vino al Falerno è venuta dal grandissimo attore Laurence Olivier. Durante la lavorazione del film su Lady Hamilton a Palazzo Reale a Caserta, l'attore fu ospite del preside Troianiello che coltivava il Falerno sui colli di Casanova di Carinola, sempre alle falde del mitico Monte Massico. Quando ritornò a Londra, Laurence inviò al preside un biglietto che recitava testualmente: '"La ringrazio per il suo immenso gradito regalo di quell'eccellentissimo Falerno. Lo berrò col roast beef come lei suggerisce".
Un altro significativo riconoscimento arrivò tempo fa da una iniziativa della Camera del Commercio di Caserta dove veniva fuori che "il Falerno conquista Parigi". Un conclave tra i maggiori critici enogastronomici italiani e stranieri, promosse a piene mani il Falerno. Ma il protagonista della "tre giorni", svoltasi sul litorale domizio, fu Alain Passard. Il cuoco francese, insignito di tre stelle Michelin e titolare dell'Arpage di Parigi, è ritenuto tra i dieci migliori cuochi mondiali. Passard mise insieme cucina francese e l'antico Falerno. E Francois Maussr presidente del Grand europee du vin francese (una delle più importanti associazioni di assaggiatori di vino disse che il Falerno ha tutti i numeri per competere con i grandi rossi bordolesi di Francia".
E tanti e tanti altri simposi elogiativi per questa magica bevanda. Bevanda che manda in estasi il grande giornalista Roberto Gervaso che, in un epinicio al Falerno, scriveva sulla prima pagina de "Il Mattino" che il Falerno favoriva il talamo.

domenica 30 novembre 2014

Il vino FALERNO: la leggenda delle sue origini



Vigneto alle pendici del monte Massico


Il nostro territorio, l’Ager Falernus, è stata la culla della prima "DOC" al mondo, vi si produceva, infatti, il vino più famoso dell'antichità: il Falerno, in un piccolissimo territorio, lungo l’asse della via Appia, nella zona tra le odierne Mondragone, Falciano del Massico e Carinola, ai piedi del monte Massico.

 
L'Ager Falernus 
 da: Prospettive di memoria.
Testimonianze archeologiche dalla città e dal territorio di Sinuessa


Su questo vino sono state scritte centinaia e centinaia di pagine, di versi e di leggende. Gran parte degli scrittori latini hanno tessuto l’elogio del Falerno (Cicerone, Macrobio, Varrone, Diodoro Siculo, Virgilio, Orazio, Dionigi d’Alicarnasso, Tito Livio, Vitruvio, Tibullo, Ovidio, Plinio il Vecchio, Marziale, Silio Italico, Stazio, Catullo), tutti ne hanno celebrato le lodi. 


D’altra parte della qualità e della fama raggiunta dal Falerno ne è prova anche il costo elevatissimo: al riguardo, molto importante è una scritta ritrovata a Pompei, incisa sul muro di una taberna, ove «Edoné fa sapere: qui si beve per 1 asse; se ne paghi 2, berrai un vino migliore; con 4, avrai vino Falerno» (CIL IV 1679).


Invitto Castrense, 
abbi propizi 
i tuoi tre dei 
cosí come li abbia tu che ora leggi.
Viva Edonè! 

Salute a chi legge.
Edonè vi dice:
Qui si beve per un asse, 

ma se me ne dai due berrai vini migliori; 
se poi me ne dai quattro 
ti faró bere del Falerno.
Viva Castrense!


Iscrizione dagli scavi di Pompei - Taberna di Edoné
www.pompei.numismaticadellostato.it/tappa03.html


Falerno, un vino il cui nome deriva da quello di un vecchio contadino proprietario di un podere nella regione del Massico, che un giorno ricevette la visita del dio Bacco, secondo una leggenda tramandataci da Silio Italico, scrittore latino del I secolo d.C., autore di Punica, il più lungo poema della letteratura latina che ci sia pervenuto, dedicato al racconto della II guerra punica tra Roma e Cartagine.
Prima di passare alla leggenda occorre ricordare i fatti storici: siamo all’incirca nel 212-211 a.C., le truppe cartaginesi si sono stanziate a Capua in attesa di rinforzi da Cartagine, oppure che altre città italiche seguano l’esempio di Capua, schierandosi contro Roma.
In questa fase della guerra Annibale, frustrato dall’accorta condotta di Fabio Massimo (il Temporeggiatore) comandante delle legioni romane, sta mettendo a ferro e fuoco l’ager Falernus; tra le file romane comincia ad emergere un effetto indesiderato della strategia di Fabio Massimo, il malcontento dovuto al senso di frustrazione; Fabio Massimo è quasi chiamato a giustificare la sua strategia e la sua tattica di attesa. Annibale sa come alimentare i sospetti contro l’avversario e risparmia dal saccheggio e dalla distruzione proprio un piccolo podere che Fabio Massimo possedeva nel Massico.

Vigneto alle pendici del monte Massico

Qui si innesta da parte di Silio Italico la leggenda del Falerno con il racconto della visita del dio Bacco al vecchio Falerno.
Durante l’età dell’oro, nel corso di un non meglio precisato viaggio ai lidi estremi d’occidente, Bacco sosta presso un vecchio contadino del Massico. Ignaro della natura divina dell’ospite, Falerno lo accoglie e gli mette a disposizione tutto quanto la sua dimora può offrire con l’energia e l’entusiasmo di un giovanotto: una mensa imbandita di frutti dell’orto, latte, favi di miele, pane, e al termine l’offerta rituale delle primizie. Lieto di ciò, Bacco fa dapprima in modo che tutti i recipienti della masseria (le tazze, ma anche i secchi usati per la mungitura) si riempiano del nuovo e profumato succo dei grappoli infine si rivela nella sua natura divina.
Il racconto si chiude con la divertente immagine del vecchietto felice e ossequioso, che barcolla in preda ai fumi dell’alcool prima di cadere in un sonno profondo: l’indomani la regione si sarebbe risvegliata tutta ricoperta di folti filari di viti.
 
Mondragone. Vigneto in località Tre colonne

lunedì 28 gennaio 2013

Il lago di Falciano ed altre depressioni dell'agro Falerno


Il lago di Falciano

Agro Falerno


L’agro Falerno è quell’area che va da Mondragone a Carinola ed in cui si trovano il lago di Falciano del Massico, le Fosse Barbata, del Ballerino e della Torre qui studiate. Questa zona pianeggiante è bordata da rilievi cartonatici e vulcanici ed è famosa fin dall’epoca dei Romani per la produzione del vino.
Le aree studiate sono evidenziate nella foto.

Parziale del fotogramma 2579 del volo Italia dell’IGM del 1954 (striscia 1 Foglio 172). Sono evidenziati il lago di Falciano (in verde), la Fossa Barbata (in rosso), la Fossa del Ballerino (in azzurro), la Fossa della Torre (tratteggio blu), la Fossa Annunziata (in arancio) e La Valla (tratteggio giallo).

Lago di Falciano del Massico, Fossa Annunziata e La Valla


Il lago di Falciano del Massico, già lago di Carinola, si trova nell’omonima pianura a sud dell’edificio vulcanico di Roccamonfina. Gli altri rilievi circostanti sono la dorsale di Monte Massico a nord-nordovest e quella di Monte Maggiore ad est. 
Questo lago di circa 96.000 m2 ha oggi una forma irregolare dovuta ad opere antropiche e alla creazione di un canale immissario (Rio Fontanelle) ed uno emissario (Rio Forma) già dall’epoca dei Borboni. Attenendoci alla tavoletta IGM al 25000 chiamiamo Fossa Annunziata posta più a nord la forma circolare e La Valla quella che oggi è solo una paleoforma relitta con due pareti verticali e le altre due completamente spianate dall’attività antropica come evidente dall’analisi stereoscopica. La Fossa Annunziata, sulla carta topografica al 100000 non compare mentre è presente La Valla. A tale proposito ipotizziamo che i due toponimi indichino in realtà la stessa fossa.
La fossa Annunziata sulla carta geologica al 100.000 appare come uno specchio d’acqua mentre oggi si presenta con una forma di base ancora circolare ma alcune pareti sono state obliterate dall’azione antropica che le ha livellate portando l’ingresso della cavità a livello di una strada sterrata posta alla stessa quota del fondo della cavità. Appare difficile ora riconoscere la forma originaria visibile su carte del passato e foto aeree in cui si constata la presenza di pareti subverticali.

Rilievi cartonatici di Monte Massico poco lontani dal lago. La foto è orientata verso NW. 
Foto di Caramanna G, 2004.


ANALISI STORICA

L’analisi storica di quest’area è stata possibile grazie all’esistenza di alcuni lavori di tipo archeologico condotti su questa zona. Alcuni autori citati in questo capitolo (Scherillo et alii, 1965; Zannini, 2001), fanno infatti riferimento allo scrittore latino-cristiano Paolo Orosio che nel 417 d.C. scriveva che nel 276 a.C. (quindi circa 600 anni prima) nella zona di Cales (odierna Carinola) si aprì una voragine improvvisa e grandi fiamme arsero per alcuni giorni. L’autore Ugo Zannini (2001), nel suo volume sul Comune di Falciano del Massico, sostiene che la traduzione fedele dal testo originale suddetto pone dubbi sull’ubicazione esatta di questo luogo: pertanto l’evento potrebbe in realtà essere avvenuto un po’ più ad ovest dell’attuale Lago, nella Fossa Barbata, o un po’ più a nord nella Fossa Annunziata anche considerando le dimensioni cui il testo storico fa riferimento. L’autore cita anche un’altra fonte per individuare la nascita del lago: nel Grande Archivio di Napoli ci sono sei volumi dal titolo “Regii Neapolitani Archivi Monumenta” in cui si parla di un “lago di Sancte Christine” nel territorio di Carinola nel 1105. Zannini nell’analizzare due carte storiche della Provincia di Terra di Lavoro, una del 1613 di Cartaro e l’altra del 1616 eseguita dal Baratta e dal Fontana ha visto che nella prima il lago non compare nonostante il dettaglio con cui essa è stata disegnata mentre nella seconda, tematica, il lago c’è. L’assenza di informazioni sul lago da scritti di epoca romana fa presupporre una sua più recente formazione; infatti, questa zona già all’epoca era famosa per i vini pregiati (Zannini, 2001).
La fonte storica più recente è la Carta topografica dell’Istituto Topografico Militare. del 1875 che mostra sì il lago, ma con una forma diversa e con un areale maggiore; questo indica che l’immissario attraverso il suo carico solido lo ha parzialmente interrato. In questa carta, inoltre, il toponimo di Santa Cristina non compare. Tale toponimo è invece presente nella tavoletta topografica al 25.000 dell’IGM in cui è visibile una Masseria S. Cristina a NE dell’attuale Lago.

FONTI BIBLIOGRAFICHE 


Il lago in esame assieme alla Fossa Annunziata sono evidenziati anche nella figura appresso pubblicata.



Stralcio dalla tavoletta IGM 172 III NW con ubicazione del Lago di Falciano (in verde) della Fossa Annunziata (in arancio) e di La Valla (in giallo). In rosso si evidenzia la tettonica ricostruita dalle foto aeree del volo IGM del 1954.

Secondo Scherillo (1965), Scherillo et alii (1966) e Gasparini (1966) il lago in esame, così come le altre cavità  vengono definiti “maaren” ossia “crateri” di esplosione puramente gassosa in cui non si è avuta, o quasi, alcuna emissione di prodotti, e non si ha un anello sopralevato; tale assenza pone comunque il ricercatore in dubbio sulla reale origine del lago di Falciano anche in considerazione delle sue dimensioni. Anche Zannini (2001) propone per il lago di Falciano una analoga origine come visibile sul cartellone presente sul ciglio stradale di fronte al lago e come anche riportato nel volume sopra citato.
Lavori recenti (Del Prete et alii, 2004) li interpretano invece il lago come un sinkhole in analogia a tutti quelli qui in studio. Per quanto riguarda la depressione de La Valla essa è solo nominata nel lavoro di Scherillo (1965). La forma che sul 100000 è chiamata così, corrisponde sul 25000 IGM alla Fossa Annunziata

GEOLOGIA DELL’AREA

Dallo studio della carta geologica in scala 1:100.000 emerge che il lago di Falciano si trova in gran parte su depositi di origine vulcanica: nella zona ad est e in quella a nord infatti affiora l’Ignimbrite Campana mentre nel settore meridionale affiorano delle sabbie e limi grigi e giallastri, stratificati, incoerenti. Sulla carta sono segnate anche due sorgenti ad est e ovest del lago di Falciano che però oggi non si ritrovano più. Anche le depressioni di La Valla e Fossa Annunziata appaiono interamente impostate sull’Ignimbrite Campana.

ANALISI DI CAMPAGNA

In situ quello che è stato osservato, relativamente al lago di Falciano, è uno specchio d’acqua abbastanza grande ricco di vegetazione, con una forma irregolare dovuta al “delta” prodotto dall’immissario e che ha rimpicciolito la superficie originaria del lago.
La profondità massima, misurata al centro, è di 6,5 m, mentre lungo i bordi si hanno pareti subverticali che portano il fondo subito a 3,5 m (Fonte APAT- Progetto Sinkhole); questo conferma la freschezza del taglio nonostante l’immissario con i suoi detriti abbia colmato una parte del lago che è purtroppo soggetto ad interramento.
A poche centinaia di metri dal bordo nord-ovest del lago affiora una parete subverticale alta circa 4m di Ignimbrite Campana che si presenta come un deposito massivo, di colore grigio con all’interno abbondanti fenocristalli di sanidino (dimensioni fino a 3-4 mm) e pirosseni, pomici decimetriche e grosse scorie.



Lago di Falciano: parete subverticale di Ignimbrite Campana presente sul bordo NW lungo la stradina che costeggia il lago.


I depositi cartonatici affiorano a pochi chilometri con la dorsale del Monte Massico (foto 10) ed infatti dai dati dei pozzi dichiarati con la Legge 464/84 emerge che questi sono presenti a 62m  per  n° 30, a 74m per n° 24 e a 32m per n° 21. La Valla e la Fossa Annunziata si trovano interamente tagliate nell’Ignimbrite Campana, ma a causa dell’azione antropica sono oggi difficilmente riconoscibili; la prima ha due pareti completamente spianate e nel corso degli anni è divenuta una sorta di piana, la seconda è più piccolina e presenta una forma circolare meglio conservata.


Lago di Falciano: dettaglio del deposito della foto. Il deposito appare di colore grigio, massivo, ricco in grossi cristalli di sanidino e di scorie.

Nei pressi della Fossa Annunziata abbiamo chiesto informazioni ad un residente e questi ci ha raccontato che molti anni fa, in seguito ad opere antropiche, emersero alcuni scheletri umani nelle vicinanze di un antico insediamento romano; questo può farci pensare che l’Annunziata, già esistente naturalmente, grazie alla sua forma perfettamente circolare possa aver avuto la funzione di un’arena o di un anfiteatro pertinente a tale insediamento. Inoltre, ci ha raccontato che il fondo della cavità è stato via via colmato per aumentare la superficie coltivabile; attualmente i pozzi pescano acqua a circa 12m mentre più a valle la captano a 3m. Grazie agli sbancamenti subiti da quest’area possiamo constatare uno spessore di Ignimbrite Campana superiore ai 5m.

CONSIDERAZIONI

Come già visto per le altre cavità, alcuni Autori le inseriscono nello stesso sistema genetico ossia attribuibili ad attività esplosiva connessa a quella del Roccamonfina, in relazione anche al fatto che esse sarebbero allineate lungo la direttrice del M. Massico.
Se ciò fosse vero, bisognerebbe trovare innanzitutto i prodotti di tali esplosioni o comunque del materiale frammentato disposto radialmente come detto per tutte le altre forme di dubbia genesi. Secondo poi, abbiamo appurato che il deposito piroclastico dell’IC risulta tagliato dalle cavità e questo (per il principio di intersezione) le pone più in alto nella scala temporale; ricordiamo anche che già questo deposito vulcanico (39.000 anni, De Vivo et alii, 2001) è più recente dell’ultimo attribuibile al Roccamonfina (53.000 anni, Capelli et alii, 1999).
Paolo Orosio colloca qualcosa accaduto in quest’area intorno al 276 a.C. a conferma quindi della totale estraneità dei due eventi. Del Prete et alii (2004) sostengono, per le medesime cavità una possibile genesi da sprofondamento anche se nelle conclusioni le inserisce, assieme a quelle della Media valle del Volturno, in quelle in cui i meccanismi genetici sono poco chiari.
La presenza di importanti elementi tettonici ancora attivi ha favorito la risalita di fluidi ricchi in CO2 ed H2S, come evidente dalle molte sorgenti mineralizzate presenti nell’area; tali fluidi hanno probabilmente agito sui livelli cartonatici profondi facilitandone la dissoluzione ed il possibile crollo.


Fossa Barbata, Fossa del Ballerino e Fossa della Torre


UBICAZIONE

La Fossa Barbata e la Fossa del Ballerino si trovano a pochi chilometri sia da Mondragone, a sud-ovest, che da Falciano Selice, a nord-est; a circa 2 Km a nord di esse c’è la dorsale carbonatica del Monte Massico. La Fossa Barbata ha una forma circolare con un diametro di circa 200m; dalle foto aeree si vede che la sponda N-NE è franata  ed ora c’è un terrazzo.
La fossa del Ballerino ha una forma ad otto, orientata NE-SW lunga quasi 400m; questa forma è il risultato di due strutture circolari che si compenetrano parzialmente; nella zona di contatto il bordo si trova alla stessa quota del piano campagna (43m) mentre il fondo delle fosse, pianeggiante e coltivato, è più basso di 10-14m; dalle foto aeree si nota che la cavità di NE è meno profonda.
Ad est della Fossa Barbata, secondo i rilievi da noi effettuati, ce ne un’altra che abbiamo chiamato Fossa della Torre perché adiacente alla Torre del Ballerino. La struttura è visibile anche tramite la fotointerpretazione; dallo studio delle foto aeree emerge che essa è bordata da due faglie parallele orientate NE-SW e che il lato ad est è completamente stato rimodellato dall’attività antropica.

ANALISI DELLA CARTOGRAFIA STORICA

Nella Carta dell’Istituto Topografico-Militare Italiano del 1875 con il nome di Fossa Barbata è indicata quella che oggi è invece quella del Ballerino; la forma di questa non è ancora ad “otto” sembrerebbe quindi che la parte di NE non si fosse ancora formata. Questo smonta l’ipotesi di una contemporaneità con il vulcanismo nord campano.
La Fossa Barbata, sembra che qui si chiami Fossa del Parco; la forma è più o meno come quella attuale ma il fondo della fossa è posto quattro metri più in basso rispetto a quello attuale.

FONTI BIBLIOGRAFICHE

Anche quest’area, come le precedenti sono state studiate da Scherillo et alii (1965;1966) e da Gasparini (1965;1966) verso la fine degli anni sessanta ma si trovano per la fossa Barbata annotazioni ben più antiche. Secondo alcuni Autori, infatti (Scherillo et alii, 1965; Zannini, 2002), Paolo Orosio si riferisce proprio alla Barbata quando parla dell’eruzione gassosa avvenuta nel 276 a.C.. Anche P. Moderni (1887) come Scherillo et alii (1965) la considerano come una bocca vulcanica nell’ambito del Roccamonfina quindi una vera e propria bocca eruttiva. La fossa del Ballerino, come pure la Barbata, vengono infatti definite come forme risultanti dalla sola esplosione gassosa spiegandone così la mancanza di prodotti propri ed asserendo che l’unico risultato sarebbe una trapanazione ed un rimaneggiamento del “Cinerazzo” che è la fase poco coerente dell’Ignimbrite Campana (Del Prete et alii, 2004). Nel lavoro di Scherillo et alii (1966b) si menziona la stratigrafia di un pozzo ubicato sul fianco esterno meridionale della Fossa Barbata: dopo 60m di Tufo Grigio Campano, si incontra prima una lente di 2m di calcare sabbioso e poi ghiaie e sotto sabbie. Del Prete et alii (2004), pur non chiarendo i meccanismi genetici che hanno portato alle forme dell’Agro Falerno le considerano dei sinkhole il cui sprofondamento è avvenuto in più step data la presenza di più superfici terrazzate e sostiene anche, in accordo con altri Autori (Corniello & De Riso, 1986; Forti & Perna, 1986; Corniello et alii, 1999; Forti, 1991; 2002) che esiste una stretta correlazione tra la tettonica recente, le falde mineralizzate, fenomeni di ipercarsismo e collassi di sinkhole.
La presenza di una tettonica anche recente del M. Massico e tutto il sistema di faglie parallelo e ortogonale ad esso, emerso anche da indagini geofisiche (Vallario, 1966) potrebbe quindi aver avuto un ruolo nella formazione delle fosse; un lavoro di Gasparini, (1966) mostra che da analisi gravimetriche emergerebbero dei massimi collegabili a masse calde a poca profondità che avrebbero portato alla risalita di fluidi caldi mineralizzati.

GEOLOGIA DELL’AREA

Dallo studio della carta geologica ufficiale in scala 1:100.000 emerge che tutte le fosse si trovano sull’Ignimbrite Campana e quando gli Autori parlano di Cinerazzo si riferiscono ad una cinerite sanidinica incoerente che comunque rappresenta una facies associata alla I.C. Come si vede dalla Carta, sul fondo della Fossa del Ballerino ci sono le alluvioni, indizio della presenza di acqua almeno nel passato; la fossa Barbata invece negli anni sessanta diveniva periodicamente un laghetto. Ciò è visibile sia da una foto aerea del volo IGM  del 1954, sia da una foto scattata da Scherillo nel 1965.

ANALISI DI CAMPAGNA

La Fossa Barbata si trova in un terreno privato ed è stato possibile accedervi solo grazie alla gentilezza del proprietario. Questi ha raccontato che prima i pozzi dell’area pescavano acqua ad una profondità minore mentre ora il livello di falda si è abbassato e captano a 35m di profondità; considerato che il piano campagna è a 46m, si ha una quota assoluta per il livello di falda di 11m s.l.m.. Del Prete et alii (2004) riferisce per questa fossa la presenza di una falda subaffiorante a circa 29m s.l.m. negli anni sessanta che rendeva la fossa un laghetto. Da Budetta et alii (1994), emerge che la falda era a 15-20m s.l.m. a dimostrazione che il livello sta via via abbassandosi. Il proprietario del terreno, inoltre, ha confermato che le acque sono molto aggressive.


Fossa Barbata nel 1965. Da Scherillo et al, 1965.

Il fondo attuale della fossa è posto a 23m s.l.m. ed è per questo che oggi rimane costantemente asciutto. Scendendo all’interno della Fossa Barbata dal lato sud si osserva una superficie terrazzata costituita da più gradini morfologici riconducibili ad episodi franosi successivi alla formazione della fossa originaria (come verificato anche da Del Prete et alii, 2004); il diametro è quindi cresciuto successivamente.


Fossa Barbata:in primo piano il gradino morfologico, il fondo si trova più a valle.


 Parete che indica la nicchia di distacco della frana. Il materiale è quello tipico dell’Ignimbrite Campana. Foto Caramanna, 2004.

La Fossa della Torre si trova proprio di fronte alla Torre del Ballerino guardando verso nord. Attualmente si ha una forma quasi completamente obliterata dall’attività antropica; restano soltanto alcune pareti relitte della fossa.


La Fossa della Torre evidenziata dal tratteggio. La forma attuale è stata quasi completamente mascherata dall’azione antropica.


CONSIDERAZIONI

Dall’analisi di tutti i dati raccolti e dalle informazioni storiche emerge che non ci sono fattori che possano ricondurre queste fosse ad attività vulcanica o accomunabile ad essa. La presenza di acque aggressive e di livelli cartonatici a poca profondità oltre che di una tettonica profonda che ha permesso la risalita di tali acque, ci porta a ritenere probabile che tali forme siano il risultato di una serie di sprofondamenti.


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FONTE: La presente pubblicazione in uno alle foto e grafici allegati è parte integrante di un più ampio lavoro scientifico dal titolo: Riconoscimento e classificazione di alcune depressioni di origine incerta nell’area vulcanica di Roccamonfina, a cura della dr.ssa Laura Ambu, con la collaborazione della dr.ssa Stefania Nisio e del dr. Giorgio Caramanna.