La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

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lunedì 10 giugno 2024

La via Domiziana. Ricognizioni storiche lungo il tracciato




Mondragone, loc. Scopelle.
Affioramento del lastricato della via Domitiana


Una strada che metteva in comunicazione Sinuessa con Literno e Pozzuoli, fosse pure in semplice terra battuta o sotto forma di pista polverosa, esisteva già dal 215 a.C., allorquando fu aperta da Quinto Fabio Massimo durante la II guerra punica. 

Nello stesso anno questa strada fu utilizzata da Tito Sempronio Gracco, come ci tramanda Tito Livio negli Annales

Sinuessae, quo ad conveniendum diem edixerat, exercitu lustrato, transgressus Vulturnum, circa Liternum castra posuit 

quando, il console, dopo aver passato in rassegna l'esercito a Sinuessa,  supera il Volturno e pone l'accampamento  a Liternum. 




Roma. Museo Archeologico Centrale Montemartini
Ritratto di Domitiano

Solo nell’anno 95 d.C., per volere di Domiziano imperatore questa strada venne rifatta e lastricata, e resa efficiente a tal punto che diventò percorribile in appena due ore.

 

Nacque così la via Domitiana. 




Mondragone, loc. Scopelle.
Tracciato originario della via Domitiana


La via Domitiana aveva inizio appena dopo Sinuessa, laddove la consolare Appia svoltava per Capua; quindi, mentre l’Appia si dirigeva verso sud–est, lambendo le pendici del Monte Petrino, la via Domitiana proseguiva lungo il litorale: 

Illic flectitur excitus viator, 

Illic Appia se dolet relinqui. a

Tunc velocior acriorque cursus, 

Tunc ipsos iuvat impetus iugales; 

Ceu fessis ubi remigum lacertis 

Primae carbasa ventilatis, aurae.

Stazio, Silvae, IV, vv 101-106 




Mondragone, loc. Scopelle.
Affioramento del lastricato della via Domitiana


Il tragitto completo, da Sinuessa a Puteoli, misurava 33 miglia romane, pari a circa Km 49. 

Lungo il suo percorso, la Domitiana transitava mediante ponti, sicuramente in muratura, su tre fiumi: nell’ordine, il Savone, il Volturno ed il Clanio (chiamato anche Liternum flumen), nonché immissario ed emissario della Palus Liternina, (oggi Lago di Patria); attraversava centri abitati quali Vulturnum (Castelvolturno), Liternum (Lago Patria) e Cumae, prima di giungere a Puteoli


In merito al ponte sul Savone, una testimonianza abbastanza recente ci è fornita da Antonio Sementini (Sinuessa. Ricognizioni archeologiche lungo l'Appia e la Domiziana)  da cui apprendiamo che fino al 1949-50 era ancora visibile lo scheletro di un'arcata in tufo giallo flegreo con filari in cotto. Il dato è confermato da Johwannosky (1990) secondo cui, resti del ponte erano visibili fino agli anni '50 quando furono eseguiti i lavori di regimentazione dell'alveo del Savone.

Ecco come il Sementini descrive il ponte sul Savone:

Costruito a due luci sulla foce del "piger Savo" a sostegno dello antico selciato sul lento deflusso dell'ultimo corso del fiume, l'antico ponte lasciava ancora in vista, ai margini del vigneto del sig. Francesco La Torre, la solida spalliera di sud-est della seconda arcata, caduta nelle acque negli anni andati. Il grosso nucleo della spalliera in tufo, calce e cotto, venne ricoperto dalla seconda rampa, che conduce al lido, tra il '49 e il '51, durante i lavori di bonifica, ed oggi il pilastro di levante risulta completamente ricoperto di terriccio indurito.


Qualche anno dopo andò quasi completamente distrutto anche lo scheletro dell'ultima arcata per mano della ditta che gettò la passerella in cemento là dov'era, affiancato al domizianeo, un ponticello in tufo friabile locale, reso pericolante dagli ultimi eventi bellici. Finiva, così, per scomparire del tutto anche la pila centrale, un tempo al taglio della corrente, saldamente infissa nel fiume a sostenere le due arcate del ponte.

La costruzione, così come si presentava, dovette essere sicuramente dell'ultimo rifacimento per mano dei "curatores" di Teodorico, che rispettò e restaurò, circondandosi dell'elemento colto romano, le costruzioni più importanti del periodo imperiale.

 

Partendo dalle pendici del Monte Massico, la Domitiana attraversava tutta la pianura alluvionale formata dai tre fiumi, costeggiando il litorale e la lunghissima pineta costiera, la Sylva Gallinaria, per poi pervenire ai rilievi dei Campi Flegrei, lambendo le coste di Cuma, ma anche transitando sotto il fornice dell’Arco Felice. 


Immagine da: F. Longobardo, Problemi di viabilità in Campania: la via Domitiana in Viabilità e insediamenti nell'Italia antica, L'Erma di Bretschneider, 2004 


Dalla illustrazione che precede appara chiaro come la strada Domitiana fosse, agli inizi del 1600, ancora percorribile nel suo originario tracciato da Sinuessa fino a Cuma, percorribilità attestata anche negli anni della prima metà del Quattrocento, come risulta da una lettera che l'ambasciatore fiorentino Giovanni Lanfredini invia ad Antonio di Jacopo Benci detto il Pollaiolo (1431-1496-98).

Così vedemo molte ruine e spoglie, che dimostrano stupendissima grandezza; ma non mi pare piccola cosa la strada Romana che dura fino a Pezuolo e in molti luoghi per lo chammino si vede intera…


Le maggiori testimonianze archeologiche di questa via sono, oggi, assai visibili nei pressi di Cuma.

sabato 20 aprile 2024

Museo della Civiltà contadina - Borgo di Catailli, Conca della Campania






Nulla di meglio al mondo dei selvaggi, 
dei contadini e della gente di provincia, 
per studiarne a fondo e in ogni senso
costumi e abitudini.

H. de Balzac 






Museo della Civiltà contadina



Il Museo nasce nel 2017 da un'idea del Presidente della odierna "Associazione Museo della Civiltà contadina" presso il Borgo di Catailli di Conca della Campania, un Museo per non dimenticare l'antica civiltà contadina, il tempo in cui si viveva a stretto contatto, e con il lavoro, della terra.

Circa un migliaio di reperti sono oggi conservati ed esposti nella casa di famiglia del fondatore, più precisamente nei pressi del grande porticato, in quella che un tempo era una grande stalla e nei locali adiacenti alla zona forno, dove ancora oggi si respira il profumo della fatica e l'essenza dell'amore con cui le donne dell'epoca si accingevano a preparare e cuocere il pane e tantissimi dolci.

Si possono ammirare gli ambienti, sapientemente ricostruiti, dei locali in cui avveniva la prima lavorazione dell'uva: grandi tini, botti, torchi, tinozze, pigiatrici, imbuti e tutti gli attrezzi necessari per questo tipo di lavorazione.



Museo della Civiltà contadina


Si può ammirare e visitare la ormai famosa e stravisitata "Casa del contadino", un vero e proprio fermo-immagine di vita vissuta in povertà, con tanta umiltà e semplicità, ma piena di valori. Un'ambientazione ferma agli inizi della seconda metà del secolo scorso: si possono ammirare l'umile cucina, la grande dispensa e la camera da letto, il tutto corredato da oggetti della vita quotidiana dell'epoca.



Museo della Civiltà contadina



Museo della Civiltà contadina


Nel Museo è possibile vedere quegli strumenti che hanno scandito i tempi della vita quotidiana dei nostri antenati, dall'aratura alla semina, dalla raccolta alla conservazione, gli strumenti utilizzati per il lavoro nei campi, ma anche gli utensili della vita quotidiana. Si spazia dagli aratri in ferro e legno, ai gioghi per buoi e mucche; madie per la lavorazione del pane e ceste in vimini; oggetti in rame, anfore, orci e vasi antichi; le prime macchine per cucire, ferri da stiro ed utensili per calzolai, falegnami e fabbri.

Si possono ammirare macchine agricole a funzionalità manuale come snocciolatrici e sgranatrici per il mais; una antica pressa per paglia e fieno, arcolai e cardalana.

Un vero e proprio "viaggio nel tempo e nelle nostre radici", amabili resti di una civiltà ormai in via di estinzione, un contributo alla crescita culturale e sociale del Territorio finalizzato all'educazione ed alla conoscenza dei giovani.

Un Museo che è una vera e propria "Teca della Memoria", un racconto demo-etno-antropologico della vita contadina fino all'immediato dopoguerra con ritmi, tempi ed economie legate ai cicli naturali della vita.



Museo della Civiltà contadina




Museo della Civiltà contadina




Museo della Civiltà contadina





Museo della Civiltà contadina





Museo della Civiltà contadina






venerdì 19 aprile 2024

Masseria de' Ciocchi a San Ruosi di Carinola






Carinola, borgo San Ruosi - Ceraldi
Portone della Masseria Ciocchi


La Masseria Ciocco o Ciocchi, dal nome dei nobili ‘proprietari’,  appartenenti al patriziato Nolano, che più ne hanno segnato storicamente  l’evoluzione e la caratterizzazione degli spazi, è sita nel borgo di San Ruosi-Ceraldi ( altrimenti detto, di Sant’Anna ), a solo pochi chilometri da Carinola.  Come molti altri siti, molti dei quali ancora poco noti persino alla critica, essa  si configura come una masseria di sicuro interesse storico e culturale lungo lo straordinario itinerario storico-artistico costituito dal cosiddetto Real  Cammino, strategica infrastruttura viaria risistemata, e in parte tracciata  durante il vice-regno Spagnolo ristrutturando parzialmente un’antica strada  romana che iniziando sostanzialmente dalla cosiddetta Scafa del  Garigliano, giungeva fino a Napoli. 

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La strategica collocazione della masseria, posta su di una piccola  altura a diretto contatto con il Real Cammino e, soprattutto, la rinomata  fertilità dell’Agro Falerno cui la stessa appartiene, ha reso partecipe la  struttura, nel corso dei secoli, di un lento processo di stratificazione che, com’è noto, a diversi livelli ha coinvolto l’intera circoscrizione territoriale, sin  dai tempi antichi. Non diversamente ad altri luoghi della zona, infatti,  l’aggregato che tuttora contraddistingue il sito dei Ciocchi si caratterizza  come insieme di fabbriche e luoghi destinati alla produzione agricola, nel  tempo, solidarizzatisi nelle forme di un piccolo insediamento accentrato,  arretrato rispetto alla via d’accesso, nell’aspetto attuale, stanziatosi a partire dalla tarda età moderna intorno a una tipica fabbrica masserizia munita di  cappella e di alloggi per contadini e braccianti, oltre che di ambienti  necessari all’attività agricola e al piccolo allevamento. Questo primo  organismo complesso, a cominciare dal Settecento, subì poi un graduale  progressivo ampliamento, aggregando al suo intorno ulteriori organismi  masserizi, altresì configurati mediante la ristrutturazione e l’incremento dei  volumi funzionali pertinenti il primitivo impianto. In questo modo, almeno dal  primo Ottocento, il complesso, oltre ad aumentare notevolmente la sua  estensione, ha finito per configurare al suo ingresso una sorta di  piazza/slargo, sulla quale affacciano sia la chiesa sia gli ingressi degli  organismi masserizi, parzialmente aperta sulla strada di accesso. L’attuale complesso architettonico è il risultato, quindi, di interventi  attuati in tempi diversi, a giudicare dalle testimonianze residue, non anteriori  alla fine del XVII-primo XVIII sec.. 



Carinola, borgo San Ruosi - Ceraldi
Masseria Ciocchi


Il Casale di S. Ruosi, sin dalla metà del XVIII sec. il più piccolo dei  villaggi carinolesi, era in origine riunito a Ventaroli come Villa S. Ambrogio, o  S. Orosio, Santo cui era dedicata anche la locale cappella. Sin dal 1742 –  data del primo catasto della città di Carinola e dei suoi dieci casali, opera  non terminata per le tante irregolarità e imprecisioni registratevi e, per  questo motivo, ripresa e perfezionata nel 1752-53 con aggiornamenti fino al  1755 – in questo Casale risiedono e hanno proprietà, sia edilizie sia terriere, in  misura assai differente le famiglie: Ciocco – ricchi nobili locali distinti in più  rami, il più ricco dei quali proveniente dal casale di Cascano, con proprietà,  anche molto estese, coincidenti con terreni, anche “aratorij” e campestri,  uliveti, querceti e boschi, e diverse “case palaziate”, tutti sparsi nei vari casali  della città, soprattutto a Nocelleto e Ventaroli, bestiame e con benefici a S.  Ruosi in due cappelle (S. Anna e S. Maria della Libera); Ceraldo –  proveniente da Sessa, con ricche proprietà (terre, case, bestiame)  soprattutto a San Ruosi; Tramunti - trasferitisi per qualche  tempo, ma ritornati poi a San Ruosi nel 1755, quando Antonio Tramunti  (bracciale) acquista, sempre dai Ciocco, “una casa di 2 membri inferiori e superiori, con cortile e piccolo giardino continuo, giusta altri loro beni (cioè,  una casa di 6 membri, 2 superiori e 4 inferiori, con orto continuo) e via  publica “ - e Menna – con Tomaso con qualifica di campiere, proprietaria di un certo numero di piccoli appezzamenti, anche uliveti, e di alcuni capi di bestiame, nella stessa S. Ruosi, nonché di due case, di cui una, “di 20  membri, 9 superiori e 11 inferiori, vicina ai beni dei Ciocco, nello stesso  casale.

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I Ciocco vanno identificati con i primi, e inizialmente, unici proprietari  della masseria oggetto di studio, nonché cofondatori, insieme con l’altra  famiglia patrizia dei Ceraldo di Sessa, dello stesso casale di San Ruosi. A  costoro, distinti nei tre rami facenti capo a Raimondo, originario proprietario  della Masseria omonima, a Francesco, intestatario di altre proprietà nello  stesso villaggio, e al ramo di Cascano, appartenevano, difatti, la gran parte  delle terre della zona. In particolare, Matteo Ciocco, il cui sacello è ospitato  nella cappella di S. Anna, originariamente dedicata a S. Ambrogio, annessa  alla masseria Ciocco, con un’epigrafe datata al 1713, deve farsi coincidere  con il fondatore dell’insediamento masserizio, sorto tra la fine del XVII e i  primi del XVIII sec. 

Alla data di compilazione del rilevamento catastale  (entro il 1753) l’erede di Raimondo, Don Giuseppe Ciocco, risultava  proprietario per “sua abitazione di una casa palaziata di più e diversi  membri, superiori e inferiori, con quattro cortili, tre giardini continui e  Cappella sotto il titolo di S. Anna Jus Patronato di sua Famiglia, giusta li beni  delli eredi del quondam Matteo Tramunti, di Tomaso Menna, altri beni proprij  e via publica”. 




Carinola, borgo San Ruosi - Ceraldi
Cappella di S. Anna, jus patronato della famiglia Ciocchi


Di sua proprietà era pure “una casa di un solo membro  terraneo” che teneva affittata e di molti terreni in diverse località di S. Ruosi,  anche confinanti con le terre dell’altro ramo dei Ciocco, quelli di Cascano. Diversamente, l’altro ramo dei Ciocco, eredi di  Francesco, al tempo identificati con un altro Giuseppe Ciocco, risiedevano  a San Cipriano d’Aversa, ma mantenevano a San Ruosi, fuori dalla descritta Masseria Ciocco, diverse proprietà terriere (per un totale di 42 moggia,  confinanti con i beni Gentile e la via vicinale) insieme a una “casa palaziata  di più e diversi membri inferiori e superiori, che si tiene per abitazione del di  lui fattore”. Identicamente facoltosi, benchè meno dei Ciocco, erano i Ceraldo  di Sessa, proprietari di diverse “masserie di fabbrica” a S. Croce, Nocelleto e,  come Pompeo e fratelli, anche di una con territorio di moggia 100 e 15  proprio a San Ruosi, nel luogo detto la Masseria di Ceraldo, con il beneficio  nella vicina cappella rurale del casale detta S. Maria della Libera, ancora  oggi, benché fatiscente, riconoscibile nelle fabbriche all’estremo sud-ovest  della Masseria dei Ciocco, secondo quanto rappresentato nelle cosiddette  “minute di campagna” del Reale Officio Topografico.




Carinola, borgo San Ruosi - Ceraldi
Masseria Ciocchi


Il testo è tratto da:

Andrea Amelio, "RESTAURO E VALORIZZAZIONE della Masseria de’ Ciocchi San Ruosi a Carinola (CE)", Tesi di Laurea in Architettura, Seconda Università degli Studi di Napoli - Anno Accademico  2016/2017


Foto di Salvatore Bertolino

mercoledì 10 maggio 2023

Sulle dune...


Le dune costiere, ovvero il Parco Urbano delle Dune della Città di Mondragone, caratterizzano il paesaggio e costituiscono un elemento di grande bellezza in particolare in primavera per l'intensa fioritura di tutta la vegetazione autoctona esistente.












 




E' proprio in questo periodo, infatti, che sulle dune avviene una vera e propria esplosione di colori: il fucsia del “carpobrotus”, il rosa del silene e il bianco e giallo della camomilla marina, inframezzato dal verde intenso della spinosa calcatreppola e di qualche agave. 



Agli inizi di luglio, poi, è la volta della fioritura dei gigli di mare dal loro caratteristico intenso profumo.

COMUNE DI MONDRAGONE 

PIANO DI UTILIZZAZIONE DELLA FASCIA COSTIERA GENNAIO 2017

Art. 19 - Area parco delle dune

 

Il Piano riporta l’area che il PRG perimetra come Parco delle dune in quanto coinvolta nell’obiettivo di riqualificazione della fascia dunale e retrodunale.

In detta area l’obiettivo principale è quello della conservazione integrale della duna esistente e protezione della flora spontanea. E’ consentita l’integrazione con essenze della stessa specie (agave opuntia, ficus indica, ginepro, mirto, ...).

E’ vietata la realizzazione di superfici impermeabili.

E’ consentita l’utilizzazione delle aree oggi maggiormente compromesse per attività sportive e ricreative all’aperto.

E’ consentito l’uso dell’edilizia esistente per:

  • -  realizzazione del centro di visita a finalità museali, didattiche e ricreative
  • -  svolgimento di attività di informazione, sensibilizzazione e di formazione professionale in rapporto ai temi del recupero naturalistico e della riqualificazione ambientale.
Il ridisegno dell’area del parco delle dune e quindi gli interventi in esso consentiti sono subordinati alla definizione del progetto del porto del Savone come da PRG vigente (area per porto turistico e commerciale) e delle aree con le relative attività ad esso annesse (area per attività ricettive e ricreative connesse al porto).
Nelle more sono consentiti esclusivamente interventi volti a bonificare la duna esistente e ripristinare il carattere di naturalità dei luoghi. Sono consentite piccole attività sportive all’aperto solo su aree compromesse e comunque senza intaccare aree caratterizzate dalla presenza di duna e in ogni caso senza compromettere il sistema vegetazionale finalizzato al suo consolidamento.

 

Allo scopo di perseguire la valorizzazione, la tutela e l’uso sostenibile di questa parte del patrimonio naturale costiero sono consentiti i seguenti interventi:

  • delimitazione dell’area interessata dal fenomeno dunale;
  • predisposizione di opere di riconfigurazione dei tratti di duna compromessi attraverso barriere lignee e salvaguardia e tutela delle dune esistenti;
  • rinaturalizzazione con piantumazione di specie arboree autoctone e tutela di quelle esistenti;
  • uso sostenibile del sistema dunale e del parco attraverso strutture a carattere provviso- 
  • predisposizione di opere di riconfigurazione dei tratti di duna compromessi attraverso barriere lignee e salvaguardia e tutela delle dune esistenti;
  • rinaturalizzazione con piantumazione di specie arboree autoctone e tutela di quelle esistenti;
  • uso sostenibile del sistema dunale e del parco attraverso strutture a carattere provvisorio, percorsi di attraversamento dunale su palafitta, attrezzature ludiche per l’infanzia, per la fruizione turistico-sportiva dell’area.





 

domenica 16 ottobre 2022

Mondragone. Per un Parco Urbano delle Cementare






Allargare i propri orizzonti,
ricercare conoscenze ed emozioni
attraverso la scoperta
di un patrimonio e del suo territorio. 

Origet de Cluzeau (1998), Le Tourisme Culturel, Paris

 



Le “Cementare o Ciomentare” sono un vasto territorio situato alle pendici del versante sud-orientale del monte Petrino e rappresentano un’area costellata da immense pareti di tufo grigiastro, apppunto "cementare", che con i loro profondi “tagli” rendono il territorio un unicum dal punto di vista naturalistico-ambientale.

E' quel che resta di una intensa attività estrattiva che ha interessato il territorio di Mondragone fino agli anni 60 del secolo scorso, il tufo grigio (ciummienti) di Mondragone (ignimbrite campana), generato da una potente eruzione vulcanica avvenuta circa 39.000 anni fa.

Allo stato attuale i calanchi quasi verticali non consentono alla vegetazione di crescere sui crinali, cosicché essi appaiono nudi ed aridi, conferendo al paesaggio un aspetto quasi “lunare”.

Perché non farne un’Area protetta con un Centro di educazione ambientale per promuoverne la scoperta, la conoscenza e la fruizione oltre che la tutela e la vigilanza? 


Un autentico scrigno di geo-bio-diversità...


 
Le alte falesie di tufo grigio che denotano il paesaggio delle "Cementare"



Oggi comunemente sono definiti “beni paesaggistici” gli immobili o le aree che costituiscono espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio. La loro tutela, in quanto beni culturali che testimoniano in modo significativo  cultura,  storia e  civiltà di un popolo, è demandata nel nostro Ordinamento al Codice dei beni culturali e del paesaggio (Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42). 

Le “Cementare” penso che abbiano ogni buon diritto di essere comprese nei beni paesaggistici per le intrinseche peculiarità e come tale essere tutelate e valorizzate.



 


Le alte falesie di tufo grigio che denotano il paesaggio delle "Cementare"



Casa colonica in tufo grigio di Mondragone





Un Parco che si andrebbe ad inserire come un vero e proprio cuneo verde nella fascia pedemontana tra il Petrino e il Casale di Sant'Angelo, garantendo un corridoio biologico per numerose specie animali. Un sistema territoriale con pochi paragoni in Campania sia dal punto di vista storico archeologico, che da quello paesaggistico. Al suo interno si conservano scorci di campagna mondragonese con residui, fortunatamente scampati al fuoco che perennemente investe la zona, di macchia di pendio. 

Un Parco che andrebbe a conservare valori più generali, quelli generati dal rapporto, sempre complesso, ma a volte straordinariamente esemplare, tra natura e presenza dell'uomo, tra beni culturali e paesaggio.


Una estensione di circa 15 ettari, con un perimetro di circa 3 km, un territorio quasi incontaminato, con la presenza di immobili tipici dell’ambiente rurale mondragonese, sia sotto il profilo architettonico che per tipologia di materiale da costruzione, espressione di usi e costumi, valori e tradizioni che in mancanza di adeguata tutela, andrebbero per sempre persi.

La flora  è composta perlopiù da varietà autoctone: sono presenti ulivi, lecci, querce, cipressi, qualche limonaia, mirto, ginestra e lentisco, maestosi ceppi di fico d’India.

Attraversato dalla antica via Appia, presenta testimonianze archeologiche e storiche di importante valore.





Antico manufatto lungo il tracciato dell'Appia antica





Mura megalitiche lungo il tracciato dell'Appia antica



E’ necessario, per poter sfruttare adeguatamente il potenziale di tale patrimonio naturalistico-culturale, adottare misure che mirino alla sua conservazione, gestione e valorizzazione, non solo per adempiere ad una funzione conservativa, ma anche per innescare processi di crescita culturale ed economica della Città. 


"La valorizzazione del patrimonio culturale e la promozione del territorio possono essere una componente della programmazione e dello sviluppo turistico, e comportare risultati positivi sia in ambito strettamente turistico, sia in ambito culturale, contribuendo alla salvaguardia, alla valorizzazione e alla promozione del diversificato heritage di un territorio."





Veduta delle "Cementare" e del paesaggio urbano circostante


Le citazioni sono tratte da:
 Eliana Messineo, Le nuove frontiere del turismo culturale. Processi ed esperienze creative in un itinerario culturale. Il caso della Rotta dei Fenici, Tesi di dottorato - Università degli Studi di Palermo