La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

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sabato 9 marzo 2024

SINUESSA. Una colonia romana



Sinuessa. Muro poligonale in blocchi di calcare

Sinuessa nacque nel 296 a.C. quando, con lo scopo di difendere il tracciato dell'Appia (che fin dal 312 a.C. collegava Roma con Capua, la principale città della Campania), l'agro Vescino e quello Falerno, di recente colonizzato, dalle incursioni sannitiche e per creare una solida difesa costiera del territorio direttamente controllato da Roma, fu deciso di dedurre due colonie romane: l'una, Minturnae, a breve distanza dalla foce del  Garigliano e a controllo del passaggio del fiume, l'altra Sinuessa, al limite estremo del Latium adiectum e a guardia dello stretto passaggio, pianeggiante che, fra le estreme pendici della catena del Massico ed il litorale, permetteva di penetrare nella piana campana.


Sinuessa. Decumano ovest-est 

Il nome di Sinuessa compare, oltre che in questa dizione, nella forma Senuisa in una iscrizione di età augustea, e anche nella forma Sinuesa.

Gli scavi non hanno riportato alla luce nulla che sia anteriore alla fondazione della città, mentre non mancano reperti del II secolo a.C.

Probabilmente da respingere è dunque la tradizione riportata da Livio, che sul sito di Sinuessa vi sarebbe stata una più antica città "greca", Sinope: forse si tratta di una costruzione erudita, finalizzata a nobilitare le origini della città.

"ubi Sinope dicitur Greca urbs fuisse"


Mario Pagano, SINUESSA Storia ed Archeologia di una colonia romana, 
Ed. Duomo Sessa Aurunca, 1990



Sinuessa. Decumano est-ovest 




Sinuessa. Fontanile con abbeveratoio




Sinuessa. Particolare del fontanile


Incombe per tutta la costa desolata e adusta il silenzio secolare, interrotto dal monotono frangersi delle onde sulla minutissima arena. Il suolo brullo, dal quale a stento spunta qualche sterpo, qualche erba striminzita e qualche giungaia, forma un povero manto che covre tanta desolazione, mentre il mare cristallino e intensamente azzurro tremula e scintilla sotto i raggi del sole, formando uno sfondo vivissimo a tanto quadro di morte. Le dune si accavallano e si allungano in lunga teoria per la costa sinuosa fin verso Formia a occidente e fin verso la punta di Miseno a oriente, come dorsi di dromedari in fila, dando la sensazione degli sterminati deserti africani. Sotto quelle dune, accavallatesi per forza dei venti e per i millenni, sotto quel suolo, posteriore alle dune, sterile e inospitale, e sotto quelle onde terse e cristalline, giace la vetusta città di Sinope, tramutatasi poi in Sinuessa. Lungo la costa marina, e pei campi circostanti e verso nord, affiorano appena ruderi di muraglie, capitelli di colonne, frantumi di pavimenti a mosaico, cocci di anfore, e per tutta la estensione il suolo è seminato di rottami di vasi, di mattoni, di lapidi, di marmi. Chi si aggira attonito per quella sodaglia, sente qui e là il terreno addensato suonare sotto i piedi, indizio di vuoto nel sottosuolo. Sulle dune e sulla spiaggia il piede affonda fino alla caviglia per la finissima sabbia, sotto la quale pur si trovano avanzi della città. Lo studioso, con la sua fantasia, ricostruisce, sulle poche e indecise notizie desunte dai classici latini, la città di Sinuessa, smagliante e splendente, vastissima, coronata da edifici, da portici, da anfiteatri e da templi maestosi; ove Orazio e Virgilio si incontrarono nel viaggio a Brindisi sulla via Appia, che intersecava appunto la città di Sinuessa [...]
Biagio Greco, Storia di Mondragone, vol.I, 1927




Sinuessa.
Mosaico dalla villa romana di san Limato lussuoso esempio di residenza suburbana




Sinuessa.
Mosaico dalla villa romana di san Limato lussuoso esempio di residenza suburbana




Sinuessa.
Villa romana di san Limato lussuoso esempio di residenza suburbana




Sinuessa.
Villa romana di san Limato lussuoso esempio di residenza suburbana





sabato 17 gennaio 2015

Immortale Falerno! Nettare degli dei...


Manuela Piancastelli, valente giornalista de IL MATTINO, in un suo lavoro I Grandi Vini della Terra di Lavoro, parlando del Falerno dice:

Il vino più famoso dell’antichità in assoluto, fu il Falerno. E fu anche la prima doc del mondo perché, per la prima volta nella storia, il vino fu identificato nel territorio, ossia in quell’Agro Falerno sui cui confini si sono accapigliati per secoli gli studiosi, ma che doveva avere il cuore  nella zona tra Mondragone, Falciano e Carinola, ai piedi del monte Massico e che si estendeva lungo l’asse dell’Appia.
La storia ci racconta che i Greci, quando arrivarono in Italia fondando Cuma nel 730 a.C:, portarono come corredo anche alcune viti, le cosiddette aminee delle quali, nonostante la mole di studi, si sa in effetti ben poco. Plinio nella Naturalis Historia e Columella nel De re rustica, qualche secolo dopo, ne fecero una sorta di classificazione (maiuscola, minuscola, e gemella, cui fu aggiunta la germana e la lanata) che però ci aiuta poco nell'identificazione di quei vitigni con quelli attuali.


Mi sono imbattuto, facendo nelle mie ricerche, in un articolo a firma di Giovanni De Stasio, originario di Falciano del Massico, apprezzato giornalista de Il Mattino, Il Giornale di Caserta, Il Corriere del Mezzogiorno, autore di una pubblicazione proprio sul Falerno, di cui è un ottimo produttore, pubblicato su Caserta Economia & Lavoro, rivista on-line edita dalla Camera di Commercio di Caserta.

Il vino Falerno da nettare degli dei alla conquista di Parigi e del vitigno Primitivo

"Il vino è il canto della terra verso il cielo".
Così scriveva Luigi Veronelli considerato il più grande cantore moderno del vino che ha contribuito a fare la storia, la civiltà dei popoli. Il vino è il Falerno, considerato il "number one" dell'enologia antica e moderna. Il più antico, il più blasonato, il più celebre, il più caro vino della storia! 
La più inebriante bevanda dell'umanità. Una cosa è certa: il Falerno è la Storia. Come la Storia dell'antichità e della modernità. L'eternità! Certo nessun altro elemento resiste all'inesorabile usura del tempo, a dargli la paternità di infinità è il grande Marziale quando lo definisce "Immortale Falernum". Evidentemente presagiva che il Falerno conservasse la sua fama imperitura. Veramente un dono di Dio se si pensa che questa magica bevanda aveva svolto un ruolo, importante nella storia, nella cultura, nella tradizione, nell'economia dei popoli. Per non parlare dei suoi effetti miracolosi nel campo dell'amore, tanto da essere definito, dall'ex presidente dell'ordine regionale dei giornalisti Ermanno Corsi il "moderno Viagra". Ma non è che nell'antichità romana non avessero, sperimentato gli effetti afrodisiaci del Falerno. Lucano scriveva che il Falerno dava spinte vigorose e penetranti agli incontri di Cleopatra.
Ma è tutto il Parnaso latino ad elevare il suo inno di gloria al Falerno. Tutta la poesia e tutta la letteratura romana antica pullulavano di panegirici al Falerno, quasi considerandolo come un dio della salute e dell'amore. “Nettare degli dei ..... Massico umore di Bacco", il "vino degli imperatori" così veniva declamato nell'antichità latina. Basti ricordare che a quei tempi una cena, un pranzo per essere dichiarati "importanti e di lusso" dovevano essere innaffiati dal vino Falerno, che si fregiò della prima DOC al mondo.
Il grande Cesare festeggiò i suoi successi bellico-politici con il Falerno. E quando non si aveva la fortuna di possederlo, ci si scusava - come successe ad Orazio - che avendo invitato a cena si giustificava di non potergli offrire il mitico Falerno. Ma innaffiò le cene pantagrueliche di Trimalcione e Damisippo, dove avevano partecipato i potenti di allora.
Virgilio, nel secondo libro delle Georgiche scriveva che il Falerno non aveva rivali. Orazio definiva il Falerno un vino "severus", "fortis" e "ardens"; Marco Terenzio Varrone annetteva al Falerno una fortissima spinta propulsiva tale da chiamarlo "incendium virium"; Marziale lo inneggiava "Immortale Falernum"; non meno elogiativa l'espressione di Plinio che lo chiamava "auterumm"; Dionigi di Alicarnassa "soave e pulchri coloris"; Strabone "vinum optimum".
E quale l'apprezzamento del re del foro romano Cicerone? "firmissimum, generosum ac praecipuae bonitatis". E del poeta dell'amore Catullo? "Minister vetuli, puer, Falerni niger mihi calices amariores". 
Insomma tutta la produzione letteraria antica lo aveva consacrato il migliore vino del mondo, e logicamente il suo costo era altissimo. Una bottiglia di Falerno, sotto Diocleziano costava - così come riportano i classici latini - 60 dinari, ossia - osservava lo storico-archeologo Giuseppe Guadagno - "due Padreterni". Un'altra testimonianza sul prezzo del Falerno è di Falerno che scrive: “Il falerno costa molto”; Diodoro Siculo scriveva che un'anfora di quel vino si comprava con trentatre dinari. Con cento dinari si compravano due buoi o quattordici quintali di grano. Ad Ercolano - dice sempre Diodoro Siculo - con un bicchiere di Falerno si compravano le buone prestazioni di due etere. Insomma, il Falerno era così richiesto che la sua produzione non riusciva a soddisfare le tantissime richieste, tanto che esso veniva frequentemente falsificato. Regge gli anni di invecchiamento? Ecco una testimonianza dai classici: dal Satiricon di Petronio: "Intanto, vengono portate anfore di vetro, accuratamente sigillate col gesso; sull'etichetta di tela, che era attaccata al loro collo, si leggeva: Falerno del consolato di Opimio anni cento. Mentre guardavamo questa scritta, Trimalcione battè dolorosamente le mani dicendo: Ahimè! Il vino ha dunque più lunga vita di noi fragili creature umane? Ma noi ci vendicheremo succhiandolo tutto. Nel vino è la vita. Questo poi è quello di Opimio, garantito".
E la fama del Falerno è sfociata nella leggenda. La mitologia racconta che il dio Bacco, proprio sulle falde del monte Massico, comparve sotto mentite spoglie ad un vecchio agricoltore di nome Falerno, il quale, nonostante la sua umile condizione, lo accolse offrendogli tutto quanto aveva, latte, miele e frutta. Bacco, commosso, lo premiò trasformando quel latte in vino che Falerno bevve, addormentandosi subito dopo. Fu allora che Bacco trasformò tutto il declivio di Monte Massico in un florido vigneto.


Mondragone, località Tre colonne

Ma quale la culla di questo vino leggendario?
Macrobio scrive testualmente: "Il territorio Falerno, il Falernus Ager, si estende tra il Monte Massico ed il Volturno e precisamente nel territorio dell'antica Calenum". Ambrogio Calepino; l'umanista bergamasco del tardo 400, precisa che il vino Falerno è quello delle pendici del Massico, tra Falciano, Casanova, Ventaroli e Cascano".
Il disciplinare per la Doc al Falerno prescrive, però, che si produca nei 5 Comuni di Falciano del Massico, Carinola, Mondragone, Cellole e Sessa Aurunca. Ma ora una domanda sorge spontanea: il Falerno contemporaneo è ritornato - dopo la falcidia della fillossera del 900 - ad essere il "number one" dell'enologia mondiale?
Con questo secolo è ritornato ad essere l'immortale Falernum, l'incendium virium", il "nettare degli dei" dell'antichità? La risposta - anche se i tempi sono cambiati - è positiva. Specialmente se il Falerno lo si ricava dal vitigno Primitivo. Sia l'ex star Veronelli (l'ipse dixit dell'enologia moderna) che Luigi Moio, una vera e propria autorità mondiale dell'enologia e definito il "poeta del vino", hanno con forza definito il Falerno il vitigno Primitivo. 
Vitigno uva Primitivo
Anche se il disciplinare della DOC prescrive i vitigni Aglianico, Piedirosso e Barbera. Forse rispetto a prima oggi il Falerno non gode del marketing di allora. Prima osannato ed incensato da letteratura e da imperatori, oggi il mercato è selvaggio e non vince sempre il migliore prodotto. L'intossicazione della propaganda e l'egemonia dei "maghi del vino" la fanno da padroni. Ed è difficile che l'eccellenza vinca sulla mediocrità. Oggi tanti titoli si comprano. Però, malgrado tutto, il Falerno non vince, ma neanche perde la sfida dell'attuale "mercato globale" governato dalla "competition is competition".
I convegni, i seminari, le degustazioni sul Falerno sono all'ordine del giorno. Ed anche gli elogi per le ebbrezze che si sono provate nella degustazione dell'attuale Falerno, sono copiosi ed entusiastici.
La laurea di ottimo vino al Falerno è venuta dal grandissimo attore Laurence Olivier. Durante la lavorazione del film su Lady Hamilton a Palazzo Reale a Caserta, l'attore fu ospite del preside Troianiello che coltivava il Falerno sui colli di Casanova di Carinola, sempre alle falde del mitico Monte Massico. Quando ritornò a Londra, Laurence inviò al preside un biglietto che recitava testualmente: '"La ringrazio per il suo immenso gradito regalo di quell'eccellentissimo Falerno. Lo berrò col roast beef come lei suggerisce".
Un altro significativo riconoscimento arrivò tempo fa da una iniziativa della Camera del Commercio di Caserta dove veniva fuori che "il Falerno conquista Parigi". Un conclave tra i maggiori critici enogastronomici italiani e stranieri, promosse a piene mani il Falerno. Ma il protagonista della "tre giorni", svoltasi sul litorale domizio, fu Alain Passard. Il cuoco francese, insignito di tre stelle Michelin e titolare dell'Arpage di Parigi, è ritenuto tra i dieci migliori cuochi mondiali. Passard mise insieme cucina francese e l'antico Falerno. E Francois Maussr presidente del Grand europee du vin francese (una delle più importanti associazioni di assaggiatori di vino disse che il Falerno ha tutti i numeri per competere con i grandi rossi bordolesi di Francia".
E tanti e tanti altri simposi elogiativi per questa magica bevanda. Bevanda che manda in estasi il grande giornalista Roberto Gervaso che, in un epinicio al Falerno, scriveva sulla prima pagina de "Il Mattino" che il Falerno favoriva il talamo.

mercoledì 4 gennaio 2012

Il borgo Centore in territorio del comune di Cellole

Il borgo, che prende nome dalla omonima località, sorge ai limiti della fertile pianura di origine alluvionale contrassegnata dal massiccio del monte Massico, dalle pendici dei monti Aurunci e dal vulcano spento di Roccamonfina, a circa due chilometri dal fiume Garigliano che segna il confine tra Campania e Lazio.


Canale di bonifica nel pantano di Cellole


Edificato agli inizi degli anni cinquanta, su circa quattro ettari di terreno, rappresenta l’opera di chiusura dell’intervento di bonifica, iniziato negli anni ‘30 del più vasto territorio denominato “pantano di Cellole”, e l’applicazione, anche in questo territorio, della riforma fondiaria voluta dalla legge Sila (n.230 del 12/5/1950) e dalla cosiddetta legge stralcio (n. 841 del 21/10/1950), quest’ultima attuativa della riforma per tutto il territorio nazionale con l’espropriazione, la bonifica, la trasformazione e l’assegnazione dei terreni  ai contadini.


Una delle idrovore del Consorzio Aurunco di Bonifica 


Confluenza di un canale di bonifica nel fiume Garigliano

Borgo Centore rappresenta una tappa fondamentale nella storia urbanistica del territorio domitio in quanto realizzato per promuovere nuove forme di aggregazione per gli addetti all’agricoltura. Veniva offerta a mezzadri ed agricoltori la possibilità di vivere in abitazioni comode, spaziose, immerse nel verde con adeguati servizi quali scuola, chiesa, negozi di prima necessità, sottraendoli a condizioni di vita squallide e disumane.
Borgo Centore rappresenta una testimonianza della riforma agraria e nel suo insieme un esempio di architettura ed urbanistica caratterizzanti il primo dopoguerra e gli anni della rinascita dell’Italia, necessariamente da tutelare e salvaguardare per conservarli alla memoria delle future generazioni.
Il borgo è provvisto di viabilità interna percorribile liberamente con stalli di sosta, panchine disposte lungo i marciapiedi, spazi liberi davanti alla Chiesa ed alla scuola, a marcare il valore di socializzazione del borgo.


Nel 2012 la Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici per le Province di Caserta e Benevento ha sottoposto a vincolo il complesso edilizio "Borgo Centore" in quanto esempio di insediamento post-bellico di Cellole, testimonianza della riforma fondiaria avente lo scopo di realizzare l'espropriazione, la bonifica, la trasformazione e l'assegnazione dei terreni ai contadini e pertanto rivestente particolare interesse quale testimonianza dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche a norma dell'art. 10 comma 3 lettera d) decreto legislativo 42/2004.

Borgo Centore, chiesa di santa Caterina