La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

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venerdì 3 maggio 2024

Sessa Aurunca. Ponte Ronaco






Sessa Aurunca. Ponte Ronaco


Ponte degli Aurunci, o ponte Ronaco, collega la città di Sessa Aurunca, fondata nel secolo VIII a.C., e la Via Appia costruita dai Romani, edificato intorno al II secolo d.C., è composto da 21 arcate a pieno centro, in laterizio e reticolato, con pilastri in opera incerta intersecata da mattoni, e ancora oggi conserva la pavimentazione in basoli di epoca traianea. 

In quei tempi, l’orografia della zona richiese una notevole soluzione ingegneristica, capace di superare l’ampio vallone percorso dal Rio Travata. Durante il corso degli anni sono stati molteplici i ritrovamenti tombali risalenti anche all’epoca pre-romana, andati distrutti o inglobati in moderne strutture.




Sessa Aurunca. Ponte Ronaco



Così ne parlava, nel 1939, Giuseppe marchese di Pietracatella Ceva Grimaldi nella sua opera Considerazioni sulle pubbliche opere della Sicilia di quà dal faro dai Normanni fino ai nostri tempi


Proseguendo il viaggio si arriva al Garigliano, sulla quale passava la via Appia sopra nobil ponte. Il nostro Liri, che secondo Giustiniani doveva passare per sotto Sessa Aurunca, dove ancora oggi fluisce dell’acqua, ha un magnifico ponte, intatto, chiamato Ponte-ronaco.

Esso ha ventuno arco, e non già 24, come dice il Pratilli. La lunghezza dal primo arco sino all’ultimo è di 650 palmi, oltre di 110 altri palmi di tenuta, o sia catasto ne’ suoi estremi. La larghezza poi è di soli palmi 21. La fabbrica è tutta vestita di mattoni, ognuno di palmi due e quarto di lunghezza. I pilastri sono di fabbrica reticolata, val quanto dire non gran tempo introdotti prima di Augusto, ed i loro pedamenti veggonsi già di fabbrica a getto eseguita nelle casse, per cui non può non dubitarsi di essere stata l’opera eseguita in tempo che vi passava il fiume.  

 



Sessa Aurunca. Ponte Ronaco





Sessa Aurunca. Ponte Ronaco

E più recentemente, 

Francesco Pistilli, Recensione a "La struttura antica del territorio di Sessa Aurunca. Il ponte Ronaco e le vie per Suessa", in Archivio Storico di Terra di Lavoro, vol XII - anno 1990-1991, Caserta 1992


Esempio notevole nell’articolata tipologia delle opere pontiere romane, il ponte-viadotto sessano, presumibilmente costruito alla fine del I secolo d.C. o nei primi anni del II secolo, presenta una imponente successione di ben 21 arcate per una lunghezza di circa 176 metri e 6 di larghezza, che non trova riscontro in altre opere coeve ancora in situ né in Campania, né in Italia. La continuità d’uso attraverso i secoli ha determinato molto probabilmente la sua conservazione, agevolata dalla solida struttura muraria e dall’assunzione di funzioni nuove , con i conseguenti adeguamenti alle mutate condizioni dell’area non più idonea ai grandi traffici viari dopo la crisi dell’impero romano e le trasformazioni naturali del sito.




Sessa Aurunca. Ponte Ronaco


Nel corso dei secoli molte arcate sono state tamponate per formare abitazioni, stalle e fienili, ma ciò nonostante, il ponte si presenta, malgrado il tempo e l’incuria dell’uomo, in discrete condizioni di conservazione.


A partire dai primi anni del 2000, sono stati avviati importanti lavori di restauro del ponte da parte della Soprintendenza Archeologica, lavori che purtroppo hanno incontrato parecchi ostacoli e vicissitudini. 




Sessa Aurunca. Ponte Ronaco

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martedì 30 aprile 2024

Cenni storici e Studi su Maria SS. Incaldana. Solenne Giubileo dei 400 anni dalla sua definitiva traslazione a Mondragone

I pochi cenni storici sulla protettrice di Mondragone, Maria SS. Incaldana e sul luogo ove la stessa era custodita e venerata, ossia la chiesa annessa al convento dei padri Carmelitani che oggi conosciamo come chiesa del Belvedere, sono riportati nel Saggio storico della città di Carinola di Luca Menna, notaio in Carinola, a sua volta riportati dal vescovo di Sessa Aurunca mons. Giovanni Maria Diamare, nell'opera La Chiesa di Sessa.

Così ci raccontano:

Nella suddetta Chiesa Madre, ossia Vescovado, si venera la sacra e miracolosa effigie di Maria SS. Incaldana che era presso la torre de' bagni, ove sono le acque sinuessane; in una una chiesa del Monastero dei Padri Carmelitani, sul monte Petrino. Siccome nei primi tempi la terra di Mondragone dalle incursioni dei Turchi era continuamente molestata e soggetta a rapine, incendi, devastazioni, così una volta bersaglio di questo furore fu il suddetto Monastero con la Chiesa, per cui tutto fu saccheggiato, ed i voti, le tabelle e la Sacra immagine, che era un quadro di un legno sconosciuto, vennero alle fiamme consegnati.

Ma Dio si compiacque di consolare quella popolazione, che, penetrata dal dolore e dall'afflizione del lacrimevole avvenimento, libera che si vide da quei barbari, si portò all'adorato luogo per venerare quelle ceneri, tra le quali rinvenne il quadro della detta Vergine intatto, ma con un sol legno che tuttavia si osserva, cioè trovassi alquanto affumicato alla parte destra del suo volto e di quello del Bambino Gesù, e ciò per fare intendere alle generazioni future di essere stata tra le fiamme e miracolosamente preservata.

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Fu quindi restaurata quella chiesa dall'incendio sofferto e ricollocata ivi la detta immagine sacrosanta, verso della quale per l'operato miracolo maggiormente la devozione si infervorò. Fu venerata ivi per molti anni, ma poi, o per timore di altre invasioni di barbari o per causa della lontananza di detta chiesetta dal centro di Mondragone, nella Chiesa madre della città fu trasferita ed eletta di quella terra protettrice primaria.


La traslazione avvenne il 28 aprile dell'anno di grazia 1624, la Terra di Mondragone era dominio della famiglia Carafa. 





Ipotesi molto interessante è quella proposta da Domenico Caiazza in Mefitis regina Pia Iovia Ceria. Primi appunti su iconografia, natura, competenze, divinità omologhe e continuità cultuale della Domina Italica, studio riportato in Italica Ars. Studi in onore di Giovanni Colonna per il premio I Sanniti, 2005 (per coloro che volessero approfondire l’argomento, il volume è disponibile presso la Biblioteca Comunale di Mondragone, quale mio dono).


In questo studio Domenico Caiazza ricostruisce l'origine e la trasformazione del culto di Mefitis e la sua migrazione nella religiosità cristiana del culto di Maria Regina ed alla presenza di fonti di acqua.




Ecco cosa scrive a proposito di Maria SS. Incaldana, riporto testuale dalla pubblicazione:

Proprio con questo predicato è un’altra Regina delle acque mefitiche rintracciabile non lontano dal territorio di Sessa ed esattamente in quello limitrofo dell’antica Sinuessa, oggi Mondragone.

Qui è venerata una Madonna Incaldana = in gergo in caurana=nella caldana, ovvero delle acque che ribollono in un laghetto come in una caldaia. Anche una fonte sacra in Teano si chiamava la Cardarella = piccola caldana, e caldana era anche il nome di una fonte della stabilimento Ferrarelle di Riardo. A Mondragone il nome di Bagno della Regina è collegato al ricordo di una regina che venne a curare la sua sterilità con le acque. Sopra Fonte Lavino è il convento di S. Anna in Acquisvivis. Vi erano bagni termali rammentati da Strabone, ancora usati nell’alto medievo, come ricordato da fonti di epoca longobarda, dai quali deriva il nome Le Vagnole, mentre sulle carte IGM sono segnati i Bagni Sulfurei presso il passo di S. Maria Incaldana Vecchia, nella stretta tra montagna e mare e Acqua Sulfurea presso Maria SS. Incaldana.

L’effige della Vergine la mostra adorna della corona, in trono, con un seno scoperto al quale beve il Bambino.

A monte del Casino di Tranzi e dell’Incaldana Vecchia è monte Cicoli sul quale sono stati scoperti resti megalitici di un recinto circolare, interpretabile come una fortezza a guardia del passo e delle coste, ma sede perfetta anche per un tempio ben visibile dalla terra e dal mare. Che questo ipotizzabile tempio fosse dedicato a Marte è indiziato dall’omonimo della catena: Monte Massico o Marsico, ma il nome Caurana ricorda Iuno Gaura.

E va anche ricordato che le Acque Sinuessane sono rammentate da Tito Livio che dice che sin qui si spinse Annibale; evidentemente anche per saccheggiare i santuari. 

 

Ci pare perciò sostenibile che la Vergine Incaldana, continui il culto dell’antica Mefitis, visto che è una Madonna in trono, con corona, che allatta e sacralizza una fonte sulfurea. E’ dunque anch’essa una Madonna del Latte, o anche delle Grazie, tipo questo contraddistinto dall’offerta del seno al Bambino e ai fedeli e l’unica differenza iconografica con la Madonna dei Lattani, la mancanza dell’uccellino, potrebbe spiegarsi, in questo come in altri casi, con i rifacimenti dell’immagine, visto che le vicine Madonne delle Grazie di Minturno e Francolise hanno anche questo simbolo.

  

martedì 23 aprile 2024

L'iconografia di Maria SS. Incaldana: dalla tavola bruciata all'immagine bizantina



Basilica Minore Maria SS. Incaldana




Basilica Minore Maria SS. Incaldana




1624-2024
28 aprile

400 anni dalla traslazione
della sacra immagine di Maria SS. Incaldana
nella città di Mondragone.



L'icona di S. Maria Incaldana, nota anche come Madonna del Belvedere e Prodigiosa, è opera di ignoto del XII-XIV secolo, realizzata su di una tavola in legno di quercia delle dimensioni di 66 x 45,5 cm e 4 cm di spessore. Custodita presso il Convento del Belvedere, sito in località Caldana (zona nota nel mondo romano per la presenza delle Terme Sinuessane), fu trasferita per la prima volta nella cittadella di Mondragone verso la metà del XIV secolo, a causa dei lavori di restauro che interessavano il Belvedere dopo una incursione saracena. Ospitata nella chiesa dell'Annunziata (ora di san Francesco), la tavola sacra ritornò dopo un breve periodo, nuovamente al convento restaurato; ma per i continui timori, giustificati a causa delle frequenti incursioni saracene, la Madonna Incaldana, nei primi anni del Seicento fu trasferita definitivamente nella cittadella fortificata di Mondragone, ospitata nella Collegiata di san Giovanni Battista, dove è custodita tuttora. 

La tavola della Vergine con il Bambino in grembo è contenuta in una pala in argento massiccio di origine settecentesca, più volte rifatta perché oggetto di furto, ultimo in ordine di tempo, avvenuto negli anni '80. La pala a sua volta, è contenuta in una nicchia ricavata all'interno di un altare del Settecento, in marmi policromi.




Basilica Minore Maria SS. Incaldana




L'immagine della Madonna che si ammira oggi, è il frutto di un restauro avvenuto nel 1953, quando la tavola lignea era oramai gravemente rovinata anche a seguito di un precedente pessimo restauro.
Il restauro attuato in base ai principi di conservazione delle parti non degradate o comunque poco danneggiate, con il rifacimento di quelle mancanti, ha restituito una Madonna con il Cristo, che nei caratteri generali potrebbe intrattenere dei legami con l'arte bizantina.


Corrado Valente,  Notizie storiche sull'icona di S. Maria Incaldana in Monumentalia - Frammenti di memoria, Mondragone 1995 





La tavola prima del restauro






Maria SS. Incaldana


Prima del 1953, anno in cui la tavola fu restaurata portando alla luce l'immagine che oggi possiamo ammirare, l'icona della Protettrice veniva desunta e riportata nelle immagini facendo riferimento a modelli similari conosciuti.
Il restauro portò alla luce un dipinto di chiara ispirazione bizantina e pertanto ascrivibile al periodo dell'Arte bizantina nell'Italia meridionale (XIII secolo ?).
Le caratteristiche più evidenti dei canoni dell'arte bizantina sono la religiosità, l'anti-plasticità e l'anti-naturalismo, intese come appiattimento e stilizzazione delle figure, volte a rendere una maggiore monumentalità ed un'astrazione soprannaturale.




Maria SS. Incaldana 
(immagine prima del restauro del 1953)




Maria SS. Incaldana 
(forse la prima immagine dopo il restauro del 1953)



Maria SS. Incaldana 
(foto gentilmente concessa da Angelo Razzano)




Maria SS. Incaldana 
immagine dopo il restauro




Maria SS. Incaldana
di M. 
Severino 
in una rara litografia di Fr. Rinaldini e F.  (collezione privata)

La Litografia Rinaldini è attiva a Napoli, san Biagio dei Libri 
già dalla seconda meta del XIX secolo nel campo della riproduzione delle opere religiose 





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Nell'anno 2006, Poste Italiane spa, ha dedicato alla sacra icona un francobollo commemorativo nell'ambito della serie tematica "Il patrimonio artistico e culturale italiano", con annullo speciale "Mondragone 1.4.2006 giorno di emissione".





Così il Ministero delle Comunicazioni descrive il contesto che ha originato il 45 centesimi dedicato a Maria Santissima Incaldana.
Immagine di origini bizantine miracolosamente scampata all'incendio della cappella che la custodiva; la sua storia si confonde con le radici della città di Mondragone, ove non è solo simbolo religioso oggetto di profonda devozione popolare, ma è soprattutto l'emblema di una identità comune che unisce i cittadini nei secoli e tra i continenti.


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Formella maiolicata Maria SS. Incaldana
 (collezione privata)



Immagine di Maria SS. Incaldana
Forse l'immagine più popolare nelle abitazioni dei mondragonesi
 

sabato 9 marzo 2024

SINUESSA. Una colonia romana



Sinuessa. Muro poligonale in blocchi di calcare

Sinuessa nacque nel 296 a.C. quando, con lo scopo di difendere il tracciato dell'Appia (che fin dal 312 a.C. collegava Roma con Capua, la principale città della Campania), l'agro Vescino e quello Falerno, di recente colonizzato, dalle incursioni sannitiche e per creare una solida difesa costiera del territorio direttamente controllato da Roma, fu deciso di dedurre due colonie romane: l'una, Minturnae, a breve distanza dalla foce del  Garigliano e a controllo del passaggio del fiume, l'altra Sinuessa, al limite estremo del Latium adiectum e a guardia dello stretto passaggio, pianeggiante che, fra le estreme pendici della catena del Massico ed il litorale, permetteva di penetrare nella piana campana.


Sinuessa. Decumano ovest-est 

Il nome di Sinuessa compare, oltre che in questa dizione, nella forma Senuisa in una iscrizione di età augustea, e anche nella forma Sinuesa.

Gli scavi non hanno riportato alla luce nulla che sia anteriore alla fondazione della città, mentre non mancano reperti del II secolo a.C.

Probabilmente da respingere è dunque la tradizione riportata da Livio, che sul sito di Sinuessa vi sarebbe stata una più antica città "greca", Sinope: forse si tratta di una costruzione erudita, finalizzata a nobilitare le origini della città.

"ubi Sinope dicitur Greca urbs fuisse"


Mario Pagano, SINUESSA Storia ed Archeologia di una colonia romana, 
Ed. Duomo Sessa Aurunca, 1990



Sinuessa. Decumano est-ovest 




Sinuessa. Fontanile con abbeveratoio




Sinuessa. Particolare del fontanile


Incombe per tutta la costa desolata e adusta il silenzio secolare, interrotto dal monotono frangersi delle onde sulla minutissima arena. Il suolo brullo, dal quale a stento spunta qualche sterpo, qualche erba striminzita e qualche giungaia, forma un povero manto che covre tanta desolazione, mentre il mare cristallino e intensamente azzurro tremula e scintilla sotto i raggi del sole, formando uno sfondo vivissimo a tanto quadro di morte. Le dune si accavallano e si allungano in lunga teoria per la costa sinuosa fin verso Formia a occidente e fin verso la punta di Miseno a oriente, come dorsi di dromedari in fila, dando la sensazione degli sterminati deserti africani. Sotto quelle dune, accavallatesi per forza dei venti e per i millenni, sotto quel suolo, posteriore alle dune, sterile e inospitale, e sotto quelle onde terse e cristalline, giace la vetusta città di Sinope, tramutatasi poi in Sinuessa. Lungo la costa marina, e pei campi circostanti e verso nord, affiorano appena ruderi di muraglie, capitelli di colonne, frantumi di pavimenti a mosaico, cocci di anfore, e per tutta la estensione il suolo è seminato di rottami di vasi, di mattoni, di lapidi, di marmi. Chi si aggira attonito per quella sodaglia, sente qui e là il terreno addensato suonare sotto i piedi, indizio di vuoto nel sottosuolo. Sulle dune e sulla spiaggia il piede affonda fino alla caviglia per la finissima sabbia, sotto la quale pur si trovano avanzi della città. Lo studioso, con la sua fantasia, ricostruisce, sulle poche e indecise notizie desunte dai classici latini, la città di Sinuessa, smagliante e splendente, vastissima, coronata da edifici, da portici, da anfiteatri e da templi maestosi; ove Orazio e Virgilio si incontrarono nel viaggio a Brindisi sulla via Appia, che intersecava appunto la città di Sinuessa [...]
Biagio Greco, Storia di Mondragone, vol.I, 1927




Sinuessa.
Mosaico dalla villa romana di san Limato lussuoso esempio di residenza suburbana




Sinuessa.
Mosaico dalla villa romana di san Limato lussuoso esempio di residenza suburbana




Sinuessa.
Villa romana di san Limato lussuoso esempio di residenza suburbana




Sinuessa.
Villa romana di san Limato lussuoso esempio di residenza suburbana





sabato 20 maggio 2023

Pietre che raccontano... [S]IBI FEC[IT]


Oggi, e chissà da quando tempo, è divenuto una pietra da appoggio, per i mondragonesi 'nu puoiu, ma in origine molto probabilmente dovette essere un importante architrave.

La casa, ma forse anche il monumento sepolcrale, sicuramente quella di un blasonato scalpellino di Sinuessa.

Si tratta della pietra del
[S]IBI FEC[IT]
Fece per sé

Di seguito ottimamente scolpito nella stessa pietra proprio uno scalpello, simbolo dell'Arte.

Trovandovi a passare per il Casale di Sant'Angelo, la potete ammirare nel cortile proprio di fronte alla medievale chiesetta di san Mauro.




domenica 26 febbraio 2023

Il “Trofeo dei Bagni” della Rocca di Mondragone




L’imponente opera fu realizzata da Giovanni da Nola e da Annibale Caccavello, su commissione di Gonzalo Fernandez de Cordova III duca di Sessa, nipote dell’omonimo Gran Capitano che, al comando delle truppe di Ferdinando il Cattolico, aveva assicurato, nel 1503, il Regno di Napoli alla Spagna.





Gonzalo Fernandez de Cordova, giunto a Sessa nel 1549, volle celebrare la vittoria dell’avo presso i Bagni della Rocca di Mondragone, collocandovi all’ingresso il grandioso monumento.

Il monumento venne poi spostato a Sessa nel 1558, sull’antica porta del Macello, a causa delle incursioni dei saraceni.

La porta assunse da allora il nome di Porta del Trofeo.

I lavori per la sistemazione del Trofeo sulla porta iniziarono, secondo una testimonianza lasciateci da G. Fuscolillo, Storia del Regno di Napoli, nel gennaio del 1558. 

Scrive infatti il cronista: 

"A di 26 del mese de jennaro del 1558 de merchudi fo derogate de scassare la potecha de mastro Loisi de pari ed altro potecha con membri de sopra che era de m. Belardino Soave quale dico loco se deceva la porta del Macello et perché questo servivo per ce mecter lo tropheo del Gran Capitano"


Dal 1873, il Trofeo è ospitato nelle sale del Museo Campano a Capua, considerato una delle più importanti testimonianze della scultura del ‘500 in Europa. 


Il monumento si presenta come un'armatura decorata con la gorgone, infissa su di un tronco e completata da un elmo a protome leonina e cimiero. 

In origine era fiancheggiato da uno scudo anch’esso decorato con la gorgone. Completava il trofeo un basamento con iscrizione, redatta da Paolo Giovio, ora conservato nel Duomo di Sessa Aurunca.




La citazione è tratta da:
 
Giuseppe Parolino, Sessa Aurunca. Storia della Toponomastica, Caramanica editore, 2005