La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

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sabato 20 aprile 2024

Museo della Civiltà contadina - Borgo di Catailli, Conca della Campania






Nulla di meglio al mondo dei selvaggi, 
dei contadini e della gente di provincia, 
per studiarne a fondo e in ogni senso
costumi e abitudini.

H. de Balzac 






Museo della Civiltà contadina



Il Museo nasce nel 2017 da un'idea del Presidente della odierna "Associazione Museo della Civiltà contadina" presso il Borgo di Catailli di Conca della Campania, un Museo per non dimenticare l'antica civiltà contadina, il tempo in cui si viveva a stretto contatto, e con il lavoro, della terra.

Circa un migliaio di reperti sono oggi conservati ed esposti nella casa di famiglia del fondatore, più precisamente nei pressi del grande porticato, in quella che un tempo era una grande stalla e nei locali adiacenti alla zona forno, dove ancora oggi si respira il profumo della fatica e l'essenza dell'amore con cui le donne dell'epoca si accingevano a preparare e cuocere il pane e tantissimi dolci.

Si possono ammirare gli ambienti, sapientemente ricostruiti, dei locali in cui avveniva la prima lavorazione dell'uva: grandi tini, botti, torchi, tinozze, pigiatrici, imbuti e tutti gli attrezzi necessari per questo tipo di lavorazione.



Museo della Civiltà contadina


Si può ammirare e visitare la ormai famosa e stravisitata "Casa del contadino", un vero e proprio fermo-immagine di vita vissuta in povertà, con tanta umiltà e semplicità, ma piena di valori. Un'ambientazione ferma agli inizi della seconda metà del secolo scorso: si possono ammirare l'umile cucina, la grande dispensa e la camera da letto, il tutto corredato da oggetti della vita quotidiana dell'epoca.



Museo della Civiltà contadina



Museo della Civiltà contadina


Nel Museo è possibile vedere quegli strumenti che hanno scandito i tempi della vita quotidiana dei nostri antenati, dall'aratura alla semina, dalla raccolta alla conservazione, gli strumenti utilizzati per il lavoro nei campi, ma anche gli utensili della vita quotidiana. Si spazia dagli aratri in ferro e legno, ai gioghi per buoi e mucche; madie per la lavorazione del pane e ceste in vimini; oggetti in rame, anfore, orci e vasi antichi; le prime macchine per cucire, ferri da stiro ed utensili per calzolai, falegnami e fabbri.

Si possono ammirare macchine agricole a funzionalità manuale come snocciolatrici e sgranatrici per il mais; una antica pressa per paglia e fieno, arcolai e cardalana.

Un vero e proprio "viaggio nel tempo e nelle nostre radici", amabili resti di una civiltà ormai in via di estinzione, un contributo alla crescita culturale e sociale del Territorio finalizzato all'educazione ed alla conoscenza dei giovani.

Un Museo che è una vera e propria "Teca della Memoria", un racconto demo-etno-antropologico della vita contadina fino all'immediato dopoguerra con ritmi, tempi ed economie legate ai cicli naturali della vita.



Museo della Civiltà contadina




Museo della Civiltà contadina




Museo della Civiltà contadina





Museo della Civiltà contadina





Museo della Civiltà contadina






venerdì 19 aprile 2024

Il Cristo Crocifisso di Scuola giottesca (dipinto, 1330 - 1331) nella Cattedrale di Teano

 


Il Cristo Crocifisso di Teano


Il Crocifisso su tavola, esemplato su un prototipo giottesco, si distingue per una fisionomia ablunga, una "nuova inclinazione della testa che rende particolarmente ombroso e morbido il trapasso tra mento e collo, nella particolare forma e trasparenza del perizoma", mosso dal vento lateralmente "e nel peculiare restringimento della fronte realizzato grazie ad una corona di spine e ad una frangia della stessa capigliatura". Una decorazione a tralci fogliacei orna i laterali della traversa.

Così lo descrive la scheda del Catalogo Generale Beni Culturali.

Il magnifico crocifisso, un dipinto ad olio su tavola (1330-1331), venne rinvenuto fra le rovine della chiesa Cattedrale di Teano, semidistrutta dalle incursioni aeree del 1943, e venne restaurato dalla Soprintendenza di Napoli.

Attualmente è esposto nell'abside centrale della Cattedrale di Teano.


Il crocifisso di Teano, attribuito nel 1960 da R. Causa, a Roberto Oderisi, è stato successivamente dal Bologna ascritto all'attività del Maestro di Giovanni Barrile, (in via ipotetica identificato con Antonio Cavarretto), maestro la cui formazione sarebbe stata legata alla presenza di Giotto e della sua équipe a Napoli (il Bologna attribuiva infatti al nostro anche alcuni frammenti di affresco di un finestrone della Cappella Palatina in Castelnuovo, ove in contemporanea aveva lavorato Giotto, un affresco pauperistico-angioino nella Chiesa di S. Chiara, ecc.) e del quale evidenziava forti paralleli con il "Maestro delle vele". "Tutto il dipinto è infatti tessuto con la stessa intelligenza acutamente pittorica [---] dimostrando attitudini veramente notevoli a costruire la forma per mezzo di un'analisi puramente luministica della sua consistenza esistenziale nell'atmosfera e mediante un processo di unione del colore affatto giottesco, che produce un risultato altamente veridico". Il Bologna avanzava inoltre, per il crocifisso in questione, la datazione 1331, in corrispondenza della nomina di Bertrando del Balzo, feudatario di Teano, giustiziere e maresciallo del Regno da parte di Roberto d'Angiò del comando delle truppe guelfe in Toscana al tempo della discesa di Giovanni di Boemia. Il Leone de Castris riprende la ricostruzione dell'attività del Maestro di Giovanni Barrese, operata del Bologna ha evidenziato la stretta affinità tra un gruppo di crocifissi, (quello di Teano; di Ognissanti).

Dalla scheda del Catalogo Generale dei Beni Culturali.





Il Cristo Crocifisso di Teano






Il Cristo Crocifisso di Teano





Il Cristo Crocifisso di Teano
Catalogo Generale dei Beni Culturali



Nell'anno 2015 il Cristo Crocifisso e la Città di Teano furono parte del circuito “Giotto – L’Italia ed i luoghi”, un progetto del Ministero dei Beni Culturali realizzato nell’ambito di Expo 2015.
Dieci città in 35 meravigliose tappe con un unico filo conduttore "Giotto e la scuola giottesca", da Firenze a Milano, Padova, Rimini, Roma, Assisi, Perugia ed infine Teano per giungere fino a Napoli.

Giotto, infatti, lavorò a Napoli dal 1328 al 1333, su incarico di Roberto D'Angiò.

Sono pure in questa città alcune pitture di man propria di Iocto, come è nella ecclesia delle monache di Santa Clara: quale ecclesia è tutta pinctata di sua mano”.

Pietro Summonte 

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Foto: Salvatore Bertolino

sabato 3 febbraio 2024

Le Matres Matutae






L'ex voto è la rappresentazione materiale di quella che 
per anni è stata definita "cultura subalterna" e 
contemporaneamente un mezzo per ricostruire 
la religiosità popolare e le tracce dell'uomo "immerso" 
nel confronto con la parte visibile del suo Sé, la sua anima.

Lucia Malafronte, Ex Voto, Edizioni Intra Moenia





Le Matres Matutae sono sculture in tufo raffiguranti donne sedute con in grembo uno o più bambini in fasce.

Le prime Madri furono rinvenute accidentalmente nei pressi dell’antica Capua nel 1845 (esattamente a Curti, fondo Patturelli), raccolte intorno ai resti di una grande ara in tufo.
Solo tra il 1873 e il 1887 si effettuarono ricerche con finalità archeologiche che portarono alla luce un numero considerevole di statue e solo qualche elemento del tempio. Fra le statue un’unica scultura che, invece di reggere neonati tra le braccia, aveva in una mano una melagrana e nell’altra una colomba, simboli di fecondità e di pace. Quella scultura, che raffigurava la divinità tutelare del tempio, è stata individuata come una delle diverse rappresentazioni dell’antica dea italica dell’aurora e della fecondità muliebre: la Bona Dea, o Damia, come da rilevazioni di alcune scritture pare venisse chiamata nel territorio di Capua la “Mater Matuta
Le Madri, invece, rappresentano probabilmente degli ex voto considerato, un’offerta propiziatoria e un ringraziamento per la concessione del bene della fecondità. Nel tempo, per le sculture in tufo, si è consolidata la dizione Matres Matutae. 
La collezione conta oltre centotrenta statue, datate presumibilmente tra il IV e il I secolo a.C. è conservata presso il Museo Campano nel palazzo Antignano a Capua dove le è stata dedicata un'intera ala.
 
Testo dal web 
foto Salvatore Bertolino




Mater Matuta




Mater Matuta




Mater Matuta




Mater Matuta




Matres Matutae con opere d'arte in esposizione


martedì 30 gennaio 2024

Il Vaso di Issione al Museo Campano di Capua


Il Vaso di Issione (IV-V sec. a.C.)


Tra la vasta collezione di vasi attici a vernice rossa del IV-V sec. a.C. conservati al Museo Campano di Capua, ce n'è uno che attrae subito l'attenzione, la raffigurazione di una figura umana maschile chiusa in un cerchio. A prima vista sembrerebbe una decorazione antesignana dell'uomo vitruviano di Leonardo da Vinci, si tratta del Vaso di Issione.

Ecco il mito:
Issione, re dei Lapiti e figlio di Flegia, aveva scelto di sposare Dia, figlia di Deioneo (o Ioneo) promettendo al suo futuro suocero una sostanziosa dote. Il ricco premio nuziale sarebbe stato consegnato durante un festino che Issione aveva organizzato presso la sua dimora, ma in realtà la riunione conviviale altro non era che un tranello. Infatti, sulla soglia del palazzo Issione aveva fatto scavare una fossa che fu riempita di carboni ardenti. Dioneo, inconsapevole, vi cadde dentro e morì bruciato. Dopo l’azione malvagia Issione fu perseguitato dalla totalità dei mortali, tanto che fu preso da follia. Solo Zeus si mosse a pietà e dopo averlo purificato del delitto commesso, gli permise addirittura di partecipare alla sua mensa, ma il nostro eroe non tenne in alcuna considerazione la magnanimità del suo benefattore. Così architettò di sedurre Era, sposa di Zeus, sicuro che ella avrebbe accettato le offerte amorose per vendicarsi dei continui tradimenti del marito.
La dea invece riferì tutto allo sposo il quale si vendicò formando in una nuvola il simulacro di Era. Issione ubriaco non si accorse della sostituzione e si unì ad essa convinto di unirsi ad Era. Zeus, quando fu certo del tradimento del suo ospite, ordinò ad Ermete di frustarlo a sangue perché ripetesse: Chi fa del bene deve essere onorato. Poi lo fece legare con serpenti ad una ruota di fuoco a quattro raggi e lo scagliò nel cielo perché vi roteasse in eterno. Il simulacro di Era, che poi prese il nome di Nefele, generò un essere mostruoso che in età matura si accoppiò alle cavalle della Magnesia dando origine alla serie dei Centauri, tra i quali anche Chirone che divenne famoso per essere maestro di eroi e di divinità.



Il Vaso di Issione (IV-V sec. a.C.)


sabato 20 maggio 2023

Pietre che raccontano... [S]IBI FEC[IT]


Oggi, e chissà da quando tempo, è divenuto una pietra da appoggio, per i mondragonesi 'nu puoiu, ma in origine molto probabilmente dovette essere un importante architrave.

La casa, ma forse anche il monumento sepolcrale, sicuramente quella di un blasonato scalpellino di Sinuessa.

Si tratta della pietra del
[S]IBI FEC[IT]
Fece per sé

Di seguito ottimamente scolpito nella stessa pietra proprio uno scalpello, simbolo dell'Arte.

Trovandovi a passare per il Casale di Sant'Angelo, la potete ammirare nel cortile proprio di fronte alla medievale chiesetta di san Mauro.




lunedì 3 ottobre 2022

La Villa romana della Starza, un'occasione mancata



Mondragone, villa romana in località Starza 

con il sovrastante Casino di caccia borbonico





L’Appiaday, la giornata dedicata alla Regina viarum, cioè l’Appia antica, che si è tenuta ieri ha avuto un autentico successo, consentendo ai numerosi cicloturisti, e non, partecipanti di conoscere ed apprezzare alcune delle bellezze e consistenze archeologiche che costellano il territorio di Mondragone, da san Giustino a Tre Colonne, e poi dal Triglione fino al parco Archeologico in località Cimitero, passando dalla villa con l'omonima chiesetta di san Rocco, oggi rinomata ed apprezzata struttura ricettiva.

Peccato che non si sia potuto ammirare ed apprezzare uno dei gioielli più belli e per di più a pochi metri dal selciato riportato alla luce dell’Appia,  la villa romana della Starza, uno degli esempi meglio conservati di ville rustiche dell’Ager Falernus

La struttura della villa della Starza si articola in molteplici corpi di fabbrica con murature in opus incertum.


Mondragone, pianta del criptoportico in località Starza

(da Prospettive di memoria. Testimonianze archeologiche dalla città e dal territorio di Sinuessa, 1993)


Nella parte rivolta a sud un criptoportico, parzialmente ipogeo, che si presenta come un podio di grandi dimensioni, a pianta pressoché regolare articolata su tre bracci, all’interno dei quali si sviluppa la pars rustica della villa. Dal braccio più lungo si accede ad una cisterna della lunghezza di circa 14 metri, interamente rivestita in cocciopesto e su una parete i resti di un filtro per la depurazione delle acque.





Mondragone, località "Starza"

©Salvatore Bertolino 

(le arcate prima del crollo, foto febbraio 2012)




Mondragone, località "Starza"

©Salvatore Bertolino 

(le arcate prima del crollo, foto febbraio 2012)


Nella parte rivolta a nord, invece, i resti, oggi non più visibili a causa della folta vegetazione di quello che era l’acquedotto che adduceva l’acqua alla villa rustica.

Fino a qualche anno fa residuavano due arcate, penso di aver scattato ad esse le ultime foto (febbraio 2012), prima che nel novembre dello stesso anno uno degli archi, a causa della mancata manutenzione e degli eventi climatici, crollasse.

 



Mondragone, località "Starza"

©Salvatore Bertolino 

(arcata crollata, foto febbraio 2012)


Mondragone, località "Starza"

©Salvatore Bertolino 

(arcata residua, foto febbraio 2012)



Una denuncia, partita dall’Archeoclub di Mondragone a mezzo dell’allora Presidente Michele Russo,  della particolare  situazione di degrado e di abbandono che stava minando uno dei gioielli archeologici della città: i resti dell’acquedotto lungo la via Appia antica del criptoportico in località "Starza", rimase inascoltata.

A tutt’oggi non siamo a conoscenza se la Soprintendenza Archeologica di Caserta abbia provveduto al recupero del materiale dell’arcata caduta per evitare che un'importante testimonianza archeologica del nostro territorio scompaia per sempre.

lunedì 8 novembre 2021

La conoscenza del Territorio: la Torre di Pandolfo Capodiferro o Turris ad Mare


La Turris ad Mare in una cartolina prima della grande guerra

Foto tratta da:
Torre Pandolfo Capodiferro
Catalogo per la promozione e la sensibilizzazione finalizzata alla conoscenza del territorio
,
Ada Restauri, 2015

A poca distanza dall’antica Minturnae, sulla sponda sinistra del Garigliano, sorgeva un monumento testimone di alcune tra le più importanti e significative battaglie del meridione dal Medioevo al Risorgimento italiano: la Turris ad Mare, conosciuta meglio con l’appellativo di Torre di Pandolfo Capodiferro.

Nell’autunno del 1943, tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre le truppe tedesche in ritirata devastarono il territorio, facendo saltare in area tutte quelle fabbriche che potevano rappresentare un pericolo al loro arretramento. Tra queste, purtroppo, la Turris ad Mare  che con i suoi oltre venticinque metri di altezza era un punto di vista privilegiato per le armate alleate. In questo modo scomparve uno dei pochi monumenti che conservavano ancora, inalterata, tanta forza di vita e potenza di suggestione.



I ruderi della Torre 


I ruderi della Torre 


I ruderi della Torre 



I ruderi della Torre 




I ruderi della Torre dalla sponda destra del Garigliano


La Torre aveva resistito per circa mille anni, è infatti ipotizzabile la sua costruzione tra il 961 ed il 981 sulla base di due epigrafi esistenti sulla torre stessa e la sua edificazione voluta da Pandolfo Capodiferro, principe di Benevento e di Capua dal 943 al 981,  per celebrare la vittoria della Lega Cristiana contro i Saraceni che si erano stabiliti nella piana del Garigliano tra la fine del IX e gli inizi del X secolo.


Iscrizione della Torre di Pandolfo

HANC QUONDAM TERRAM VASTAVIT GENS AGARENA
SCANDENS HUNC FLUVIUM FIERI NE POSTEA POSSIT
PRINCEPS HANC TURRIM PANDOLOHUS CONDIDIT HEROS
UT SIT STRUCTORI DECUS ET MEMORABILE NOMEN




La fabbrica era stata testimone in circa dieci secoli della storia del territorio ed era sopravvissuta ad alcune importanti battaglie combattute sulle rive del fiume Garigliano, nel 1503 tra francesi e spagnoli per la conquista del Regno,  nel 1860 tra piemontesi ed esercito borbonico, ed ancora nel 1815, durante la campagna italiana di Murat, tra napoletani e austriaci.




 


  

Bibliografia di riferimento:

  • Cesare Crova, Cenni sulla Torre di Paldolfo Capodiferro alla foce del fiume Garigliano e brevi riflessioni su una sua proposta ricostruzione, in Nella Terra di Fina scritti in memoria di Vittorio Ragucci, Caramanica editore, 2014 
  •  Torre Pandolfo Capodiferro. Catalogo per la promozione e la sensibilizzazione finalizzata alla conoscenza del territorio, Ada Restauri, 2015





sabato 6 febbraio 2021

"La Chiesa vecchia" a Sant'Andrea del Pizzone

“Alcune chiese si suole dire che appartengono 
alla categoria minore per i caratteri di 
estrema semplicità costruttiva e formale, 
ma certamente esse risultano più vicine 
alla dimensione umana che non
 i grandi modelli architettonici.”

 



Sant'Andrea del Pizzone di Francolise. Santa Maria delle Grazie o Chiesa vecchia 

  

La chiesa, dedicata a S. Maria delle Grazie, si apre nella piazzetta denominata “Chiesa Vecchia”. 

La semplicità e la povertà sono caratteristiche peculiari di questa chiesa. L’ubicazione del manufatto, a margine della strada e a confine con la campagna, ne fa un esempio molto suggestivo per la sua struttura architettonica ad unica navata absidata con campanile in facciata, inusuale nella tipologia costruttiva locale. La chiesa è preceduta da un ampio sagrato che è stato di recente realizzato in basolato vulcanico con inserti di pietra bianca locale. 

La facciata, orientata a est, colpisce per la semplicità e l’eleganza della struttura architettonica che presenta, oltre alla porta d’ingresso, solo due semplici finestre schermate da inferriate. Nel lato esposto a sud, privo di intonaco, si nota una teoria di archi realizzati in tufo vulcanico. 

Caratteristico è il campanile sotto il quale si transita per accedere in chiesa; esso è sorretto da quattro colonne quadrate poggianti su dei basamenti in pietra. All’interno, questa piccola chiesa di campagna, che si sviluppa in senso longitudinale, presenta l’aula liturgica idealmente divisa dalla parte presbiterale da un salto di quota in corrispondenza dell’arco centrale che funge da appoggio alla copertura in legno. Sia sulla parte absidale sia sulle pareti della navata sono presenti brani di pregevoli decorazioni a fresco. In particolare si nota una teoria di Santi nell'abside. Altre figurazioni si trovano sulle pareti perimetrali, ma gran parte di esse sembrerebbe essere al di sotto dello scialbo. 

La copertura è costituita da un’orditura principale in travi di castagno e da un’orditura minore su cui appoggiano le tegole alla napoletana, ben visibili anche dall'intradosso.




















Testo dal web
Foto: Salvatore Bertolino