La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

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sabato 25 maggio 2024

Luigi Vanvitelli a Mondragone



 

A distanza di circa 270 anni, Luigi Vanvitelli è di nuovo a Mondragone e questa volta non nelle rinomate cave di marmo che lo videro protagonista insieme ai più abili cavatori dell'epoca, bensì nel Palazzo Ducale  che nelle linee essenziali ricorda la sua architettura. 

Luigi Vanvitelli ritorna a Mondragone con una Mostra itinerante in occasione del 250° anniversario della sua morte organizzata dalla Pro Loco di Mondragone, dalla Pro Loco Rocca del Drago e dal Comitato Provinciale UNPLI APS di Caserta che permetterà ai visitatori di approfondire ed ammirare l'architettura e l'arte di un grande maestro del Rococo, attraverso un percorso espositivo che ne racconta la vita e le opere: dalla Reggia di Caserta alla Casina del Fusaro, dall'Acquedotto carolino alla Chiesa di san Francesco da Paola in Napoli, tanto per citarne solo alcune.

La Mostra rappresenta anche l'occasione per ricordare che Luigi Vanvitelli fin dal 1754, impegnato nella costruzione della Reggia di Caserta, era solito visitare insieme con l’abate Vaccarini, altro grande architetto palermitano, le cave di S. Mauro e di San Sebastiano in Mondragone, dove lavorò uno dei più bravi cavatori dell'epoca, Burrino Benedetto Belli, originario di Urbino, che aveva vinto l’appalto dello “scavo e taglio” delle pietre  il 26 luglio 1761 «da terminare quando piacerà al suddetto regio architetto». Successivamente nel 1767 lo stesso Benedetto Belli ebbe l’appalto per sbozzare le colonne della Cappella Palatina della Reggia che furono estratte in marmo giallo dalle cave di Mondragone.

In una lettera manoscritta del 14 agosto 1767, diretta a S. E. Neroni Intendente Generale dei Reali Stati di Caserta, l'architetto Luigi Vanvitelli così si esprime circa la valenza tecnica del Belli: 
Rispetto alla cava di Mondragone un certo Corsi di Carrara, che travagliò per il Can.co Avellino, l’anno passato voleva esibire a prezzo minor dei Burrini la cavatura; ma avendoli io detto che li pezzi grossi che cavò al Canonico Avellino erano belli in apparenza, inutili però in sostanza, perché tutti fessi e pelati, a cagione che aveva adoperato le mine con la polvere; ed all’opposto li Burrini adoperavano il sugo della braccia, e perciò riescano i pezzi saldi e sinceri, secondo mi occorre singolarmente per le colonne della Cappella se ne partì a capo chino, benché spinto dal fiscale. 
Manoscritti di Luigi Vanvitelli nell'Archivio della Reggia di Caserta 1752-1773, a cura di Antonio Gianfrotta, 2000. 










 


 

 Così scriveva, quasi un secolo fa, esattamente nel 1927, Biagio Greco nella sua Storia di Mondragone:

Sono state rinomatissime le cave di marmi, che costituirono e sono tuttora il decoro e lo splendore della Reggia di Caserta e di Napoli e della chiesa di San Francesco da Paola coll’imponente porticato.Ora, per accidia dei dirigenti, le cave di San Mauro e di San Sebastiano sono quasi del tutto abbandonate. E' deplorevole che un cespite cosi cospicuo, resti improduttivo.
e poi, di seguito, descriveva le caratteristiche dei marmi estratti dalle colline di Mondragone che nel corso dei secoli avevano vissuto momenti di grande splendore. 

martedì 23 aprile 2024

L'iconografia di Maria SS. Incaldana: dalla tavola bruciata all'immagine bizantina



Basilica Minore Maria SS. Incaldana




Basilica Minore Maria SS. Incaldana




1624-2024
28 aprile

400 anni dalla traslazione
della sacra immagine di Maria SS. Incaldana
nella città di Mondragone.



L'icona di S. Maria Incaldana, nota anche come Madonna del Belvedere e Prodigiosa, è opera di ignoto del XII-XIV secolo, realizzata su di una tavola in legno di quercia delle dimensioni di 66 x 45,5 cm e 4 cm di spessore. Custodita presso il Convento del Belvedere, sito in località Caldana (zona nota nel mondo romano per la presenza delle Terme Sinuessane), fu trasferita per la prima volta nella cittadella di Mondragone verso la metà del XIV secolo, a causa dei lavori di restauro che interessavano il Belvedere dopo una incursione saracena. Ospitata nella chiesa dell'Annunziata (ora di san Francesco), la tavola sacra ritornò dopo un breve periodo, nuovamente al convento restaurato; ma per i continui timori, giustificati a causa delle frequenti incursioni saracene, la Madonna Incaldana, nei primi anni del Seicento fu trasferita definitivamente nella cittadella fortificata di Mondragone, ospitata nella Collegiata di san Giovanni Battista, dove è custodita tuttora. 

La tavola della Vergine con il Bambino in grembo è contenuta in una pala in argento massiccio di origine settecentesca, più volte rifatta perché oggetto di furto, ultimo in ordine di tempo, avvenuto negli anni '80. La pala a sua volta, è contenuta in una nicchia ricavata all'interno di un altare del Settecento, in marmi policromi.




Basilica Minore Maria SS. Incaldana




L'immagine della Madonna che si ammira oggi, è il frutto di un restauro avvenuto nel 1953, quando la tavola lignea era oramai gravemente rovinata anche a seguito di un precedente pessimo restauro.
Il restauro attuato in base ai principi di conservazione delle parti non degradate o comunque poco danneggiate, con il rifacimento di quelle mancanti, ha restituito una Madonna con il Cristo, che nei caratteri generali potrebbe intrattenere dei legami con l'arte bizantina.


Corrado Valente,  Notizie storiche sull'icona di S. Maria Incaldana in Monumentalia - Frammenti di memoria, Mondragone 1995 





La tavola prima del restauro






Maria SS. Incaldana


Prima del 1953, anno in cui la tavola fu restaurata portando alla luce l'immagine che oggi possiamo ammirare, l'icona della Protettrice veniva desunta e riportata nelle immagini facendo riferimento a modelli similari conosciuti.
Il restauro portò alla luce un dipinto di chiara ispirazione bizantina e pertanto ascrivibile al periodo dell'Arte bizantina nell'Italia meridionale (XIII secolo ?).
Le caratteristiche più evidenti dei canoni dell'arte bizantina sono la religiosità, l'anti-plasticità e l'anti-naturalismo, intese come appiattimento e stilizzazione delle figure, volte a rendere una maggiore monumentalità ed un'astrazione soprannaturale.




Maria SS. Incaldana 
(immagine prima del restauro del 1953)




Maria SS. Incaldana 
(forse la prima immagine dopo il restauro del 1953)



Maria SS. Incaldana 
(foto gentilmente concessa da Angelo Razzano)




Maria SS. Incaldana 
immagine dopo il restauro




Maria SS. Incaldana
di M. 
Severino 
in una rara litografia di Fr. Rinaldini e F.  (collezione privata)

La Litografia Rinaldini è attiva a Napoli, san Biagio dei Libri 
già dalla seconda meta del XIX secolo nel campo della riproduzione delle opere religiose 





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Nell'anno 2006, Poste Italiane spa, ha dedicato alla sacra icona un francobollo commemorativo nell'ambito della serie tematica "Il patrimonio artistico e culturale italiano", con annullo speciale "Mondragone 1.4.2006 giorno di emissione".





Così il Ministero delle Comunicazioni descrive il contesto che ha originato il 45 centesimi dedicato a Maria Santissima Incaldana.
Immagine di origini bizantine miracolosamente scampata all'incendio della cappella che la custodiva; la sua storia si confonde con le radici della città di Mondragone, ove non è solo simbolo religioso oggetto di profonda devozione popolare, ma è soprattutto l'emblema di una identità comune che unisce i cittadini nei secoli e tra i continenti.


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Formella maiolicata Maria SS. Incaldana
 (collezione privata)



Immagine di Maria SS. Incaldana
Forse l'immagine più popolare nelle abitazioni dei mondragonesi
 

martedì 20 settembre 2022

La Venere o Afrodite da Sinuessa


Venere o Afrodite da Sinuessa



Venere o Afrodite da Sinuessa

Ancora qualche giorno e la Venere di Sinuessa, o Afrodite, farà ritorno a casa, cioè il MAN –Museo Archeologico di Napoli-, in attesa di partire per qualche nuovo prestito. Sono passati i tempi in cui era esposta a far bella mostra di sé nella sala del Toro Farnese.

Acefala, priva degli arti superiori, la scultura è in marmo proveniente dalle cave dell'isola di Paro in Grecia, con un'altezza (la sola figura) di m. 1,75.  

"In antitesi al tipo muliebre di media statura, rappresentato dalla maggior parte delle Afroditi ellenistiche, quali la Medici, la Capitolina, quella da Cirene ed altre, la statura maggiore del naturale della (Afrodite) Sinuessana sembra corrispondere all'ideale omerico della divinità, ed all'ideale femminile dell'arte classica"


Gennaro Pesce, L'Afrodite da Sinuessa, 1939, p.9



E’ la seconda volta che questa importante opera di scuola ellenistica rientra nella Città che la vide tornare, fortuitamente, alla luce dopo quasi due secoli durante i quali era rimasta sepolta ed avvolta dall’oblìo; la prima volta nel 2006, per alcuni mesi, e quest’anno, 2022, per circa due mesi durante i quali ha visto un notevole afflusso di pubblico suscitando un grande interesse. 

 


Venere o Afrodite da Sinuessa


Venere o Afrodite da Sinuessa


Mi piace pensare che in un futuro non tanto lontano, e per interessamento dei nostri amministratori, la Venere possa fare un definitivo ritorno a casa. 

Ciò alla luce del progetto “100 opere tornano a casa”, fortemente voluto dal ministro Dario Franceschini, per promuovere e valorizzare il patrimonio storico artistico e archeologico italiano conservato nei depositi dei luoghi d’arte statali, un progetto a lungo termine che mira a valorizzare l’immenso patrimonio culturale di proprietà dello Stato.

Un “ritorno a casa”, nel luogo in cui fu rinvenuta, per integrare le collezioni del Museo Civico Archeologico “Biagio Greco”  e per dar vita ad accostamenti interessanti capaci di favorire l’apertura del Museo verso nuovi pubblici.


Ecco come ci descrive il ritrovamento Gennaro Pesce nella sua monografia L'Afrodite da Sinuessa, anno 1939

 

Questa scultura fu scoperta fortuitamente il 25 gennaio 1911 da due contadini che dissodavano la terra per piantare una vigna, nel podere detto Casella di Schiappa, situato a due chilometri in linea d’aria a nord dell’abitato di Mondragone, sulle pendici occidentali del monte Petrino, a circa 80 metri sul mare nella contrada detta Monte Vergine o Colombrello.
Tale podere copre le rovine di antiche costruzioni, che presentano i caratteri tipici di un impianto di villa romana, forse degli ultimi tempi repubblicani, elevata sul declivio di una collina dominante la via Appia, in posizione amenissima, ben riparata dai venti, rivolta a mezzogiorno, prospiciente la pianura sinuessana e il mare, con terrazze digradanti a scaglioni, delle quali almeno una, la più vasta, doveva esser cinta da porticati. In fondo a questa terrazza, alla profondità di circa 60 centimetri dal piano di campagna, il piccone di un contadino colpiva un pezzo di marmo, asportandone delle schegge. Insospettito dalla presenza e dall’aspetto di una pietra, insolita per quei terreni, il bravo giovane si diede cautamente ad isolare il pezzo, liberandolo dal terriccio. Appariva così il torso nudo di una grande statua muliebre; trovandosi collocata obliquamente nella terra, le spalle in alto, queste inevitabilmente ai primi colpi dello ignaro sterratore. Il tronco, acefalo e senza braccia né gambe, poggiava obliquamente sopra un altro gran pezzo di scultura, rappresentante due gambe panneggiate. Si trovarono, inoltre, frammenti di braccia e di mani; e lo scopritore ricorda di aver notato che perni di ferro erano incastrati in alcuni di quei monconi, internamente, nel senso della lunghezza. La testa non si trovò.
………………

Avvertito dal sindaco di Mondragone, il soprintendente Spinazzola inviava sul posto, il 13 febbraio, l’ispettore Macchioro il quale, probabilmente a causa delle incrostazioni calcaree, onde erano rivestiti alcuni dei frammenti marmorei, e specialmente il torso muliebre nudo, non potè procedere subito, in quella prima visita, ad una esatta valutazione delle sculture e le lasciò in temporanea custodia allo Schiappa, proprietario del podere, proponendosi di esaminarle accuratamente e magari di estendere le ricerche archeologiche in quel terreno, in una seconda visita da farsi il più presto possibile.




L'Afrodite da Sinuessa
Monografia di Gennaro Pesce, 1939

venerdì 16 marzo 2012

Margherita Branciforti, duchessa di Mondragone

Margherita Branciforti, duchessa di Mondragone
illustrazione tratta dal saggio di Pinella Musmeci

Chi era questa donna che accomunò ai suoi non indifferenti titoli nobiliari anche quello di duchessa di Mondragone, privilegiandolo e portandolo con sé per tutta la vita e anche oltre?

Margherita Branciforti 

duchessa di Mondragone

Palermo 12.7.1781 – Niscemi 23.5.1830


così recita una semplice lapide posta nel muro di cinta del nuovo cimitero di Niscemi (Caltanissetta) con una foto in bianco e nero ricavata da un ritratto ad olio.
A questa donna ha dedicato un interessante saggio “Rivediamo la storia di Margherita Branciforti Duchessa di Mondragone” la storica Pinella Musmeci, inserito in una raccolta di altri saggi dal titolo “Diafore dimenticate”, pubblicato in Acireale 2001.

Pinella Musmeci contesta, e lo fa con dovizia di riferimenti storici e documentali, quanto precedentemente scritto, nel 1930, da Rosario Disca in un’altra opera sempre dal titolo “Margherita Branciforti Duchessa di Mondragone”. Anzi la Musmeci non riesce affatto a
comprendere la ragione che spinse il Disca ad operare una così intricata commistione tra documenti legali ed affermazioni intuitive, pur di scrivere un'opera piacevole alla lettura, una storia romanzata, descrivendo la Branciforti come una donna leggera, amante dei balli di corte e della bella vita. Il Disca, prete di Niscemi, proprio a causa di questa pubblicazione fu sospeso a divinis per alcuni mesi ed inviato a fare “esercizi spirituali”.
Ecco come il Disca ce la descrive nella parte finale del suo lavoro:
… fu di statura mezzana, ben fatta e negli ultimi anni della sua vita piuttosto pingue: bellissima nel volto; fronte spaziosa adombrata da capelli neri, occhi vivaci, naso affilato, mani e piedi piccolissimi. Vanitosa e leggera, sentì poco l’amore materno; ebbe poca cura del suo onore e cercò sempre di brillare nella società tra i grandi. Usa agli esempi della sua famiglia, ebbe cuore grande e munifico, ma fu sempre debole; si mostrò più prodiga che generosa. Convinta che le sue ricchezze erano inesauribili, non curò l’integrità dei suoi beni immobili; con incredibile leggerezza contrasse enormi debiti, permise che altri avessero sprecate le sue rendite e si lasciò spogliare dei suoi beni. Ebbe l’orgoglio dei principi di Butera, ma non l’onore e la virtù. Abbandonata dal marito, non seppe vivere in un ritiro dignitoso; indulse facilmente ai vizi, e finì vittima di un secondo marito che solo agognava alle sue ricchezze. La sua proprietà del valore di circa 85.000 onze, cioè unmilioneottantatremilasettecento-cinquanta lire, per quei tempi una ricchezza enorme, era costituita da feudi e da canoni. Alienò definitivamente due feudi, gravò di enormi ipoteche gli altri in modo da considerarsi anche perduti del tutto; dissipò in canoni per sciupare denaro; e alla sua morte lasciò debiti che il cav. Gout notò per onze 28877, 6 …..
Il saggio della Musmeci, puntuale e preciso, frutto di un’approfondita e lunga ricerca condotta in archivi storici ed ecclesiastici di Napoli, Palermo ed anche in Spagna, ci descrive, invece, una donna con tutti i suoi problemi, legata al suo tempo e alla sua famiglia.


Niscemi, palazzo Branciforti
foto tratta da internet (autore: Salvatore Brancati)


Margherita Branciforti, figlia di Ercole Michele Branciforti Pignatelli, principe di Pietraperzia e principe ereditario di Butera, e di donna Ferdinanda Riggio Moncada, dei principi di Aci e di Campofiorito, sposò in Napoli il 26 maggio 1790, in prime nozze, il duca Filippo Agapito Grillo Sanseverino, conte di Carinola, erede del titolo di Duca di Mondragone. Si spense a Niscemi il 23 maggio 1830 in un palazzo barocco, ancora esistente, da cui si domina tutta la piana di Gela; aveva lasciato Palermo circa sei anni prima senza mai più ritornarvi. Dal matrimonio erano nati tre figli: Domenico, Giuseppe e Maria Rosa. I primi due morirono, il primo in tenera età e l’altro in Sicilia, all’età di circa 20 anni, in circostanze mai accertate e forse collegate ai moti rivoluzionari di Palermo del 1820; la terzogenita Maria Rosa Grillo sposò il 31 marzo 1808 Giovanni Carlo Doria, principe di Angri, e morì in Napoli il 1 agosto 1863.


Mondragone. Palazzo ducale
Edificato dalla famiglia Grillo  intorno al 1700.


Per approfondimenti:
  • Rosario Disca, Margherita Branciforti duchessa di Mondragone, tipografia Scrodato, Gela 1932, X.
  • Pinella Musmeci, Rivediamo la storia di Margherita Branciforti duchessa di Mondragone, in Diafore dimenticate, tipografia Guerrera, Acireale 2001.