La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

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lunedì 10 giugno 2024

La via Domiziana. Ricognizioni storiche lungo il tracciato




Mondragone, loc. Scopelle.
Affioramento del lastricato della via Domitiana


Una strada che metteva in comunicazione Sinuessa con Literno e Pozzuoli, fosse pure in semplice terra battuta o sotto forma di pista polverosa, esisteva già dal 215 a.C., allorquando fu aperta da Quinto Fabio Massimo durante la II guerra punica. 

Nello stesso anno questa strada fu utilizzata da Tito Sempronio Gracco, come ci tramanda Tito Livio negli Annales

Sinuessae, quo ad conveniendum diem edixerat, exercitu lustrato, transgressus Vulturnum, circa Liternum castra posuit 

quando, il console, dopo aver passato in rassegna l'esercito a Sinuessa,  supera il Volturno e pone l'accampamento  a Liternum. 




Roma. Museo Archeologico Centrale Montemartini
Ritratto di Domitiano

Solo nell’anno 95 d.C., per volere di Domiziano imperatore questa strada venne rifatta e lastricata, e resa efficiente a tal punto che diventò percorribile in appena due ore.

 

Nacque così la via Domitiana. 




Mondragone, loc. Scopelle.
Tracciato originario della via Domitiana


La via Domitiana aveva inizio appena dopo Sinuessa, laddove la consolare Appia svoltava per Capua; quindi, mentre l’Appia si dirigeva verso sud–est, lambendo le pendici del Monte Petrino, la via Domitiana proseguiva lungo il litorale: 

Illic flectitur excitus viator, 

Illic Appia se dolet relinqui. a

Tunc velocior acriorque cursus, 

Tunc ipsos iuvat impetus iugales; 

Ceu fessis ubi remigum lacertis 

Primae carbasa ventilatis, aurae.

Stazio, Silvae, IV, vv 101-106 




Mondragone, loc. Scopelle.
Affioramento del lastricato della via Domitiana


Il tragitto completo, da Sinuessa a Puteoli, misurava 33 miglia romane, pari a circa Km 49. 

Lungo il suo percorso, la Domitiana transitava mediante ponti, sicuramente in muratura, su tre fiumi: nell’ordine, il Savone, il Volturno ed il Clanio (chiamato anche Liternum flumen), nonché immissario ed emissario della Palus Liternina, (oggi Lago di Patria); attraversava centri abitati quali Vulturnum (Castelvolturno), Liternum (Lago Patria) e Cumae, prima di giungere a Puteoli


In merito al ponte sul Savone, una testimonianza abbastanza recente ci è fornita da Antonio Sementini (Sinuessa. Ricognizioni archeologiche lungo l'Appia e la Domiziana)  da cui apprendiamo che fino al 1949-50 era ancora visibile lo scheletro di un'arcata in tufo giallo flegreo con filari in cotto. Il dato è confermato da Johwannosky (1990) secondo cui, resti del ponte erano visibili fino agli anni '50 quando furono eseguiti i lavori di regimentazione dell'alveo del Savone.

Ecco come il Sementini descrive il ponte sul Savone:

Costruito a due luci sulla foce del "piger Savo" a sostegno dello antico selciato sul lento deflusso dell'ultimo corso del fiume, l'antico ponte lasciava ancora in vista, ai margini del vigneto del sig. Francesco La Torre, la solida spalliera di sud-est della seconda arcata, caduta nelle acque negli anni andati. Il grosso nucleo della spalliera in tufo, calce e cotto, venne ricoperto dalla seconda rampa, che conduce al lido, tra il '49 e il '51, durante i lavori di bonifica, ed oggi il pilastro di levante risulta completamente ricoperto di terriccio indurito.


Qualche anno dopo andò quasi completamente distrutto anche lo scheletro dell'ultima arcata per mano della ditta che gettò la passerella in cemento là dov'era, affiancato al domizianeo, un ponticello in tufo friabile locale, reso pericolante dagli ultimi eventi bellici. Finiva, così, per scomparire del tutto anche la pila centrale, un tempo al taglio della corrente, saldamente infissa nel fiume a sostenere le due arcate del ponte.

La costruzione, così come si presentava, dovette essere sicuramente dell'ultimo rifacimento per mano dei "curatores" di Teodorico, che rispettò e restaurò, circondandosi dell'elemento colto romano, le costruzioni più importanti del periodo imperiale.

 

Partendo dalle pendici del Monte Massico, la Domitiana attraversava tutta la pianura alluvionale formata dai tre fiumi, costeggiando il litorale e la lunghissima pineta costiera, la Sylva Gallinaria, per poi pervenire ai rilievi dei Campi Flegrei, lambendo le coste di Cuma, ma anche transitando sotto il fornice dell’Arco Felice. 


Immagine da: F. Longobardo, Problemi di viabilità in Campania: la via Domitiana in Viabilità e insediamenti nell'Italia antica, L'Erma di Bretschneider, 2004 


Dalla illustrazione che precede appara chiaro come la strada Domitiana fosse, agli inizi del 1600, ancora percorribile nel suo originario tracciato da Sinuessa fino a Cuma, percorribilità attestata anche negli anni della prima metà del Quattrocento, come risulta da una lettera che l'ambasciatore fiorentino Giovanni Lanfredini invia ad Antonio di Jacopo Benci detto il Pollaiolo (1431-1496-98).

Così vedemo molte ruine e spoglie, che dimostrano stupendissima grandezza; ma non mi pare piccola cosa la strada Romana che dura fino a Pezuolo e in molti luoghi per lo chammino si vede intera…


Le maggiori testimonianze archeologiche di questa via sono, oggi, assai visibili nei pressi di Cuma.

martedì 20 febbraio 2024

L' Appia antica, la prima "autostrada" della Storia...

I Romani posero ogni cura in tre cose soprattutto, che dai Greci furono trascurate, cioè nell'aprire le strade, nel costruire acquedotti e nel disporre nel sottosuolo le cloache

 StraboneGeografia

 

L' APPIA ANTICA, LA PRIMA "AUTOSTRADA" DELLA STORIA...
La prima autostrada della storia: così potrebbe essere definita l’Appia Antica. Progettata nel 312 a.C. dal censore Appio Claudio Cieco, l’Appia forniva un collegamento diretto fra Roma e Capua (successivamente prolungato fino a Brindisi) con un tracciato rettilineo e agevole, percorribile comodamente sia dai carri che dai pedoni. Per ottenere questo risultato fu necessario un sforzo economico impegnativo e un progetto ingegneristico rivoluzionario, capace di superare gli ostacoli paesaggistici che rendevano il sistema viario precedente tortuoso e accidentato.


L'Appia antica a Sinuessa



L'Appia antica a Sinuessa


L'Appia attraversava la città di Formiae e proseguiva verso la foce dell'antico Liris (attuale Garigliano) dopo essere passata per Minturnae. A questo punto la strada attraversava il corso d'acqua su di un ponte e procedeva in direzione di Sinuessa passando al di sotto dell'attuale monte Cicoli, propaggine estrema del Massico e successivamente all'altezza dell'attuale bivio di Levagnole ai piedi del monte Pizzuto, iniziava a percorrere la moderna strada provinciale Incaldana, che in gran parte ne ricalca il tracciato. Lungo questo tratto si stabilirono, nel corso del II secolo a.C. numerose strutture a carattere produttivo-residenziale, in connessione diretta con il passaggio della via Appia che rivestì un importantissimo ruolo economico-commerciale per tutta la zona dell'agro Falerno. La via Appia proseguiva raggiungendo il cd. Casino della Starza e si dirigeva verso il pons Campanus situato a 115 miglia da Roma, per portarsi successivamente a Casilinum (attuale Capua) ed infine a Capua (attuale Santa Maria Capua Vetere), concludendo il percorso al miliario CXXXII.

Ugo Zannini, La via Appia attraverso i secoli, Istituto Grafico Editoriale Italiano, 2002



Museo Campano di Capua
Appia antica miliario CXXVI (particolare) 




L'Appia antica a Sinuessa




L'Appia antica nei pressi del cimitero di Mondragone




L'Appia antica nei pressi del cimitero di Mondragone


Testo: dal web
Foto: Salvatore Bertolino

martedì 20 settembre 2022

La Venere o Afrodite da Sinuessa


Venere o Afrodite da Sinuessa



Venere o Afrodite da Sinuessa

Ancora qualche giorno e la Venere di Sinuessa, o Afrodite, farà ritorno a casa, cioè il MAN –Museo Archeologico di Napoli-, in attesa di partire per qualche nuovo prestito. Sono passati i tempi in cui era esposta a far bella mostra di sé nella sala del Toro Farnese.

Acefala, priva degli arti superiori, la scultura è in marmo proveniente dalle cave dell'isola di Paro in Grecia, con un'altezza (la sola figura) di m. 1,75.  

"In antitesi al tipo muliebre di media statura, rappresentato dalla maggior parte delle Afroditi ellenistiche, quali la Medici, la Capitolina, quella da Cirene ed altre, la statura maggiore del naturale della (Afrodite) Sinuessana sembra corrispondere all'ideale omerico della divinità, ed all'ideale femminile dell'arte classica"


Gennaro Pesce, L'Afrodite da Sinuessa, 1939, p.9



E’ la seconda volta che questa importante opera di scuola ellenistica rientra nella Città che la vide tornare, fortuitamente, alla luce dopo quasi due secoli durante i quali era rimasta sepolta ed avvolta dall’oblìo; la prima volta nel 2006, per alcuni mesi, e quest’anno, 2022, per circa due mesi durante i quali ha visto un notevole afflusso di pubblico suscitando un grande interesse. 

 


Venere o Afrodite da Sinuessa


Venere o Afrodite da Sinuessa


Mi piace pensare che in un futuro non tanto lontano, e per interessamento dei nostri amministratori, la Venere possa fare un definitivo ritorno a casa. 

Ciò alla luce del progetto “100 opere tornano a casa”, fortemente voluto dal ministro Dario Franceschini, per promuovere e valorizzare il patrimonio storico artistico e archeologico italiano conservato nei depositi dei luoghi d’arte statali, un progetto a lungo termine che mira a valorizzare l’immenso patrimonio culturale di proprietà dello Stato.

Un “ritorno a casa”, nel luogo in cui fu rinvenuta, per integrare le collezioni del Museo Civico Archeologico “Biagio Greco”  e per dar vita ad accostamenti interessanti capaci di favorire l’apertura del Museo verso nuovi pubblici.


Ecco come ci descrive il ritrovamento Gennaro Pesce nella sua monografia L'Afrodite da Sinuessa, anno 1939

 

Questa scultura fu scoperta fortuitamente il 25 gennaio 1911 da due contadini che dissodavano la terra per piantare una vigna, nel podere detto Casella di Schiappa, situato a due chilometri in linea d’aria a nord dell’abitato di Mondragone, sulle pendici occidentali del monte Petrino, a circa 80 metri sul mare nella contrada detta Monte Vergine o Colombrello.
Tale podere copre le rovine di antiche costruzioni, che presentano i caratteri tipici di un impianto di villa romana, forse degli ultimi tempi repubblicani, elevata sul declivio di una collina dominante la via Appia, in posizione amenissima, ben riparata dai venti, rivolta a mezzogiorno, prospiciente la pianura sinuessana e il mare, con terrazze digradanti a scaglioni, delle quali almeno una, la più vasta, doveva esser cinta da porticati. In fondo a questa terrazza, alla profondità di circa 60 centimetri dal piano di campagna, il piccone di un contadino colpiva un pezzo di marmo, asportandone delle schegge. Insospettito dalla presenza e dall’aspetto di una pietra, insolita per quei terreni, il bravo giovane si diede cautamente ad isolare il pezzo, liberandolo dal terriccio. Appariva così il torso nudo di una grande statua muliebre; trovandosi collocata obliquamente nella terra, le spalle in alto, queste inevitabilmente ai primi colpi dello ignaro sterratore. Il tronco, acefalo e senza braccia né gambe, poggiava obliquamente sopra un altro gran pezzo di scultura, rappresentante due gambe panneggiate. Si trovarono, inoltre, frammenti di braccia e di mani; e lo scopritore ricorda di aver notato che perni di ferro erano incastrati in alcuni di quei monconi, internamente, nel senso della lunghezza. La testa non si trovò.
………………

Avvertito dal sindaco di Mondragone, il soprintendente Spinazzola inviava sul posto, il 13 febbraio, l’ispettore Macchioro il quale, probabilmente a causa delle incrostazioni calcaree, onde erano rivestiti alcuni dei frammenti marmorei, e specialmente il torso muliebre nudo, non potè procedere subito, in quella prima visita, ad una esatta valutazione delle sculture e le lasciò in temporanea custodia allo Schiappa, proprietario del podere, proponendosi di esaminarle accuratamente e magari di estendere le ricerche archeologiche in quel terreno, in una seconda visita da farsi il più presto possibile.




L'Afrodite da Sinuessa
Monografia di Gennaro Pesce, 1939

mercoledì 28 marzo 2018

I Riti penitenziali: la Settimana Santa a Sessa Aurunca



Vivere la Storia, diventare protagonista
cogliendo l'essenza di un'antica professione di fede.
Sulle note di un vetusto canto
sfilano i penitenti perpetrando un rito secolare.
Sessa Aurunca diviene così il teatro di una storia
affascinante dove Fede, passione e spiritualità popolare
si fondono in un unico e straordinario evento.















martedì 11 aprile 2017

I Riti della Settimana santa a Sessa Aurunca




Riti, processioni, canti, musiche sacre e devozione popolare caratterizzano ogni anno la Settimana Santa di Sessa Aurunca. Dopo il lungo cammino quaresimale, 
le confraternite cittadine animano i giorni che precedono la Pasqua. Dal lunedì al mercoledì santo, esse partono dalla propria chiesa per raggiungere la Cattedrale e adorare il SS. Sacramento. Si tratta delle sei congregazioni intitolate a San Biagio, al SS. Rifugio, al SS. Crocifisso, alla SS. Concezione, a San Carlo Borromeo e alla Vergine del Rosario. Nascono storicamente in epoche diverse, ciascuna con una specifica finalità assistenziale.





Il mercoledì sera, nella chiesa di S. Giovanni a Villa, i confratelli del SS. Crocifisso compiono l'antico rito dell'Ufficio delle Tenebre. Salmi recitati e lezioni cantate scandiscono il tempo della cerimonia. Le 15 candele poste sulla «saetta» (un grande candeliere a forma triangolare) vengono spente progressivamente, ad eccezione dell'ultima, nascosta dietro l'altare a rappresentare la luce del Signore che non si spegne. Nella chiesa rimasta completamente al buio, tutti i partecipanti battono le mani su banchi e sedie per qualche secondo, rievocando il terremoto che si scatenò alla morte di Cristo.


La sera del giovedì santo ha luogo il consueto «struscio», il passeggio tra le vie del centro per la visita agli altari della reposizione allestiti nelle parrocchie. Nel pomeriggio del venerdì Santo si celebra la Liturgia della Passione in Cattedrale, dopo la quale i confratelli del SS. Crocifisso si recano alla chiesa di S. Giovanni a Villa per dare inizio alla processione dci Misteri. Le statue raffiguranti la Passione di Cristo vengono portate in processione per il centro storico al suono delle marce funebri, che danno il tempo alla «cunnulella»: un andamento dondolante con passi in avanti e dietro per «cullare» le statue cercando di lenire i tormenti del Cristo sofferente. Tra una marcia funebre e l'altra, è possibile ascoltare il canto del Miserere, mentre grossi falò (“carraciuni” in dialetto locale) ardono nelle piazze principali. È un evento che registra ogni anno migliaia di visitatori, a cui si aggiungono i tantissimi cittadini sessani che vivono lontano e che in questi giorni ritornano i città per vivere i riti della Passione e la Pasqua insieme ai familiari. Intorno all'una di notte, i Misteri rientrano in chiesa, e i fedeli si accalcano per prendere le camelie presenti sulle statue: reliquie «da contatto» da conservare con cura o donare agli affetti più cari.

Solo poche ore di pausa, e la mattina del sabato altri due gruppi statuari si preparano ad attraversare le vie di Sessa Aurunca. La statua della Deposizione, custodita dai confratelli di San Carlo Borromeo, e quella della Pietà, portata dai confratelli del SS. Rifugio, escono dalle rispettive chiese e si incontrano lungo il percorso per poi procedere insieme in un unico corteo per tutta la mattinata. Al termine, vengono distribuiti pezzi di ceri votivi, da accendersi in caso di maltempo, e ruta, che secondo la tradizione popolare «ogni male stuta», mentre l'ultimo Pe' cient' ann si rinnova tra confratelli, amici e conoscenti: un augurio di fraternità che manifesta la speranza e il desiderio di rivivere insieme gli stessi riti ancora per molti anni.
testo di:
Angelo Palmieri
LIMEN
anno 3° n. 2 – Marzo Aprile 2017




lunedì 20 marzo 2017

Per le vie del Borgo... terza edizione a Cascano di Sessa Aurunca




Da sempre il toponimo Cascano evoca la produzione locale di manufatti in creta o terracotta: cannate, mummoli, pignatielli e tiani di varia e pregevole fattura. Lo scopo di questa manifestazione organizzata dalla Pro Loco di Cascano Gallicanum “Tra le Vie del Borgo, giunta quest'anno alla sua terza edizione, è proprio quello di celebrare Cascano capitale dell’artigianato Aurunco.
Una giornata dedicata all’artigianato, alla cultura, al folk, alle vitalità di un borgo speciale ed unico come Cascano.
Un interessante itinerario creato tra viuzze e piazze del Borgo, tra musica e degustazioni, tra esposizioni e giovalità. L’occasione per ammirare la produzione locale non solo di prodotti in creta, ma anche quella dei manufatti in vimini, con pregevoli dimostrazioni della tecnica di intreccio.
Saranno riaperti al pubblico palazzi ed abitazioni chiuse da anni con gli androni che diventeranno esposizioni di artigianato locale, mostre d’arte e di fotografia, ma anche luoghi per degustare gli ottimi prodotti della campagna sessana.





Gli antichi mestieri: il vasaio
Giusy De Simone 


Il vasaio, un antico mestiere che vede in Cascano frazione di Sessa Aurunca il ripetersi di una tradizione che ha i connotati di una vera e propria arte. Anche se, nella vicina Teano sono state ritrovate nelle necropoli risalenti al IV secolo a.C. tracce di vasi a vernice nera firmati non solo con il nome dei vasai che li avevano realizzati ma apposta in calce la menzione del luogo di fabbricazione: upsatuh sen Tiianei (operati sunt Teani) ovvero fatti a Teano. Il vasellame a vernice nera era proprio dell’intera area, la tecnica consisteva nel ricoprire la superficie del vaso con uno strato di vernice che cotta in ambienti con poco ossigeno produceva una copertura nera e lucida. Una delle sue caratteristiche è quella di essere praticamente impermeabile ai liquidi ed è per questa ragione che ha svolto funzioni di vasellame da mensa fino al I secolo a. C quando viene gradualmente sostituita dalla ‘terra sigillata’, la cui caratteristica principale è una vernice rossa, più o meno chiara e la decorazione a rilievo, modellata, impressa o applicata. Il mestiere del vasaio rispondeva alle esigenze quotidiane di sopravvivenza, i suoi oggetti avevano una destinazione d’uso precisa e fondamentale per le esigenze quotidiane ovvero cucinare, conservare, cuocere trasportare ogni sorta di alimenti e bevande. Il tornio da vasaio è solitamente verticale ed è costituito da un'asse che collega un piatto circolare superiore con un disco inferiore in legno che viene fatto ruotare con i piedi, dandogli la velocità necessaria per realizzare il vaso. Saper dosare la velocità e coordinare i movimenti indica la maestria del vasaio, un mestiere antico, ostinatamente attuale nonostante le origini siano alquanto antiche. E' un lavoro che richiede molta fantasia, creatività e, soprattutto, molta pazienza. La materia prima utilizzata nella bottega del vasaio è la creta. Per fare un vaso bisogna: amalgamare bene la creta, precedentemente sgrassata con segatura di legno e combustibili minerali, finché diventi un impasto omogeneo, si formano quindi dei panetti che vengono messi sul tornio dove le mani abili dell'artigiano modellano vasi di varie forme e dimensioni che, fatti asciugare, vengono poi infornati. Terminata la cottura si aspetta che si raffreddino e si passa alla fase della pittura e qui la fantasia non ha limiti. Questo è uno dei mestieri più antichi ma sono pochi i giovani che vi si avviano, perché comporta dei sacrifici: si lavora per più di otto ore al giorno e ci vuole del tempo prima di vedere il lavoro finito.