La conoscenza di un territorio e dei suoi valori identitari costituisce non solo il fondamento di un sentimento di appartenenza per le comunità che vi risiedono, ma anche il presupposto per un reale apprezzamento e per una consapevolezza del valore, collettivo e individuale al tempo stesso, del patrimonio culturale locale, oltre che una condizione essenziale per la sua tutela e per la sua rinascita economica e sociale.

Knowing a country and its identity values is both the basis for a sense of belonging for local communities and the prerequisite for an appreciation and a true understanding of the single and collective importance of the cultural and territorial heritage. It is, moreover, the necessary condition to promote its protection and economic and social revival.

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sabato 25 maggio 2024

Luigi Vanvitelli a Mondragone



 

A distanza di circa 270 anni, Luigi Vanvitelli è di nuovo a Mondragone e questa volta non nelle rinomate cave di marmo che lo videro protagonista insieme ai più abili cavatori dell'epoca, bensì nel Palazzo Ducale  che nelle linee essenziali ricorda la sua architettura. 

Luigi Vanvitelli ritorna a Mondragone con una Mostra itinerante in occasione del 250° anniversario della sua morte organizzata dalla Pro Loco di Mondragone, dalla Pro Loco Rocca del Drago e dal Comitato Provinciale UNPLI APS di Caserta che permetterà ai visitatori di approfondire ed ammirare l'architettura e l'arte di un grande maestro del Rococo, attraverso un percorso espositivo che ne racconta la vita e le opere: dalla Reggia di Caserta alla Casina del Fusaro, dall'Acquedotto carolino alla Chiesa di san Francesco da Paola in Napoli, tanto per citarne solo alcune.

La Mostra rappresenta anche l'occasione per ricordare che Luigi Vanvitelli fin dal 1754, impegnato nella costruzione della Reggia di Caserta, era solito visitare insieme con l’abate Vaccarini, altro grande architetto palermitano, le cave di S. Mauro e di San Sebastiano in Mondragone, dove lavorò uno dei più bravi cavatori dell'epoca, Burrino Benedetto Belli, originario di Urbino, che aveva vinto l’appalto dello “scavo e taglio” delle pietre  il 26 luglio 1761 «da terminare quando piacerà al suddetto regio architetto». Successivamente nel 1767 lo stesso Benedetto Belli ebbe l’appalto per sbozzare le colonne della Cappella Palatina della Reggia che furono estratte in marmo giallo dalle cave di Mondragone.

In una lettera manoscritta del 14 agosto 1767, diretta a S. E. Neroni Intendente Generale dei Reali Stati di Caserta, l'architetto Luigi Vanvitelli così si esprime circa la valenza tecnica del Belli: 
Rispetto alla cava di Mondragone un certo Corsi di Carrara, che travagliò per il Can.co Avellino, l’anno passato voleva esibire a prezzo minor dei Burrini la cavatura; ma avendoli io detto che li pezzi grossi che cavò al Canonico Avellino erano belli in apparenza, inutili però in sostanza, perché tutti fessi e pelati, a cagione che aveva adoperato le mine con la polvere; ed all’opposto li Burrini adoperavano il sugo della braccia, e perciò riescano i pezzi saldi e sinceri, secondo mi occorre singolarmente per le colonne della Cappella se ne partì a capo chino, benché spinto dal fiscale. 
Manoscritti di Luigi Vanvitelli nell'Archivio della Reggia di Caserta 1752-1773, a cura di Antonio Gianfrotta, 2000. 










 


 

 Così scriveva, quasi un secolo fa, esattamente nel 1927, Biagio Greco nella sua Storia di Mondragone:

Sono state rinomatissime le cave di marmi, che costituirono e sono tuttora il decoro e lo splendore della Reggia di Caserta e di Napoli e della chiesa di San Francesco da Paola coll’imponente porticato.Ora, per accidia dei dirigenti, le cave di San Mauro e di San Sebastiano sono quasi del tutto abbandonate. E' deplorevole che un cespite cosi cospicuo, resti improduttivo.
e poi, di seguito, descriveva le caratteristiche dei marmi estratti dalle colline di Mondragone che nel corso dei secoli avevano vissuto momenti di grande splendore. 

martedì 30 aprile 2024

Cenni storici e Studi su Maria SS. Incaldana. Solenne Giubileo dei 400 anni dalla sua definitiva traslazione a Mondragone

I pochi cenni storici sulla protettrice di Mondragone, Maria SS. Incaldana e sul luogo ove la stessa era custodita e venerata, ossia la chiesa annessa al convento dei padri Carmelitani che oggi conosciamo come chiesa del Belvedere, sono riportati nel Saggio storico della città di Carinola di Luca Menna, notaio in Carinola, a sua volta riportati dal vescovo di Sessa Aurunca mons. Giovanni Maria Diamare, nell'opera La Chiesa di Sessa.

Così ci raccontano:

Nella suddetta Chiesa Madre, ossia Vescovado, si venera la sacra e miracolosa effigie di Maria SS. Incaldana che era presso la torre de' bagni, ove sono le acque sinuessane; in una una chiesa del Monastero dei Padri Carmelitani, sul monte Petrino. Siccome nei primi tempi la terra di Mondragone dalle incursioni dei Turchi era continuamente molestata e soggetta a rapine, incendi, devastazioni, così una volta bersaglio di questo furore fu il suddetto Monastero con la Chiesa, per cui tutto fu saccheggiato, ed i voti, le tabelle e la Sacra immagine, che era un quadro di un legno sconosciuto, vennero alle fiamme consegnati.

Ma Dio si compiacque di consolare quella popolazione, che, penetrata dal dolore e dall'afflizione del lacrimevole avvenimento, libera che si vide da quei barbari, si portò all'adorato luogo per venerare quelle ceneri, tra le quali rinvenne il quadro della detta Vergine intatto, ma con un sol legno che tuttavia si osserva, cioè trovassi alquanto affumicato alla parte destra del suo volto e di quello del Bambino Gesù, e ciò per fare intendere alle generazioni future di essere stata tra le fiamme e miracolosamente preservata.

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Fu quindi restaurata quella chiesa dall'incendio sofferto e ricollocata ivi la detta immagine sacrosanta, verso della quale per l'operato miracolo maggiormente la devozione si infervorò. Fu venerata ivi per molti anni, ma poi, o per timore di altre invasioni di barbari o per causa della lontananza di detta chiesetta dal centro di Mondragone, nella Chiesa madre della città fu trasferita ed eletta di quella terra protettrice primaria.


La traslazione avvenne il 28 aprile dell'anno di grazia 1624, la Terra di Mondragone era dominio della famiglia Carafa. 





Ipotesi molto interessante è quella proposta da Domenico Caiazza in Mefitis regina Pia Iovia Ceria. Primi appunti su iconografia, natura, competenze, divinità omologhe e continuità cultuale della Domina Italica, studio riportato in Italica Ars. Studi in onore di Giovanni Colonna per il premio I Sanniti, 2005 (per coloro che volessero approfondire l’argomento, il volume è disponibile presso la Biblioteca Comunale di Mondragone, quale mio dono).


In questo studio Domenico Caiazza ricostruisce l'origine e la trasformazione del culto di Mefitis e la sua migrazione nella religiosità cristiana del culto di Maria Regina ed alla presenza di fonti di acqua.




Ecco cosa scrive a proposito di Maria SS. Incaldana, riporto testuale dalla pubblicazione:

Proprio con questo predicato è un’altra Regina delle acque mefitiche rintracciabile non lontano dal territorio di Sessa ed esattamente in quello limitrofo dell’antica Sinuessa, oggi Mondragone.

Qui è venerata una Madonna Incaldana = in gergo in caurana=nella caldana, ovvero delle acque che ribollono in un laghetto come in una caldaia. Anche una fonte sacra in Teano si chiamava la Cardarella = piccola caldana, e caldana era anche il nome di una fonte della stabilimento Ferrarelle di Riardo. A Mondragone il nome di Bagno della Regina è collegato al ricordo di una regina che venne a curare la sua sterilità con le acque. Sopra Fonte Lavino è il convento di S. Anna in Acquisvivis. Vi erano bagni termali rammentati da Strabone, ancora usati nell’alto medievo, come ricordato da fonti di epoca longobarda, dai quali deriva il nome Le Vagnole, mentre sulle carte IGM sono segnati i Bagni Sulfurei presso il passo di S. Maria Incaldana Vecchia, nella stretta tra montagna e mare e Acqua Sulfurea presso Maria SS. Incaldana.

L’effige della Vergine la mostra adorna della corona, in trono, con un seno scoperto al quale beve il Bambino.

A monte del Casino di Tranzi e dell’Incaldana Vecchia è monte Cicoli sul quale sono stati scoperti resti megalitici di un recinto circolare, interpretabile come una fortezza a guardia del passo e delle coste, ma sede perfetta anche per un tempio ben visibile dalla terra e dal mare. Che questo ipotizzabile tempio fosse dedicato a Marte è indiziato dall’omonimo della catena: Monte Massico o Marsico, ma il nome Caurana ricorda Iuno Gaura.

E va anche ricordato che le Acque Sinuessane sono rammentate da Tito Livio che dice che sin qui si spinse Annibale; evidentemente anche per saccheggiare i santuari. 

 

Ci pare perciò sostenibile che la Vergine Incaldana, continui il culto dell’antica Mefitis, visto che è una Madonna in trono, con corona, che allatta e sacralizza una fonte sulfurea. E’ dunque anch’essa una Madonna del Latte, o anche delle Grazie, tipo questo contraddistinto dall’offerta del seno al Bambino e ai fedeli e l’unica differenza iconografica con la Madonna dei Lattani, la mancanza dell’uccellino, potrebbe spiegarsi, in questo come in altri casi, con i rifacimenti dell’immagine, visto che le vicine Madonne delle Grazie di Minturno e Francolise hanno anche questo simbolo.

  

martedì 23 aprile 2024

L'iconografia di Maria SS. Incaldana: dalla tavola bruciata all'immagine bizantina



Basilica Minore Maria SS. Incaldana




Basilica Minore Maria SS. Incaldana




1624-2024
28 aprile

400 anni dalla traslazione
della sacra immagine di Maria SS. Incaldana
nella città di Mondragone.



L'icona di S. Maria Incaldana, nota anche come Madonna del Belvedere e Prodigiosa, è opera di ignoto del XII-XIV secolo, realizzata su di una tavola in legno di quercia delle dimensioni di 66 x 45,5 cm e 4 cm di spessore. Custodita presso il Convento del Belvedere, sito in località Caldana (zona nota nel mondo romano per la presenza delle Terme Sinuessane), fu trasferita per la prima volta nella cittadella di Mondragone verso la metà del XIV secolo, a causa dei lavori di restauro che interessavano il Belvedere dopo una incursione saracena. Ospitata nella chiesa dell'Annunziata (ora di san Francesco), la tavola sacra ritornò dopo un breve periodo, nuovamente al convento restaurato; ma per i continui timori, giustificati a causa delle frequenti incursioni saracene, la Madonna Incaldana, nei primi anni del Seicento fu trasferita definitivamente nella cittadella fortificata di Mondragone, ospitata nella Collegiata di san Giovanni Battista, dove è custodita tuttora. 

La tavola della Vergine con il Bambino in grembo è contenuta in una pala in argento massiccio di origine settecentesca, più volte rifatta perché oggetto di furto, ultimo in ordine di tempo, avvenuto negli anni '80. La pala a sua volta, è contenuta in una nicchia ricavata all'interno di un altare del Settecento, in marmi policromi.




Basilica Minore Maria SS. Incaldana




L'immagine della Madonna che si ammira oggi, è il frutto di un restauro avvenuto nel 1953, quando la tavola lignea era oramai gravemente rovinata anche a seguito di un precedente pessimo restauro.
Il restauro attuato in base ai principi di conservazione delle parti non degradate o comunque poco danneggiate, con il rifacimento di quelle mancanti, ha restituito una Madonna con il Cristo, che nei caratteri generali potrebbe intrattenere dei legami con l'arte bizantina.


Corrado Valente,  Notizie storiche sull'icona di S. Maria Incaldana in Monumentalia - Frammenti di memoria, Mondragone 1995 





La tavola prima del restauro






Maria SS. Incaldana


Prima del 1953, anno in cui la tavola fu restaurata portando alla luce l'immagine che oggi possiamo ammirare, l'icona della Protettrice veniva desunta e riportata nelle immagini facendo riferimento a modelli similari conosciuti.
Il restauro portò alla luce un dipinto di chiara ispirazione bizantina e pertanto ascrivibile al periodo dell'Arte bizantina nell'Italia meridionale (XIII secolo ?).
Le caratteristiche più evidenti dei canoni dell'arte bizantina sono la religiosità, l'anti-plasticità e l'anti-naturalismo, intese come appiattimento e stilizzazione delle figure, volte a rendere una maggiore monumentalità ed un'astrazione soprannaturale.




Maria SS. Incaldana 
(immagine prima del restauro del 1953)




Maria SS. Incaldana 
(forse la prima immagine dopo il restauro del 1953)



Maria SS. Incaldana 
(foto gentilmente concessa da Angelo Razzano)




Maria SS. Incaldana 
immagine dopo il restauro




Maria SS. Incaldana
di M. 
Severino 
in una rara litografia di Fr. Rinaldini e F.  (collezione privata)

La Litografia Rinaldini è attiva a Napoli, san Biagio dei Libri 
già dalla seconda meta del XIX secolo nel campo della riproduzione delle opere religiose 





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Nell'anno 2006, Poste Italiane spa, ha dedicato alla sacra icona un francobollo commemorativo nell'ambito della serie tematica "Il patrimonio artistico e culturale italiano", con annullo speciale "Mondragone 1.4.2006 giorno di emissione".





Così il Ministero delle Comunicazioni descrive il contesto che ha originato il 45 centesimi dedicato a Maria Santissima Incaldana.
Immagine di origini bizantine miracolosamente scampata all'incendio della cappella che la custodiva; la sua storia si confonde con le radici della città di Mondragone, ove non è solo simbolo religioso oggetto di profonda devozione popolare, ma è soprattutto l'emblema di una identità comune che unisce i cittadini nei secoli e tra i continenti.


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Formella maiolicata Maria SS. Incaldana
 (collezione privata)



Immagine di Maria SS. Incaldana
Forse l'immagine più popolare nelle abitazioni dei mondragonesi
 

venerdì 19 aprile 2024

Masseria de' Ciocchi a San Ruosi di Carinola






Carinola, borgo San Ruosi - Ceraldi
Portone della Masseria Ciocchi


La Masseria Ciocco o Ciocchi, dal nome dei nobili ‘proprietari’,  appartenenti al patriziato Nolano, che più ne hanno segnato storicamente  l’evoluzione e la caratterizzazione degli spazi, è sita nel borgo di San Ruosi-Ceraldi ( altrimenti detto, di Sant’Anna ), a solo pochi chilometri da Carinola.  Come molti altri siti, molti dei quali ancora poco noti persino alla critica, essa  si configura come una masseria di sicuro interesse storico e culturale lungo lo straordinario itinerario storico-artistico costituito dal cosiddetto Real  Cammino, strategica infrastruttura viaria risistemata, e in parte tracciata  durante il vice-regno Spagnolo ristrutturando parzialmente un’antica strada  romana che iniziando sostanzialmente dalla cosiddetta Scafa del  Garigliano, giungeva fino a Napoli. 

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La strategica collocazione della masseria, posta su di una piccola  altura a diretto contatto con il Real Cammino e, soprattutto, la rinomata  fertilità dell’Agro Falerno cui la stessa appartiene, ha reso partecipe la  struttura, nel corso dei secoli, di un lento processo di stratificazione che, com’è noto, a diversi livelli ha coinvolto l’intera circoscrizione territoriale, sin  dai tempi antichi. Non diversamente ad altri luoghi della zona, infatti,  l’aggregato che tuttora contraddistingue il sito dei Ciocchi si caratterizza  come insieme di fabbriche e luoghi destinati alla produzione agricola, nel  tempo, solidarizzatisi nelle forme di un piccolo insediamento accentrato,  arretrato rispetto alla via d’accesso, nell’aspetto attuale, stanziatosi a partire dalla tarda età moderna intorno a una tipica fabbrica masserizia munita di  cappella e di alloggi per contadini e braccianti, oltre che di ambienti  necessari all’attività agricola e al piccolo allevamento. Questo primo  organismo complesso, a cominciare dal Settecento, subì poi un graduale  progressivo ampliamento, aggregando al suo intorno ulteriori organismi  masserizi, altresì configurati mediante la ristrutturazione e l’incremento dei  volumi funzionali pertinenti il primitivo impianto. In questo modo, almeno dal  primo Ottocento, il complesso, oltre ad aumentare notevolmente la sua  estensione, ha finito per configurare al suo ingresso una sorta di  piazza/slargo, sulla quale affacciano sia la chiesa sia gli ingressi degli  organismi masserizi, parzialmente aperta sulla strada di accesso. L’attuale complesso architettonico è il risultato, quindi, di interventi  attuati in tempi diversi, a giudicare dalle testimonianze residue, non anteriori  alla fine del XVII-primo XVIII sec.. 



Carinola, borgo San Ruosi - Ceraldi
Masseria Ciocchi


Il Casale di S. Ruosi, sin dalla metà del XVIII sec. il più piccolo dei  villaggi carinolesi, era in origine riunito a Ventaroli come Villa S. Ambrogio, o  S. Orosio, Santo cui era dedicata anche la locale cappella. Sin dal 1742 –  data del primo catasto della città di Carinola e dei suoi dieci casali, opera  non terminata per le tante irregolarità e imprecisioni registratevi e, per  questo motivo, ripresa e perfezionata nel 1752-53 con aggiornamenti fino al  1755 – in questo Casale risiedono e hanno proprietà, sia edilizie sia terriere, in  misura assai differente le famiglie: Ciocco – ricchi nobili locali distinti in più  rami, il più ricco dei quali proveniente dal casale di Cascano, con proprietà,  anche molto estese, coincidenti con terreni, anche “aratorij” e campestri,  uliveti, querceti e boschi, e diverse “case palaziate”, tutti sparsi nei vari casali  della città, soprattutto a Nocelleto e Ventaroli, bestiame e con benefici a S.  Ruosi in due cappelle (S. Anna e S. Maria della Libera); Ceraldo –  proveniente da Sessa, con ricche proprietà (terre, case, bestiame)  soprattutto a San Ruosi; Tramunti - trasferitisi per qualche  tempo, ma ritornati poi a San Ruosi nel 1755, quando Antonio Tramunti  (bracciale) acquista, sempre dai Ciocco, “una casa di 2 membri inferiori e superiori, con cortile e piccolo giardino continuo, giusta altri loro beni (cioè,  una casa di 6 membri, 2 superiori e 4 inferiori, con orto continuo) e via  publica “ - e Menna – con Tomaso con qualifica di campiere, proprietaria di un certo numero di piccoli appezzamenti, anche uliveti, e di alcuni capi di bestiame, nella stessa S. Ruosi, nonché di due case, di cui una, “di 20  membri, 9 superiori e 11 inferiori, vicina ai beni dei Ciocco, nello stesso  casale.

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I Ciocco vanno identificati con i primi, e inizialmente, unici proprietari  della masseria oggetto di studio, nonché cofondatori, insieme con l’altra  famiglia patrizia dei Ceraldo di Sessa, dello stesso casale di San Ruosi. A  costoro, distinti nei tre rami facenti capo a Raimondo, originario proprietario  della Masseria omonima, a Francesco, intestatario di altre proprietà nello  stesso villaggio, e al ramo di Cascano, appartenevano, difatti, la gran parte  delle terre della zona. In particolare, Matteo Ciocco, il cui sacello è ospitato  nella cappella di S. Anna, originariamente dedicata a S. Ambrogio, annessa  alla masseria Ciocco, con un’epigrafe datata al 1713, deve farsi coincidere  con il fondatore dell’insediamento masserizio, sorto tra la fine del XVII e i  primi del XVIII sec. 

Alla data di compilazione del rilevamento catastale  (entro il 1753) l’erede di Raimondo, Don Giuseppe Ciocco, risultava  proprietario per “sua abitazione di una casa palaziata di più e diversi  membri, superiori e inferiori, con quattro cortili, tre giardini continui e  Cappella sotto il titolo di S. Anna Jus Patronato di sua Famiglia, giusta li beni  delli eredi del quondam Matteo Tramunti, di Tomaso Menna, altri beni proprij  e via publica”. 




Carinola, borgo San Ruosi - Ceraldi
Cappella di S. Anna, jus patronato della famiglia Ciocchi


Di sua proprietà era pure “una casa di un solo membro  terraneo” che teneva affittata e di molti terreni in diverse località di S. Ruosi,  anche confinanti con le terre dell’altro ramo dei Ciocco, quelli di Cascano. Diversamente, l’altro ramo dei Ciocco, eredi di  Francesco, al tempo identificati con un altro Giuseppe Ciocco, risiedevano  a San Cipriano d’Aversa, ma mantenevano a San Ruosi, fuori dalla descritta Masseria Ciocco, diverse proprietà terriere (per un totale di 42 moggia,  confinanti con i beni Gentile e la via vicinale) insieme a una “casa palaziata  di più e diversi membri inferiori e superiori, che si tiene per abitazione del di  lui fattore”. Identicamente facoltosi, benchè meno dei Ciocco, erano i Ceraldo  di Sessa, proprietari di diverse “masserie di fabbrica” a S. Croce, Nocelleto e,  come Pompeo e fratelli, anche di una con territorio di moggia 100 e 15  proprio a San Ruosi, nel luogo detto la Masseria di Ceraldo, con il beneficio  nella vicina cappella rurale del casale detta S. Maria della Libera, ancora  oggi, benché fatiscente, riconoscibile nelle fabbriche all’estremo sud-ovest  della Masseria dei Ciocco, secondo quanto rappresentato nelle cosiddette  “minute di campagna” del Reale Officio Topografico.




Carinola, borgo San Ruosi - Ceraldi
Masseria Ciocchi


Il testo è tratto da:

Andrea Amelio, "RESTAURO E VALORIZZAZIONE della Masseria de’ Ciocchi San Ruosi a Carinola (CE)", Tesi di Laurea in Architettura, Seconda Università degli Studi di Napoli - Anno Accademico  2016/2017


Foto di Salvatore Bertolino

sabato 13 aprile 2024

S. Marie de Episcopio a Ventaroli di Carinola


La Basilica di S. Marie de Episcopio meglio conosciuta come Basilica di Foro Claudio o semplicemente Episcopio di Ventaroli, sorge nel territorio del comune di Carinola, a circa due chilometri dal capoluogo. 

E' una chiesa romanica a tre navate absidate di assetto desideriano, riferibile all'XI secolo, con colonne e capitelli di spoglio che sorreggono arcate a tutto sesto, come si può osservare anche nella coeva chiesa di S. Angelo in Formis.

La Basilica dell'XI secolo fu probabilmente costruita su una più antica chiesa altomedievale, a sua volta insistente su strutture paleocristiane:di tali preesistenze esistono tracce in facciata e nelle mura perimetrali. in età classica doveva invece esservi un complesso romano e, prima ancora, una struttura di età ellenistica.

Le tracce di due grandi archi, ancora ben visibili in facciata e non in asse con essa, attestano che la primitiva basilica paleocristiana fosse più grande di quella odierna. L'attuale impianto si rifà, come poc'anzi accennato, alle normative costruttive emanate dall'abate Desiderio di Montecassino, divenuto poi papa Vittore III, secondo le quali le chiese erette entro la giurisdizione benedettina dovevano ricalcare la planimetria della ricostruzione desideriana della chiesa di san Benedetto.

Molto probabilmente l'ingresso della basilica era preceduto da un pronao del tutto simile a quello della chiesa di S. Angelo in Formis, come suggeriscono tracce di ammorsatura presenti in facciata. Secondo alcuni studiosi il pronao andrebbe ricondotto alla fase paleocristiana, in relazione agli archi tompagnati visibili in facciata. Il portale, vilmente asportato qualche anno fa e di recente ricostruito, si allineava al clima storico-artistico aragonese che interessò Carinola nel secondo Quattrocento, facendo di essa la "Pompei del Quattrocento".




 

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La Basilica di Foro Claudio fu sede episcopale di transizione, se così si può dire, avendo da un lato raccolto l'eredità episcopale di Foro Popilio, ormai abbandonata per motivi non troppo chiari, e, segnando, dall'altro, il passaggio a quella di Carinola, istituita nel 1087 quando Bernardo fu nominato vescovo di CalinulumLa plausibile presenza dei resti di un battistero oggi interrato nel sagrato della chiesa ne confermerebbe l'antica funzione episcopale.

Gli affreschi presenti all'interno della basilica vanno inquadrati nel contesto della pittura romanica di ambito benedettino-cassinese, subito a ruota della decorazione della chiesa monastica di Montecassino e di S. Angelo in Formis; in verità è il solo catino absidale di sinistra con la Madonna fra un angelo e S. Pietro, nonchè i due san Giovanni non più leggibili sui pennacchi dell'arco absidale, a potersi ancorare alla fase desideriana; gli affreschi dell'abside centrale ed il San Michele dell'absidiola destra ricalcano, invece, stilemi bizantineggianti più tardi, forse addirittura del XIII secolo, e in forma, ormai, popolari e "manierate".






L'interessante velarium che corre inferiormente all'abside centrale abbina elefanti ibridi all'interno della rota centrale di un motivo complessivamente a cinque tondi (gli altri quattro con quadripetali) ad eleganti e complesse soluzioni fitomorfe entro motivi ottagonali dai lati concavi: si tratta di soluzioni evidentemente mutuate da stoffe orientali ampiamente circolanti nell'Italia meridionale.




Sulla parete laterale destra fanno bella mostra i riquardi dei mestieri, importantissima testimonianza storica di lingua volgare e delle prime corporazioni delle Arti da collocarsi all'epoca rinascimentale. Si ipotizza che la loro presenza sia da mettere in relazione a lavori per la chiesa, finanziati da artigiani e commercianti locali.



Ad essi si accompagnano numerosi altri affreschi votivi, testimonianza dei culti più radicati a livello locale (S. Leonardo, S. Nicola, S. Martino eremita, Madonna del Latte) e variamente collocabili fra il momento tardo-gotico e la fase ormai rinascimentale.






Cenni bibliografici:

M. D'Onofrio, V. Pace, Italia Romanica. La Campania, Milano 1981;

G. Leva, F. Miraglia, Il restauro della basilica di Santa Maria in Foro Claudio a Ventaroli (1968-1972) in G. Fiengo, L. Guerriero (a cura di), Monumenti e documenti. Restauri e restauratori del secondo Novecento (Atti del Convegno Nazionale), Napoli, 2011;

S. Ricciardona, Pittura romanica e tardo gotica in Terra di Lavoro, in U. Zannini (a cura di), Testimonianze storiche, archeologiche e artistiche del territorio di Francolise, Napoli, 2009;

U. Zannini, I Fora in Italia e gli esempi campani di Forum Popilii e Forum Claudii, Morcone, 2009

Testo a cura dell'Archeoclub d'Italia, 

sede di Carinola "prof. P. Michele Piccirillo" 

con la collaborazione del prof. Silvio Ricciardone e del prof. arch. Francesco Miraglia.


Le foto a corredo sono di Salvatore Bertolino